Un riso d’oro

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Il nome potrebbe trarre in inganno circa l’obiettivo. Golden rice ovvero riso d’oro potrebbe far pensare ad una qualità di riso per uomini in cerca d’affari. L’attributo invece si riferisce essenzialmente alla coloritura dorata dei chicchi e, se di affari vogliamo parlare, possiamo farlo nei termini di una grande speranza per le popolazioni povere. Già, perché questo alimento è stato messo a punto non per riempire le tasche di chi lo ha brevettato o di chi lo produrrà, ma per salvare centinaia di migliaia di bambini altrimenti destinati nella migliore delle ipotesi alla cecità o altrimenti alla morte. Seimila quelli che ogni giorno vanno incontro a questo evento, 500 mila quelli che in un anno perdono la vista. Per una carenza specifica: quella della vitamina A. Peter Beyer, ricercatore all’università di Friburgo e Ingo Potrykus, professore emerito all’Istituto di scienze vegetali dell’università Eht di Zurigo hanno lavorato per oltre 20 anni a progettare il golden rice. E adesso che Potrykus ne detiene il brevetto lo ha messo a disposizione dei paesi poveri gratuitamente. Non casuale la scelta: il riso è l’alimento base per miliardi di persone ed occupa l’11 per cento delle superfici agricole mondiali. Ovvio lo scetticismo, gli interrogativi, le perplessità. L’Ateneo pontificio Regina apostolorum ha ospitato di recente il dibattito sull’argomento presente lo stesso detentore del brevetto, il prof. Potrykus. Ogm sì, ogm no è ancora oggi una questione scientifica aperta. Proprio nelle settimane scorse la Commissione dell’Unione europea ha dato il via libero definitivo all’importazione in Europa del mais dolce transgenico Bt11 portando a 35 il numero dei prodotti ogm autorizzati. E anche la Fao, pubblicando il rapporto annuale sulla situazione dell’alimentazione lo scorso 18 maggio si è dichiarata favorevole all’impiego di nuove tecnologie genetiche. Secondo l’organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione, infatti, nei prossimi 30 anni aumenterà di 2 miliardi il numero delle persone da nutrire mentre le risorse naturali tendono a scarseggiare. Problema non risolvibile se i ricercatori non cominceranno ad occuparsi delle colture di base dell’alimentazione dei poveri, come riso, manioca, patate e frumento. E dunque, anche se non si può prescindere da scrupolosi controlli per valutare gli eventuali rischi di certe colture, oltre a valutare caso per caso, occorre puntare anche l’attenzione sul potenziale offerto dalle altre applicazioni della biotecnologia, come la genomica, la selezione assistita da marcatori molecolari e i vaccini animali. Nel nostro caso non stiamo affrontando un discorso generale sugli ogm, ma uno più specifico, quello sul riso. E con un accenno anche ai vaccini ani- mali, un altro degli argomenti che nel corso del dibattito tenuto al Regina apostolorum, hanno interessato la platea. È cosa nota infatti che numerose malattie che nel mondo occidentale sono state debellate da decenni, nei paesi poveri sono invece ancora oggi tra le cause principali di mortalità. La scarsità dell’impiego di vaccini in tali nazioni, se trova nella ristrettezza economica uno dei suoi principali fattori, è dovuta però ad altri elementi forse di più difficile soluzione. Stiamo parlando della mancanza di un sistema sanitario organico, della carenza di siringhe o del terrore che certe popolazioni provano al solo vederle poiché nella loro cultura evocano una morte vicina e, soprattutto, dell’impossibilità di organizzare la cosiddetta catena del freddo che permette la conservazione e l’efficacia dei vaccini stessi. Senza quest’ultima possibilità sarebbe vano persino un eventuale intervento umanitario che portasse in queste terre migliaia di campioni di prodotti immunizzanti. Viceversa, vaccini prodotti in pianta e dunque commestibili, eliminerebbero tutte le difficoltà sopra citate. In quanto alla loro produzione, dovrebbero essere coltivati in serre a contenimento, dunque senza rilascio ambientale e commercializzati separatamente dalle piante prodotte per alimentazione umana o animale. Inoltre, poiché promettono di ridurre drasticamente i costi è probabile che nessuna multinazionale sia interessata a produrli. Motivo che induce ad ipotizzare che a ciò potranno provvedere gli stessi paesi poveri. Non tutto è ancora chiarito ma si tratta comunque di una prospettiva che, qualora risultasse efficace e senza rischi costituirebbe un traguardo importante per la sopravvivenza di milioni di persone. Anche riguardo al golden rice il prof. Potrykus, durante il suo intervento ed anche in una successiva intervista all’agenzia Zenit ha spiegato che il rischio che ci troviamo di fronte ad un affare per le multinazionali è scongiurato perché è possibile fornire questo riso praticamente gratis ai paesi in necessità. Si tratta infatti di un progetto sviluppato all’interno dei piani di aiuti umanitari, con l’intento di permettere a tali paesi di disporre di questi semi in maniera libera da costi e da ogni dipendenza. Essi dunque possono utilizzarli come loro proprietà e utilizzare parte delle sementi per i successivi raccolti senza necessità di cambiare il loro sistema agricolo. In quanto alla sicurezza il rispetto delle normative concernenti è coordinato dall’Humanitarian golden rice network, di cui fanno parte istituti di ricerca di Bangladesh, India, Cina, Filippine, Sud Africa, Indonesia e Vietnam. L’ostacolo a questo punto è soprattutto una concezione estrema e ideologica del principio di precauzione – sottolinea Potrykus – che sta impedendo di salvare la vista e la vita a centinaia di migliaia di bambini. In effetti, anche all’interno del mondo ecclesiale, una certa prudenza nei confronti degli ogm c’è sempre stata. Prudenza però che va di pari passo con la giustizia e la solidarietà. Per questo se qualche frangia estrema ritiene la manipolazione genetica immorale di per sé, spiega il prof. Gonzalo Miranda, decano della facoltà di Bioetica del Regina apostolorum, non si può ignorare che la capacità dell’uomo, unico essere creato ad immagine di Dio, di scoprire le leggi della natura, sviluppare la scienza e applicarla al creato, rientra nel mandato di custodire e coltivare il giardino datogli dal Creatore stesso. Concetto, tra l’altro, ribadito più volte anche da Giovanni Paolo II. Una seria responsabilità che impone all’uomo un impegno altrettanto grave nell’operare le sue scelte. E in un pianeta dove l’urbanizzazione crescente, stante l’impossibilità di aumentare la superficie destinata alla produzione, costringe a puntare sulla produttività, riuscire a trovare nuove soluzioni non è da poco. Non a caso, forse, gli studenti di biotecnologie agricole aumentano. Speriamo solo di sentire riecheggiare ancora quel: E Dio vide che era cosa buona. Di certo le proposte che abbiamo preso in esame una novità la contengono: nate per fare del bene, non sono orientate al profitto e implicano un trasferimento di know-how dai paesi tecnologizzati a quelli che lo sono meno o non lo sono affatto. Un passo non indifferente nel passaggio dall’aiuto di tipo assistenziale alla collaborazione.

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