Un’oasi di Schoenstatt nel cuore di Roma

Via Aurelia Antica, n. 112. Il traffico incalza nel tratto di strada che risale il Gianicolo lungo i maestosi ruderi dell’Acqua Paola, l’antico acquedotto di Traiano ripristinato nel Rinascimento da Paolo V. Un discreto cancello apre uno scenario inatteso nella Roma dei cesari e dei papi. Nascosta tra i secolari alberi ad alto fusto, nel verde di un giardino ben curato, una chiesetta dal tetto aguzzo fa pensare piuttosto alle valli del Nord Europa. Solo che, guardando più in là, oltre la barriera delle piante, dal prospiciente colle Vaticano si intravede nitidamente la cima del Cupolone. E non è un miraggio. Un piccolo santuario, poco più di una cappella, del tutto identico a quello di Schoenstatt, nelle vicinanze di Coblenza sul Reno, dove fu fondato il movimento che prende il nome proprio da quella località. Uno degli ormai circa 160 santuari sparsi in tutto il mondo, dall’Australia all’Ecuador, dal Sud Africa al Nord Europa. A spiegarmi come sia stato “trapiantato” proprio nel cuore di Roma, sarà Elisabeth Braunbeck, che mi riceve nel centro di Schoenstatt, accanto al santuario. La piccola comunità di cui fa parte anima la famiglia romana del movimento, ancora poco noto in Italia, ma diffuso in molte nazioni, soprattutto in Germania, dove è nato alla vigilia della prima guerra mondiale. “All’origine di Schoenstatt – prende a dire Elisabeth – si trova questa piccola cappella, dove il 18 ottobre 1914 ha avuto luogo l’atto di fondazione, che consiste in un’alleanza d’amore con Maria. In ogni santuario si “ripete” questo invito alla Madonna di stabilirsi in quel posto in modo particolare, di farsi guida e maestra della famiglia di Schoenstatt che si va componendo. Essa costituisce il promemoria della grazia dell’inizio, ma anche la fonte che si alimenta alla prima sorgente, sempre attiva”. Il santuario, così riprodotto, rappresenta dunque in un certo senso il centro d’irradiazione ed il fulcro della spiritualità di Schoenstatt, squisitamente mariana. Il santuario romano è direttamente legato alla persona del fondatore, padre Joseph Kentenich, morto nel 1968, di cui è in corso la causa di beatificazione. “Nel 1947 soggiornò a Roma, e già da allora – racconta Elisabeth – espresse il desiderio che, accanto alle grandi basiliche, potesse sorgere anche il piccolo santuario di Schoenstatt, che avrebbe avuto un particolare significato ed una missione nella città eterna”. Sembrava allora un sogno impossibile: dopo il lungo periodo di prigionia dal 1941 al 1945 nel campo di Dachau, dove fu internato dai nazisti, aveva ripreso la direzione del suo movimento, che nel frattempo si era irradiato fuori della Germania, in Africa ed in America Latina. E “andare a Roma” significava per lui allo stesso tempo presentare l’opera di Schoenstatt alla chiesa. Ma doveva ancora attraversare una nuova lunga “prova del fuoco” nella sua storia ed in quella della sua fondazione: l’allontanamento dall’opera che aveva fondato. “Ritornò a Roma nel 1965, e fu pienamente riabilitato. Anche in quel secondo viaggio – prosegue Elisabeth – si disse sicuro che sarebbe sorto un santuario all’ombra della cupola di San Pietro”. E fu proprio così. In quegli stessi anni il primo gruppo di Sorelle di Maria, un istituto da lui fondato, si trasferì a Roma, ed iniziò le ricerche, che durarono oltre vent’anni. Nel 1987, col contributo delle consorelle di tutto il mondo, poté essere finalmente acquistato un villino con un grande giardino nell’Aurelia Antica. Su quel terreno era possibile costruire la cappella, e grande fu la loro meraviglia quando costatarono che l’unico punto ancora edificabile si allineava in linea d’aria con la basilica di San Pietro! Il 22 ottobre del 1990 fu inaugurata la cappella. Erano passati esattamente 25 anni da quel viaggio a Roma di padre Kentenich. “Il nostro santuario romano porta il nome di “Cor Ecclesiae”: Maria, cuore della chiesa. Non solo perché – prosegue Elisabeth – questo titolo ben si addice al luogo, ma anche perché quest’amore per la chiesa costituisce l’eredità preziosa che il nostro fondatore ci ha lasciato. Un amore che è stato messo alla prova, e ne è uscito affinato, tanto che sulla sua tomba ha voluto che si scrivesse: “Dilexit Ecclesiam”, amò la chiesa”. Tanti membri ed amici di Schoenstatt – o semplicemente occasionali visitatori dei suoi santuari – potrebbero raccontare come la loro vita abbia trovato un nuovo impulso grazie alla spiritualità proposta da padre Kentenich. Religioso pallottino, sin dagli inizi della sua attività tra i giovani si era domandato come aiutarli a crescere cristiani autentici e liberi. Contrariamente ai sistemi formativi di quei tempi, sviluppò un programma di “autoeducazione” responsabile e consapevole, in cui la sua funzione fosse di amico, di consigliere, di amico, di padre. Aveva sperimentato quanto un profondo legame con Maria, la madre di Gesù, rendesse capaci di un grande amore per Dio e per gli uomini. Di qui il “patto” di affidamento a lei, che segna il primo passo di questo originale itinerario spirituale. “La parola stessa “alleanza” da lui adottata, vuole sottolineare – spiega Elisabeth – che in questo speciale rapporto con Maria sono due i contraenti, ambedue “soggetti”, nel dare e nel ricevere, naturalmente su piani diversi. Il nostro fondatore amava ripetere che non riceviamo e non vogliamo intraprendere nulla senza Maria, ma che anche lei conta sulla nostra pur piccola collaborazione. Intendendo, ovviamente, che un autentico culto mariano apre alla sequela di Gesù. “In questo senso – conferma Elisabeth – il legame con Maria, a cui ho affidato la mia vita, mi porta ad un legame più profondo col Dio della mia vita”. Da quel 18 ottobre 1914, in tutto il mondo innumerevoli persone si sono associate ad una tale alleanza, ed hanno trovato la loro patria spirituale nel movimento di Schoenstatt, da loro semplicemente chiamato “famiglia”. Una famiglia spirituale composta da preti e laici, uomini e donne, bambini, ragazzi e nuclei famigliari, che considerano loro compito rendere sempre più impregnato di spirito cristiano il mondo in cui vivono. La quiete della giornata che volge al tramonto invita a fermarsi, almeno per un po’, in preghiera davanti a Maria di Schoenstatt: tanta è la sorpresa, e la gratitudine, per la scoperta di un’opera ispirata da Dio. Ripenso ad una frase di padre Kentenich, che ho appena letto: “Chi gioisce delle caratteristiche dell’altro, allarga la mente, il cuore e la vita”. SCHOENSTATT COS’È È una frazione del comune di Vallendar, presso Coblenza (Germania), dal 1914 centro del Movimento internazionale di Schoenstatt. È il movimento mariano, con varietà di vocazioni e di legami, che prende il nome da quella località, costituito da una federazione internazionale di comunità autonome, unite dall’identica spiritualità e dal medesimo impegno apostolico. Ne fanno parte sei istituti secolari, di sacerdoti, donne, uomini e famiglie ed innumerevoli gruppi che si impegnano nel condurre la propria vita secondo la spiritualità di Schoenstatt. È la mèta di molti pellegrinaggi, dove si riceve la “grazia”, il dono di sentirsi “accolti”, e di rispondere liberamente e con generosità a questo dono.

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