Un’esperienza di Paradiso

A 70 anni dal periodo di contemplazione spirituale vissuto da Chiara Lubich con i suoi primi compagni e compagne nel 1949. Intervista a Fabio Ciardi

Il trimestrale di cultura Nuova Umanità, nel suo ultimo numero appena uscito, dedica il focus a Il Paradiso ’49: protagonisti e interpreti. Si tratta del periodo di «contemplazione spirituale» vissuto 70 anni fa da Chiara Lubich, Igino Giordani e alcuni altri del primo nucleo della comunità dei Focolari.

nu-234Come spiega il direttore, Alberto Lo Presti, fu «un’esperienza straordinaria, mistica e concreta allo stesso tempo», un susseguirsi di «visioni e comprensioni» particolari, che si dispiegò dal luglio 1949 al settembre 1951. Negli ultimi 20 anni è iniziata un’opera di divulgazione dei testi, rivisti da Chiara Lubich stessa, che descrivono quella esperienza. Ne parliamo con Fabio Ciardi, responsabile del centro interdisciplinare di studi Scuola Abbà.

Cos’è questo Paradiso ‘49?
È l’esperienza spirituale profonda che Chiara ha vissuto negli anni 1949-50-51. E non solo: è quello che lei ha trasmesso ai suoi compagni, coinvolgendoli fin da subito, in prima persona, in questo periodo di luce. Il Paradiso ‘49 non è quindi l’esperienza di un singolo, ma di un gruppo. È il vissuto di Chiara, ma partecipato, condiviso. Un vissuto che lei, anni dopo, ci ha consegnato anche in un libro.

È un po’ strana questa storia del gruppo?
È una cosa nuova. Nella storia della spiritualità, tante persone hanno avuto esperienze mistiche, anche della realtà del Paradiso. L’originalità di Chiara è stata “entrare” in questa realtà non da sola, ma insieme ad Igino Giordani, uno sposato, per poi il giorno successivo coinvolgere subito anche le sue compagne. Lei, quindi, “entra” in Paradiso con un drappello, come lo chiama, col quale vive lo spirito e le tappe di conoscenza di questa realtà. La parola drappello dà il senso della molteplicità: ognuna di queste persone era infatti presente con la sua personalità. A volte, poi, Chiara chiama questo gruppo l’Anima, perché queste persone, pur nella loro individualità, formavano una realtà sola, un corpo solo, il Cristo mistico.

Ha senso offrire questa esperienza al mondo di oggi, disinteressato e disincantato?
L’esperienza del Paradiso ‘49 accade a metà Novecento, dopo lo sfascio dell’Europa seguito alla guerra mondiale, in un forte momento di crisi, a tutti i livelli. Non mi sembra che la situazione oggi sia molto diversa.

Cosa dovremmo fare con questa esperienza? Ricordarla, ripeterla?
Il Paradiso ‘49 non è stato dato per essere studiato o letto, ma condiviso. Rappresenta una comprensione di ciò che è la realtà umana, la storia dell’umanità. Una visione del mondo visto da Dio. Abbiamo bisogno di una visione alta della storia umana, al di là delle piccole contingenze quotidiane. Una visione d’insieme, una visione di Chiesa, una visione di società. All’interno di questa visione, poi, c’è anche la nostra storia individuale, irripetibile e unica. Dio rispetta la singolarità di ogni persona, però il progetto è globale: fraternità, comunione, condivisione esistenziale, riassunte in una sola parola, unità. Una parola densa, che riassume una visione sociale, politica e culturale.

Dal 1949 sono passati 70 anni…
Nel ‘49 è iniziato un progetto, che deve poi attualizzarsi giorno per giorno nella storia. Chiara ha vissuto questa realtà del Paradiso lungo tutta la sua vita. Quello che ha detto e scritto, le opere che ha realizzato, dall’Economia di Comunione al Movimento per l’Unità, da Famiglie Nuove al Dialogo ecumenico e interreligioso, le ha portate tutte avanti sotto la spinta di questa luce. Il Paradiso ‘49 non è una realtà chiusa, ma aperta alla storia.

Cosa direbbe ad un giovane che si affaccia a queste cose?
Qui c’è un’esperienza profonda di vita. Le prime compagne di Chiara nel 1949 erano semplici, provenienti da sperduti paesini del Trentino, la più istruita era maestra elementare. Eppure sono diventate donne di prima grandezza, capaci di andare in giro per il mondo di allora, in Brasile, negli Stati Uniti, nell’Asia, in Africa. Hanno creato opere straordinarie, centri, case, aziende, comunità. Come hanno fatto? In loro c’era una tale vita, che le ha rese capaci di motivare e trascinarsi dietro migliaia di persone di tutti i tipi, dalle più semplici alle più intellettuali, persone di altre religioni e di altre culture. Quindi, se un giovane vuole realizzarsi, anche umanamente, consiglio di buttarsi in questa esperienza, di darsi, per produrre qualcosa di utile per l’umanità. Tuffarsi in questa realtà.

(L’intervista completa sarà pubblicata in uno dei prossimi numeri della rivista Città Nuova)

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