Un nuovo tentativo di legge elettorale

Dopo il no della Corte costituzionale al referendum proposto dalla Lega a favore del sistema uninominale, resta in piedi la proposta della maggioranza governativa (cosiddetto Germanicum) per un sistema proporzionale con soglia di ingresso al 5% e diritto di tribuna. Una prima valutazione

La nuova proposta, di matrice governativa, prevede che nella nuova Camera i circa 400 seggi residui dopo la sforbiciata vengano eletti con un sistema sostanzialmente proporzionale puro.

A mitigare questa purezza vi sarebbe solo il discusso meccanismo delle soglie. Occorrerebbe superare il 5% per entrare. La novità sarebbe però rappresentata dal diritto di tribuna, vale a dire che anche partiti con meno del 5% potrebbero avere accesso con una piccola rappresentanza, un piccolo palco riservato, per fare sentire comunque la propria voce in aula.

La buona notizia è quella del ritorno al proporzionale, nell’aria ormai da tempo. La sforbiciata al numero dei parlamentari non permetteva più il mantenimento del precedente sistema misto, laddove una parte era eletta col maggioritario. Occorreva una scelta decisa, se non si volevano snaturare entrambi i meccanismi. E i deputati rimasti erano troppo pochi per eleggerli con due sistemi.

Proporzionale quindi la scelta quasi obbligata, data l’attuale situazione politica.

Permangono ovviamente le critiche al metodo con cui sono state definite le soglie. Non è mai chiaro in questi casi se lo sbarramento (3, 4 o 5 per cento?) venga deciso in base ad una regola democratica o in base alle dimensioni dei partiti che si vogliono salvare o sommergere. E qui si entra nei segreti del retrobottega, laddove è legittimo ritenere avvenga un certo mercato, con ad oggetto la fedeltà al governo in carica.

La novità di maggiore rilievo è quella relativa alla possibile inserzione nel sistema del diritto di tribuna. Per molti anni, dopo la fine della Prima Repubblica, si è affermato che il sistema elettorale chiudeva troppo l’ingresso alle piccole forze politiche.

I fautori degli sbarramenti, impliciti ed espliciti, affermavano che questi rispondevano a due esigenze. Da un lato quella della governabilità. Aiutare le forze maggiori a crescere, favoriva la formazione di maggioranze stabili. Nel contempo forniva una buona motivazione alle forze minori ad aggregarsi, superando una rissosità interna che, talora, era legata a ragioni difficilmente comprensibili.

A queste argomentazioni, però, se ne contrapponevano altre, non meno valide.

Una di principio: il Parlamento è il luogo della rappresentanza, e la legge elettorale non dovrebbe servire a indurre comportamenti virtuosi. Il sistema elettorale deve comportarsi come un buon traduttore. Qualunque cosa dica chi è tradotto, certamente non è compito del traduttore correggerlo.

Peraltro, il difetto delle riforme dei sistemi elettorali consiste sempre nel fatto che sono promosse da chi governa in quel momento. Ed è chiaro che porta acqua al proprio mulino. Dunque se l’alleato di governo è pronosticato al 3,8%, la soglia è fissata al 3,7%. Insomma, una legge così importante come la legge elettorale dovrebbe essere super partes, condivisa, ed equa. Altrimenti resta un senso di disagio democratico.

Sotto altro profilo, si è osservato che la rissosità di corrente, interna ai partiti, è addirittura superiore a quella tra i partiti della coalizione di governo.  Dunque introdurre soglie, ed indurre ad aggregazioni posticce non migliora l’armonia delle forze che sostengono l’Esecutivo, né riduce il potere di ago della bilancia di piccole formazioni di deputati.

In questo quadro, chi scrive aveva formulato una proposta che teneva conto di entrambe le esigenze. Sotto una determinata soglia, ad esempio il 4%, si attribuiscono seggi, ma non nella esatta misura astrattamente spettante, ma in misura meno che proporzionale. Ad esempio chi consegue il 3% dei voti, ottiene solo l’1% dei deputati. In tal modo resta l’induzione all’unità, e resta un trasferimento di seggi alle forze maggiori, che dovrebbero auspicabilmente usarli per meglio governare, ma si salva il principio della rappresentanza.

La proposta attualmente in esame fa proprio questo principio, con l’introduzione del diritto di tribuna. Alle piccole forze va comunque qualche seggio, per esprimere le proprie posizioni in Parlamento.  Non è cosa da poco. A chi è piccolo oggi, dovrebbe essere data la possibilità di dare il proprio contributo nelle sedi della più alta rappresentanza, perché possa avere la possibilità, eventualmente, di crescere. È chiaro che chi è dentro le istituzioni ha tutto l’interesse a chiudere la porta a nuovi ingressi, e a non subire concorrenza dall’esterno. Ma l’interesse dei cittadini è opposto.

Inoltre non va sottovalutato il messaggio che è necessario dare agli elettori: il Parlamento è il luogo di tutte le idee, di ogni proposta e ciascuno deve sentirsi rappresentato. Bene quindi che la nuova proposta di legge si faccia carico del tema.

Il pronostico è che la proposta, alla fine, giungerà in porto, perché risponde ad una necessità dei tempi. Meno certo che vi arrivi col 5% di sbarramento, e su questo non resta che attendere.

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