Un vero confronto sulla dignità umana

I punti di rottura e quelli di dialogo possibile sulla dignità umana sul fine vita. Intervista a Marco Cappato, esponente dei radicali e dell’Associazione Luca Coscioni

Promosso dal tavolo Famiglia e Vita della Cei, l’incontro dell’11 settembre 2019 su “Eutanasia e suicidio assistito”, ha raggiunto lo scopo evidente di riunire su un tema decisivo, anche se poco approfondito nella società, tante associazioni e movimenti di diversa estrazione e sensibilità del mondo cattolico (leggi qui l’intervento del card. Gualtiero Bassetti).

Significativa la presenza di alcuni parlamentari, dal Pd a Fratelli D’Italia, decisi a far valere l’esigenza di offrire più tempo al Parlamento per poter legiferare in tema di suicidio assistito con riferimento all’applicazione dell’articolo 580 del codice penale che punisce l’istigazione e l’aiuto al suicidio.

Discutere e votare di corsa, davanti ad una scadenza imminente, non è opportuno e giusto, anche se il tempo per decidere non è stato breve. La Consulta, infatti, ha scelto, con ordinanza del 24 ottobre 2018 di «rinviare la trattazione della questione di costituzionalità dell’articolo 580 codice penale all’udienza del 24 settembre 2019» per «consentire in primo luogo al Parlamento di intervenire con un’appropriata disciplina» relativamente a casi strazianti come quello, ampiamente trattato sulla stampa, di Fabiano Antoniani, che è stato accompagnato nel 2017 in una clinica in Svizzera, Paese che prevede l’assistenza alla morte volontaria. Antoniani, diventato tetraplegico e non vedente dopo un incidente stradale, non poteva muoversi da solo. Lo ha aiutato a fare tale scelta, tra gli altri, anche Marco Cappato, promotore della campagna per la legalizzazione dell’eutanasia, che si è poi autodenunciato presso i giudici di Milano, in conformità alla pratica, diffusa tra i radicali, di disobbedienza civile applicata contro la vigente applicazione dell’articolo 580 del codice penale. E proprio dal processo avviato a suo carico si è giunti all’invio della questione di legittimità costituzionale presso la Consulta.

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Cappato, già deputato in Italia e nel Parlamento europeo, ha presenziato a gran parte del lungo incontro dell’11 settembre in Cei, salutando affettuosamente i suoi ex colleghi di partito Roccella e Quagliariello, schierati da tempo su posizioni opposte su questioni bioetiche, mentre da esponente dell’associazione Luca Coscioni sta organizzando, per il prossimo 19 settembre, una manifestazione pubblica nel quartiere romano di Cinecittà con la presenza annunciata di alcuni uomini e donne di spettacolo favorevoli alla libertà di scelta sul fine vita.

Dividersi in fazioni davanti a questioni così delicate e strazianti può essere necessario anche se costituisce una frattura della convivenza civile fondata sulla dignità della persona in tutte le fasi della sua esistenza. Cercando di andare alla radice di una tale contraddizione, che ci interroga profondamente, abbiamo rivolto alcune domande a Marco Cappato come premessa di un confronto possibile a partire da posizioni esplicite a favore della vita e contro la cultura eutanasica, esplicitate più volte su Città Nuova.

 

Condivide l’esigenza emersa dal convegno di dare più tempo al Parlamento per arrivare a legiferare in tema di fine vita senza far scattare automaticamente la scadenza del 24 settembre indicato dalla Corte costituzionale?
Il Parlamento non ha voluto decidere. Ha avuto tutto il tempo e invece non ha affrontato neanche un testo, neanche in commissione. La rinuncia a trattare la questione si è palesata a giugno e a luglio. Non c’entra nulla la crisi di governo intervenuta in agosto. La Corte ha evidenziato la necessità di dare una risposta applicabile ai singoli casi come quello recente di Remo Cerato, in Piemonte, che ha denunciato l’impossibilità, per mancanza di una legge, di poter scegliere di terminare la sua vita con minore agonia. Si può pensare che sia giusto oppure sbagliato, ma non che non sia urgente.

Come spiega, a suo parere, tale refrattarietà delle Camere ad affrontare la questione sollevata dalla Consulta?
Perché, su questi temi, i capi dei partiti non riescono a comandare. Da una parte e dall’altra. Hanno paura di esporsi perché rompono le alleanze e le coalizioni. Sono venuto ad ascoltare perché molte delle cose dette sono condivise e ci uniscono. Come associazione Luca Coscioni ci muoviamo per i diritti delle persone malate, siamo a favore delle cure palliative e della ricerca scientifica e per l’abbattimento delle barriere architettoniche. È chiaro che esiste una differenza netta quando poi la persona, beninteso curata e assistita, prende una decisione che va rispettata.

Nel convegno si è posta in evidenza, partendo dai singoli casi, la deriva eutanasica che, come dice l’ex magistrato Luciano Violante citato nelle relazioni, finisce per diventare uno sterminio dei più poveri, esposti alle pecche di un servizio sanitario pubblico in difficoltà. Non percepisce anche lei questo pericolo?
Penso che oggi la clandestinità sia la peggiore deriva. Assistiamo al suicidio dei disperati. La legalizzazione serve a fornire una risposta, non ad abbandonare.

Che cosa avverte a livello di una certa parte della società italiana? Ad esempio, l’evidenza antropologica che si è imposta nell’accoglienza del naufragio dei migranti non si può riprodurre laicamente, in qualche modo, su questo tema?
Credo che sia possibile condividere, come enorme patrimonio di unità, l’impegno per assicurare tutta l’assistenza necessaria, sanitaria e sociale, a partire dalle cure palliative. Ma esiste una concezione radicalmente diversa del rapporto tra libertà e diritto. E questo resta oggetto dello scontro politico e ideale da esercitare con il massimo rispetto, almeno per chi crede e dà corpo alle sue opinioni senza farne occasioni di passarella da una parte e dall’altra.

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