Un referendum contro l’austerità economica

Scade a fine settembre il termine per la raccolta di mezzo milione di firme necessarie per il referendum sull’applicazione del “fiscal compact”. Economisti di diverso orientamento, pezzi trasversali di partiti e di sindacati sono impegnati in un dibattito decisivo, ma ancora sotto traccia. Intervista all’economista Gustavo Piga
barboni a milano

Tutti sanno come è andata a finire con il nucleare. L’Italia era già pronta ad acquistare le centrali energetiche dai francesi, quando la sola Italia dei Valori, partito totalmente scomparso dal Parlamento, riempiva i moduli per un referendum vinto sull’onda della paura per l’incidente del 2011 avvenuto nella centrale nucleare di Fukushima in Giappone.

Ma come si fa a proporre un referendum tecnico sull’austerità in un Paese a bassa formazione in campo economico? Eppure colpisce l’eterogeneità dei promotori e sostenitori in campo accademico e politico sociale. Dalla minoranza del Pd a Fratelli d’Italia, assieme a Sel, Rifondazione comunista, settori del sindacato di destra Ugl e quello di sinistra della Cgil. Tra gli economisti di fama, Leonardo Becchetti, Paolo Leon, Mario Baldassarri, Riccardo Realfonzo e tanti altri con il professor Gustavo Piga, ordinario di economia all’Università di Roma 2, che è il responsabile del comitato promotore.

Ci rivolgiamo proprio a Piga, tra l’altro anche direttore della Rivista di politica economica, per capire la finalità del referendum in bilico fino all’ultimo per la raccolta delle firme necessarie per essere sottoposto all’esame preventivo di ammissibilità.

Come gruppo di economisti appartenenti a diverse scuole di pensiero e orientamento politico avete promosso la raccolta delle firme su un tema che appare ostico, eppure riguarda il destino concreto di tutti, quello del fiscal compact. Come spiegherebbe semplicemente il senso e la finalità di questo referendum?
«Il referendum “Stop Austerità” viene incontro a un vuoto di rappresentanza verso quella generazione che sta conoscendo situazioni di disagio o difficoltà a causa della attuale crisi economica nella convinzione che, come dice il premio Nobel Stiglitz, questo non è uno tsunami che ci cade dal cielo, ma qualcosa che ci siamo auto inflitti con politiche sbagliate. Sono politiche che levano benzina all’economia italiana quando ne è più bisognosa: questa benzina si chiama domanda interna, ed è fatta di sostegno alle imprese, via minori tasse e maggiori appalti pubblici. E la nostra è una battaglia anche contro sprechi e corruzione: la lotta a queste “patologie” renderà più semplice trovare fondi per sostenere l’economia».

Può fare un esempio?
«Immaginiamo un aereo in una tempesta, aereo per di più con alcune carenze strutturali. L’ideale sarebbe aggiustarlo, vero? Il problema è che prima bisogna farlo atterrare, mettendolo in salvo. Ma come fare se abbiamo il volante bloccato col pilota automatico (chiamato Fiscal Compact) che indica una direzione senza sé e senza ma? Un pilota automatico non ha occhi, non ha sensibilità, non si accorge se i passeggeri stanno urlando di paura: è solo gelidamente preimpostato per eseguire poche semplici operazioni. Abbiamo bisogno che un pilota si riappropri dei comandi, salvi l’aereo conducendolo fuori dalla tempesta. Il senso del referendum è questo. Una volta a terra potremo ripararlo, potremo cioè fare quelle riforme così necessarie al cambiamento del nostro Paese, affinché possa volare nei cieli alle altezze sfidanti che richiede il XXI secolo. Anche quella contro gli sprechi a cui accennavo, è una battaglia che per essere efficace non deve risultare da tagli a casaccio alla spesa pubblica, ma da investimenti in competenze, strumenti di gestione dei dati, controlli, come nel resto del mondo avanzato. Ma ci vuole tempo per far questo e ora il tempo non c’è. Ora bisogna solo portare l’aereo a terra, con tutti i passeggeri illesi».

Eppure le misure di austerità finora applicate giustificano un sacrificio attuale in vista del benessere di coloro che verranno dopo…
«La nostra convinzione, invece, è che non vi sia solo da lenire la sofferenza odierna di tante persone, ma anche di tutelarci evitando la possibile catastrofe di una Unione Europea che si va a disgregare per sempre a causa delle politiche sbagliate. Le stesse che stanno già allontanando gran parte delle persone dal sogno europeo, sviandole verso soluzioni populiste o estremistiche. Di questa miopia pagheranno il conto salato le future generazioni a cui oggi lasceremo in regalo l’onere di vivere all’interno di un’area, quella europea, non più capace di mediare al suo interno e proporsi compatta verso l’esterno per vincere, ma succube dei valori e delle strategie esterne e sommersa da conflitti interni».

Che giudizio dare dell'orientamento dell’attuale governo che parla di flessibilità nell’applicazione delle misure di austerità?
«Il governo Renzi ha scritto un Documento di economia e finanza identico a quello di Monti e di Letta. Perché? Perché ormai vengono scritti con copia carta carbone dall’Europa, sulla base del “fiscal compact”, ovvero sulla base di austerità senza riguardo per le condizioni economiche del Paese. Renzi eredita da questi governi l’effetto di politiche senza senso, che in nessun altro paese al mondo vengono proposte. E in autunno si troverà a dover fare una manovra enorme di aumenti di tasse e di riduzione di spesa pubblica fatta male, perché per fare tagli accurati ci vuole tempo. Tutte le politiche (privatizzazioni, vendita immobili) dovranno essere accelerate a casaccio per permettere il raggiungimento di obiettivi di riduzione del debito pubblico sul Pil che non tranquillizzeranno mai mercati desiderosi di premiare un governo che mostri polso nel rimettere sul binario della crescita il Paese, riducendo le tensioni sociali che vengono dalla disoccupazione. Il dibattito filogovernativo sulla maggiore flessibilità, ovvero sulla “minore” austerità, all’interno delle regole del “fiscal compact” non porterà al sollievo di cui l’Italia e l’Europa hanno bisogno. Renzi deve mettere fine alla parola austerità finché in Italia non sarà tornata quella ripresa che gli permetterà di lavorare sulle riforme con i tempi giusti affinché queste siano efficaci e ben ricevute».

Come risponde, invece, ai critici che ritengono i quesiti proposti nel referendum troppo blandi e non orientati a mettere in crisi davvero il programma di austerità imposto dall'esterno e che ci condurrà alla recessione?
«I nostri quesiti blandi? Da un lato è vero, ma non si può fare un referendum che abroghi il “fiscal compact” come avremmo voluto. Ma non crediamo che ce ne sia bisogno. Si ricorda come avvenne per il referendum sul nucleare? Quesiti tecnici che non avrebbero di fatto eliminato di per sé il nucleare dal Paese. Ma la partecipazione e l’esito del voto finale furono così plateali che la politica scelse di allargare la dimensione ideale del voto popolare vietando il ricorso.

I nostri quesiti in un certo senso sono “rivoluzionari”, perché hanno l’ambizione di avviare quello che un economista francese anni fa chiamò “il dibattito proibito” sull’architettura europea. Un dibattito che non è mai partito, che ha visto le leggi più importanti per la costruzione dell’Europa ristrette al dibattito tra pochi parlamentari in pochi giorni e che vede le più importanti istituzioni della governance europea mai sottoposte ad uno scrutinio serio ed approfondito. Un dibattito che ha sempre vietato i referendum, considerandoli strumenti “pericolosi” e “populisti” invece di quello che effettivamente sono: un modo per rafforzare la bontà, la sostenibilità e la condivisione del progetto europeo».     

Per informazioni http://www.referendumstopausterita.it/

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