Una folla immensa in fila per l’acqua…

La situazione a più di un mese dalla tragica alluvione. La testimonianza dei nostri amici pakistani: gli aiuti, la condivisione, la gratitudine delle popolazioni colpite
Pakistan alluvione

Per noi è stato un grande dolore vedere il nostro paese stravolto dall’alluvione! Non potevamo non cercare di portare un po’ di sollievo a tutte quelle persone che erano nel bisogno. Ci sentivamo poveri ma abbiamo capito che potevamo condividere con i nostri fratelli quel poco che abbiamo e cercare aiuti: Dio sicuramente ci avrebbe aiutato.

 

Il 13 settembre con un gruppetto abbiamo visitato una scuola strapiena di senza tetto, c’erano alcuni volontari del governo che stavano già facendo un bel lavoro ma c’era ancora bisogno di tante cose.

Ho raccontato questo al mio lavoro e il mio capoufficio ha donato tantissime medicine, mentre tutti gli altri colleghi hanno aiutato con soldi e vestiti nuovi. Così anche i vicini di casa.

Ci siamo divisi in due gruppi, uno per seguire questa scuola e un altro gruppo per visitare le vittime lontane dalla città, perché sapevamo che verso l’interno della provincia del Sindh la situazione era ancora peggiore.

 

Alla fine siamo riusciti a mettere insieme 20,000 rupie (circa 181 Euro), una somma molto buona pensando alla nostra situazione, ma piccola per aiutare le 70 famiglie (e in particolare i 200 bambini) che volevamo aiutare. Però con gli aiuti ricevuti da amici di tutto il mondo abbiamo potuto comprare tante altre cose per fare un pacco un po’ più degno per ciascuna famiglia con le cose di prima necessità compresi gli ingredienti per fare un dolce.

 

Lungo la strada per arrivare al campo dei rifugiati all’interno del Sindh abbiamo avuto l’impatto con la dura realtà: tantissimi gruppetti di persone aspettavano qualche aiuto lungo la strada, e correvano dietro alle macchine che passavano. Purtroppo non potevano fermarci perché avevamo saputo che tanti camion con le donazioni erano stati assaliti e saccheggiati prima di arrivare a destinazione. Un bambino ci ha corso dietro per quasi un chilometro, e solo più avanti, quando eravamo al sicuro, abbiamo potuto velocemente fermarsi e dargli un po’ di aiuto.

 

Ma il vero shock era all’arrivo al campo. Invece di 70 famiglie, come ci avevano informato, ne abbiamo trovate 105. Le classi della scuola erano strapiene: uomini e donne, diverse incinta, tantissimi neonati e bambini. Tutti indossavano ancora il vestito che avevano quando erano scappati il giorno dell’alluvione abbandonando i loro averi.

 

Ci raccontavano che le loro piantagioni e il bestiame erano stati portati via dalle acque.

Abbiamo distribuito i 70 pacchi con dentro anche un paio di vestiti, e alle altre 35 famiglie che mancavano abbiamo dato almeno i vestiti. Ma ciò che più ci ha toccato è che le persone erano colpite da questo aiuto, addirittura ci abbracciavano quando ricevevano il pacco. Anche i bambini erano felicissimi con i loro pacchettini. Continueremo ad aiutarli.’

 

Il 18 settembre siamo tornati nello stesso campo per portare stoviglie e vestiti, che ci avevano chiesto la volta precedente, perché dicevano che arrivava il cibo dal governo, ma non avevano le stoviglie per riceverli. Volevamo usare bene gli aiuti ricevuti e siamo andati in diversi bazar per acquistare i prodotti al prezzo migliore. Ma la situazione non aiutava, c’era tanta violenza sulle strade e tutti ci consigliavano di non uscire. Ma siamo andati ugualmente perché sentivamo che era urgente, le persone non potevano aspettare.

 

Nel primo campo abbiamo trovato 800 persone ammucchiate in una scuola, abbiamo distribuito quello che avevamo portato, ed anche abbiamo potuto aiutare con una somma in denaro una mamma che aveva appena partorito un bambino con parto cesareo nello stesso campo. Abbiamo saputo che c’erano altri 7 neonati.

 

Abbiamo radunato i bambini più grandi per giocare e loro ne erano felicissimi. Oltre agli aiuti, ci accorgiamo quanto sia essenziale il sostegno morale, ascoltare le persone, far loro sentire, non a parole ma attraverso la nostra presenza e il nostro amore che hanno dei fratelli, che Dio li ama.

 

In un altro campo, oltre a portare degli aiuti concreti, dato che ero l’unica ammessa nella sezione riservata alle donne, è stata per me l’occasione per stare con loro e condividere il loro dolore. Ero la prima che era potuta entrare e avevano un grande bisogno di raccontare cosa era successo.

Il giorno dopo abbiamo ricevuto una telefonata da un nostro parente che abita vicino a questa città e ci diceva la gioia della gente nel trovare nel pacco le cose di cui sentivano più necessità, per esempio penne e carta per scrivere lettere o latte in polvere per i bambini piccoli, ecc.

 

Poi siamo partiti per un altro campo, dato che erano avanzate ancora un po’ di stoviglie. Il campo era situato in un grandissimo magazzino di riso all’aperto. E’ stata per noi un’esperienza scioccante. Vi erano in tutto 6 mila persone, famiglie intere che vivevano in poco spazio, senza nessuna privacy: una folla immensa di uomini in fila per prendere acqua da un’autobotte, una dottoressa con un’infermiere che in un campeggio somministravano medicine a tutti, anche ad un bambino che era da solo: “Facciamo così, ci hanno detto, perché si tratta di vita o morte”.

 

La dottoressa ci diceva: “Tutto quello che potete fare è utile in queste condizioni; le medicine non sono sufficienti, servono zanzariere, abbiamo bisogno di un dermatologo per le tante malattie della pelle”. Le persone non sanno cosa fare, sembra che la vita per loro si sia fermata.

 

Ciò che fa impressione è la capacità di affrontare le avversità. È incredibile la pazienza di queste persone, anche se hanno perso tutto non si ribellano, sembrano in pace, ringraziano Dio che sono rimasti vivi. Sentiamo che non possiamo darci pace fintanto che avremo questi fratelli lì, la loro sofferenza l’abbiamo sentita nostra.

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