Un sogno ancora magico

¦ Balletto narrativo a metà, ma di ampie dimensioni, il Sogno di una notte di mezza estate (1962) di Balanchine ha ancora quella freschezza tipica del grande coreografo georgiano che vivificò in chiave neoclassica le forme cristallizzate della danza accademica del Novecento immettendovi nuova linfa di linee e di movimenti. Il suo primo Sogno risale all’età di otto anni – all’epoca allievo della Scuola Imperiale – quando, sul palco del teatro Michajlovski di San Pietroburgo indossò il costume di un elfo. Quando nel ’62, emigrato da tempo in Usa, ballerino e coreografo di fama, mise mano alla coreografia della commedia scespiriana per il suo New York City Ballet, l’interesse nasceva dalla partitura di Felix Mendelssohn. Perché la musica – da Stravinskij a Ciajkovskij, da Glinka a Hindemith – era la sua principale fonte d’ispirazione secondo il binomio movimento e musica da lui perseguito. Balanchine condensò tutta la storia nel primo atto, e creò, con l’aggiunta di altri brani di Mendelssohn, un secondo atto di divertissement puramente classico, dove si celebrano le nozze delle coppie. L’assenza di arredi scenici a favore di fondali che evocano la quieta atmosfera di una radura in una foresta incantata, e poi i fasti architettonici della corte, permettono lo stagliarsi degli interpreti, fra cui Puck il folletto del bosco indisciplinato e gran scompigliatore di passioni, selvaggio e notturno, che spinge ad amare le persone sbagliate mettendo loro sotto il naso un fiore magico. Come si sa nella pièce scespiriana che fa da base al balletto, si sviluppa un tale groviglio di passioni fra i comuni mortali (Elena e Demetrio, Lisandro e Ermia) – ma anche nel bosco stregato, con la fata Titania che si innamora dell’asinesco Bottom -, che soltanto l’intervento autoritario di Oberon costringerà Puck a riportare tutto in ordine. Punta di diamante del Teatro alla Scala che lo allestì nel 2003 sulla ribalta dell’Arcimboldi a cui è seguita una trionfale tournée europea e in Cina, questo Sogno di una notte di mezza estate è approdato per la prima volta nella sua sede per la stagione scaligera, con un successo di pubblico clamoroso. L’allestimento incanta anzitutto gli occhi per le scene essenziali e i costumi di Luisa Spinatelli che veste fate, elfi, silfidi e altre creature irreali (una moltitudine che vede in scena allievi della scuola di ballo, solisti e primi ballerini); e soprattutto per la presenza di due star assolute come Roberto Bolle e Alessandra Ferri. Pur non essendo uno dei capolavori di Balanchine (balletto a numeri chiusi, e statico in certi momenti della prima parte), quando ad eseguirlo c’è la celebre coppia, allora lo spettacolo vola comunque alto. Quelli di Bolle, nel ruolo di Oberon, sono virtuosismi lievi e fascinosi anche se non evidenziano appieno, per la scrittura coreografica, tutte le sue qualità; mentre la regina Titania della Ferri, pur in un ruolo non consono alle sue corde, è ricca di sottili dettagli che la sua carismatica presenza rinvigorisce di bellezza. Accanto a loro meritano una menzione il Puck di Riccardo Massimi, e la coppia Marta Romagna e Mick Zeni specialmente nel leggero e regale passo a due del secondo atto. In fondo ad affascinare sono quel fantastico mondo onirico e fiabesco evocato con grazia e armonia nell’intreccio coreografico, e le atmosfere di sogno che infiammano l’immaginazione, e che Balanchine è riuscito a ricreare con pochi limpidi gesti.

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