Una nuova mappa mondiale

Come cambia la dimensione spazio-temporale della politica nell’era della globalizzazione? L’analisi di Pasquale Ferrara in La politica inframondiale, edito da Città Nuova
la politica inframondiale_Ferrara_Città Nuova 2014

La globalizzazione non trasforma soltanto la natura dell’am­biente internazionale; essa rimette in causa la divisione concettuale tra spazio politico nazionale (e sub-nazionale) e spazio politico in­ternazionale.

Le relazioni internazionali sono state tradizionalmente considerate, dal punto di vista epistemologico, un’area specialistica, nella quale hanno prevalso gli approcci storico-diplomatico, geopolitico, strategico.

Con la globalizzazione assume una nuova rilevanza l’idea che le relazioni internazionali debbano essere studiate attraverso le categorie della teoria politica generale. È l’intera dimensione spazio-temporale della politica (interna e internazionale) che deve essere riconcettualizzata.

 D’altra parte, le stesse teorie delle relazioni in­ternazionali sono frutto di una particolare e specifica interpretazione della natura, della localizzazione e delle possibilità delle comunità politiche.

(…)

La nozione di sovranità è, come si vede, una manifestazione evi­dente del tentativo di differenziazione basato su una demarcazione di confini territoriali e/o identitari. Le teorie internazionali dicoto­miche (interno/esterno) sono preoccupate di distinguere nettamente spazi, contesti politici, limiti di effettività del potere.

(…)

Tuttavia questa prospettiva va­cilla oggi sotto i colpi delle mutate esigenze di ordine internazionale, a partire dalla tendenziale contraddizione che si determina in molti contesti critici (ad esempio nelle situazioni di genocidio e di viola­zione su vasta scala dei diritti umani fondamentali) tra principio di autodeterminazione dei popoli (e diritti umani universali) e principio di non ingerenza, e più in generale tra principi di giustizia internazio­nale, sopranazionale e transnazionale e pretese di assolutezza della sovranità degli Stati.

La risposta a tale dilemma non può venire nemmeno dalla già ri­chiamata dimensione glocal (globale-locale), pur con il valore che essa ha nei termini di una visione più avanzata del rapporto tra comunità e mondialità. Si tratta, in effetti, di andare oltre una concezione dell’a­zione politica pensata in termini spaziali, da un lato, e strettamente strategici (nel senso di meccanismi di acquisizione, mantenimento e legittimazione del potere), dall’altro.

(…)

Si tratta di configurare una nuo­va forma del Politico, di favorire «una decostruzione drastica della tradizionale verticalità tipica della politica» e di impegnarsi per una «difficile, lenta, faticosa ricostruzione di una dimensione orizzontale, nella quale la capacità di istituire relazioni, di corresponsabilizzare e di condividere prevalga sulle semplici tecnologie del potere “eserci­tato su” (su territori, comunità, individui, assunti come destinatari e nel migliore dei casi utenti)».

Se si assume come valido questo punto di (ri)partenza, è eviden­te, come conseguenza, che l’azione politica (anche quella dei cittadini, e quindi in termini di partecipazione) non può più essere concepita in termini solamente spaziali, ma che per poterla impostare in modo efficace deve essere considerata un’altra prospettiva, che è quella del tempo. La politica non può oggi pensarsi se non in una dimensione temporale, ben più complessa di quella spaziale.

Quando ci si riferi­sce ad esempio al “patto intergenerazionale” e cioè alla responsabilità verso future generazioni per esempio in materia di equilibrio ecolo­gico e di sviluppo eco-compatibile, ciò deriva dalla consapevolezza, nella dimensione “diacronica”, che un comportamento attuale può influire sull’assetto futuro del mondo. Richiamare le classi dirigenti e i poteri economici a questa responsabilità è in fondo un modo di partecipare politicamente a favore dell’umanità dei prossimi decenni, di “porsi in relazione” con il mondo di domani, di pensare i fenomeni non più in termini diacronici, ma sincronici. Quando poi si sottolinea l’importanza delle radici storiche e culturali di un popolo come fon­damento e guida dell’azione politica, si immette nel discorso politico un altro aspetto della dimensione temporale, che è quella del passa­to, o meglio, della nostra profonda connessione con quanti ci hanno preceduto.

L’azione politica rivela così, attraverso una declinazione tempo­rale, il proprio elemento strutturale, che consiste nella sua articola­zione relazionale. Ed in effetti il tempo si coniuga nel nostro pianeta con una dimensione relazionale. Le strutture politiche sono sempre meno piramidali, e tendono a disporsi a rete. E quindi l’elemento di connessione tra i vari costituenti, e cioè la relazione, diventa fonda­mentale, anche nell’ambito internazionale e transnazionale. Si tratta di uno sguardo nuovo sull’altro, che consenta di superare la “auto-referenzialità feroce” della politica. Questo guardare l’altro in modo nuovo, questo suo riconoscimento «scioglie le comunità parziali che esso [il Politico] totalizzava, nello spazio visivo di una comunità pla­netaria che non conosce più punti di vista egemonici». Un modo di vedere il mondo che educa alla reciprocità e al “valore di legame”, ben più profondo e solido della sola “obbligazione politica”.

Da Pasquale Ferrara, La politica inframondiale, le relazioni internazioni nell’era post-globale (Città Nuova, 2014)

 

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