Un Sinodo di svolta

Anche il vulcanico Marco Pannella non ha resistito alla tentazione di commentare l’andamento del Sinodo della Chiesa cattolica universale. Il leader radicale ha stigmatizzato la scarsa trasparenza dei lavori sinodali, anticipando che non sarebbero state rese note le proposizioni finali. Previsione rivelatasi errata, ma che dice molto sulla grande attenzione che l’assise dei vescovi ha catalizzato. L’undicesima assemblea sinodale, svoltasi a Roma nelle prime tre settimane di ottobre, aveva per tema L’Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della chiesa. Argomento quanto mai cruciale per le numerose implicazioni. L’Eucaristia, infatti, rimanda subito alla liturgia, ai sacerdoti, alla crisi delle vocazioni, all’ipotesi di sacerdoti coniugati, alla confessione, alla negazione della comunione ai divorziati risposati, e altro ancora. Facile immaginare le più diverse aspettative nell’imminenza del Sinodo. Scontato, purtroppo, che la maggioranza dei mass media si sia concentrata, durante lo svolgimento, nella ricerca di inedite svolte dottrinali rispetto alla vita attuale della chiesa. La ricerca si è indirizzata essenzialmente su tre ambiti che non hanno registrato mutamenti. Da qui, commenti del tipo: Il Sinodo termina con una raffica di no sulle questioni più scottanti . E per questioni scottanti si intendevano la comunione ai divorziati risposati, l’ammissione al sacerdozio degli sposati, l’accesso alla comunione di fedeli di altre denominazioni cristiane (la cosiddetta intercomunione). Lo scopo di un Sinodo non è di introdurre novità dottrinali o disciplinari nella vita della chiesa, ma di rinnovare l’approccio pastorale a tutte le questioni, ad incominciare da quelle più dolorose, ha precisato il francese mons. Roland Minnerath, arcivescovo di Digione, segretario speciale del Sinodo. Così, se nelle proposizioni conclusive permane per i divorziati risposati il divieto di ricevere l’Eucaristia, i padri auspicano altresì verso di loro un atteggiamento e un’azione pastorale di attenzione e di accoglienza, e una sollecita attività dei tribunali ecclesiastici per le cause di nullità matrimoniale , in modo da ridurre i tempi e sanare situazioni dolorose. Altro argomento cruciale, la crisi delle vocazioni sacerdotali. Nel Sinodo se n’è parlato a lungo, costatando però che non si tratta di una situazione generalizzata, perché nei paesi di recente evangelizzazione c’è una fioritura di chiamate. In ogni caso, è stato riaffermato il dono inestimabile del celibato ecclesiastico nella Chiesa latina. Una convinzione rafforzata anche dalle difficoltà pratiche dei sacerdoti sposati (i doveri verso la propria famiglia rispetto alle esigenze della comunità) ben note ai padri delle Chiese orientali. Il matrimonio dei sacerdoti è un problema, non una soluzione, ha sintetizzato il vescovo ucraino Mudry. Negli interventi è stato fatto cenno all’ordinazione di uomini coniugati di provata fede e moralità (i cosiddetti viri probati) ma quest’ipotesi – riportano i padri nella proposizione 11 – è stata valutata come una strada da non percorrere. Come fare, allora? I ve- scovi hanno prospettato una più equa distribuzione del clero e una grande disponibilità dei sacerdoti a spostarsi dove c’è più necessità. La questione dell’intercomunione, infine è stata ripresa anche nel Messaggio finale del Sinodo, dove viene ricordato che sono già disciplinate le condizioni per accedere all’Eucaristia in modo da evitare la confusione e i gesti improvvisati che possono invece nuocere alla vera comunione. Nessuna novità, allora? Tutto dipende da cosa si intende per novità, ha rilanciato davanti ai giornalisti il cardinale canadese Marc Oullet, arcivescovo di Québec. La novità – ha proseguito – è il rinnovamento dell’approccio con cui affrontiamo tutti i problemi, partendo da una riscoperta della profondità dell’eucaristia. E da questa prospettiva, allora, le novità non sono mancate. Non c’è stata, ad esempio, alcuna controriforma liturgica, come chiedevano i nostalgici, nessun ritorno al latino e al vecchio rito nelle celebrazioni quotidiane. Chiudendo la questione, i padri hanno confermato il loro assenso alla riforma liturgica attuata a partire dal Concilio Vaticano II. Nuova luce è arrivata su vari temi, dalla tutela del creato alla globalizzazione, dalla guerra alla povertà, dall’arte della celebrazione alla dimensione sociale dell’Eucaristia, dall’inculturazione all’architettura. Non sono stati dimenticati politici e legislatori cattolici, soprattutto in riferimento alla grave responsabilità sociale di presentare e sostenere leggi inique. Non c’è coerenza eucaristica – è stato precisato – quando si promuovono leggi che vanno contro il bene integrale dell’uomo, contro la giustizia e il diritto naturale. Non si può separare l’opzione privata e quella pubblica. Fino al Sinodo non cambierà nulla , veniva detto in Vaticano riguardo al pontificato di Benedetto XVI. E c’era una logica. Il Sinodo e l’Anno dedicato all’Eucaristia, che papa Ratzinger ha chiuso domenica 23 ottobre, erano un’eredità lasciata da Wojtyla. Per di più, la cerimonia con- clusiva segnava anche lo scadere dei primi sei mesi sul soglio di Pietro: il tempo dell’apprendistato. B16 (come lo chiamano i giovani) ha invece preso tutti in contropiede. Le novità più importanti del Sinodo le ha introdotte lui. Ha voluto un’assemblea con dibattito libero: ogni giorno, dalle 18 alle 19, i 252 padri potevano parlare di qualsiasi argomento. La seconda innovazione ha riguardato la pubblicazione delle proposizioni finali. Sinora restavano riservate quale base per l’esortazione che il papa avrebbe scritto successivamente. Sono innovazioni importanti. Segnalano l’intento di papa Ratzinger di procedere verso l’apertura, la trasparenza, il servizio alla verità. Non si tratta certo di semplici miglioramenti procedurali. Racchiudono molto di più. In gioco c’è lo sviluppo della collegialità a tutto tondo. Non solo il papa, non solo la curia romana, ma anche l’episcopato nel condividere problemi ed esperienze, nell’elaborare idee e soluzioni. C’è stato un grande applauso – ricordava il cardinale ucraino Husar – quando qualcuno ha ringraziato il papa per queste sue decisioni. E ha aggiunto: Anche i suoi interventi sono stati ottimali, per il modo così naturale di porsi, non da maestro e superiore . Un Sinodo di svolta, potremmo dire. E chissà quante altre novità questo pontificato ha in serbo. LA MESSA È FINITA NON VARRÀ PIÙ Èstato sintetizzato in 50 proposizioni il lavoro dei padri sinodali. Papa Ratzinger adesso le elaborerà in un’Esortazione post-sinodale. Numerose le indicazioni specifiche. • Il segno della pace va collocato in un altro momento della celebrazione , perché, quando dura a lungo, suscita qualche confusione proprio prima di ricevere la comunione . • Per rendere più esplicito il rapporto tra Eucaristia e missione, si preparino nuove formule di congedo rispetto al tradizionale La messa è finita. • Di fronte all’ostia consacrata si osservi la pratica della genuflessione o di altri gesti di adorazione secondo le differenti culture. Opportuno inginocchiarsi durante i momenti salienti della preghiera eucaristica. • Si promuova il ringraziamento dopo la comunione, anche con un tempo di silenzio. • Conviene che il significato della comunione sia spiegato ai presenti alla santa messa in occasione di battesimi, comunioni, matrimoni, funerali. • Nelle messe durante gli incontri internazionali, si suggerisce l’uso del latino (eccetto le letture, l’omelia e la preghiera dei fedeli) per esprimere meglio l’unità e l’universalità della chiesa. BRUNA TOMASI:LA GIOIA DELLA COLLEGIALITÀ Tra uditori e uditrici erano in tutto ventisette.Tra loro Bruna Tomasi, dirigente internazionale dei Focolari, sin dalla prima ora vicina a Chiara Lubich. Prima esperienza sinodale. Qual è stata l’impressione iniziale? In cuore, gioia e gratitudine per il dono che Dio mi faceva di partecipare alla vita della chiesa in modo più diretto. Era il mio primo Sinodo, ma ero in buona compagnia: il 52 per cento dei vescovi non vi aveva mai partecipato. Tanti non sapevano come muoversi. Anch’io, ma ho visto che, stando nella carità verso ciascuno, si impara subito a muoversi anche al Sinodo. La partecipazione richiedeva anche un salto spirituale, e ho detto a Dio: questo l’affido a te, io mi metto a fare la tua volontà. Donna e uditrice: si è sentita espressa dall’esperienza sinodale? In un primo momento ho provato un po’ di sconcerto: si parlava spesso in latino, e io non lo ricordavo quasi più. Ben presto, però, mi sono sentita a casa. Non ho trovato alcuna difficoltà nei rapporti con i padri. Dai loro interventi emergevano le preoccupazioni, le gioie e i dolori di mia madre, la chiesa. Ho cercato di aiutare tutti con un ascolto partecipe, in modo tale da contribuire a che ogni parola pronunciata potesse essere secondo il pensiero di Dio. C’è stato un denominatore comune negli interventi di voi uditori? Abbiamo dato voce all’esperienza, al vissuto del popolo di Dio nella sua ricca varietà.Abbiamo offerto orientamenti scaturiti dalla vita. L’impressione più intensa? Ho trovato in tutti una solida capacità di lavoro, un senso molto pronunciato di servizio alla chiesa con tutte le forze e le capacità. Persone che, pur in là con gli anni, lavorano senza misurare per il Regno di Dio. E trovano questo impegno normale anche nei ritmi: magari fino alle tre di notte per rivedere con cura i testi. La presenza del papa è stata costante… È stato quasi sempre con noi. Presente ed estremamente attento ad ascoltare per ore. Era un ascolto che creava l’esperienza stessa del Sinodo. È stato un Sinodo con libertà di parola? Nessuna limitazione. È quanto ha voluto il papa stesso per l’ultima ora di assemblea, ogni giorno, e vi ha partecipato quasi sempre. Su certi problemi, si manifestavano diversità di pensiero. Ciascuno esponeva le proprie idee con serenità e non c’era insofferenza in chi ascoltava.Tutti accoglievano con attenzione ogni intervento, facendo proprie le situazioni delle più diverse zone del mondo. La collegialità è stata davvero effettiva? È stata una grande esperienza di collegialità vissuta tra tutti giorno dopo giorno. C’è stato infatti modo di conoscere ciascuno, le sue preoccupazioni, le sue speranze. È stato un crescendo, anche nella collegialità affettiva. Alla fine abbiamo sperimentato che eravamo realmente una famiglia animata dalla carità tra tutti. E poi una grande gioia, la gioia di aver fatto bene, insieme, l’opera di Dio

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