Un ponte fra chiesa e strada

I ricordi dell’oratorio, per chi vi è cresciuto, sono indelebili: il calciobalilla ed il ping-pong, le rotelle di liquirizia e la spuma, la sagrestia profumata d’incenso e l’odore penetrante dello spogliatoio, la prima maglietta col numero sulle spalle e le ginocchia sempre sbucciate, la voce grossa del parroco e la sua tonaca che svolazza e nasconde la palla nei dribbling, le filmine ed i cineforum. All’ombra del campanile vigeva libertà di urla e schiamazzi, un luogo protetto in cui scambiare le figurine e prepararsi alla vita. Quei campi polverosi o di cemento rappresentavano l’inesauribile settore giovanile di tanti club: “La religione del calcio, in Italia, viene dall’oratorio ” ha recentemente riconosciuto Trapattoni che vi è cresciuto così come molti altri campioni in attività. A Cinisello Balsamo è ancora aperto il vecchio campetto dove iniziò a dare i primi calci l’indimenticato Gaetano Scirea. Dalle parrocchie del bergamasco sono usciti Felice Gimondi e Beppe Signori. Demetrio Albertini e suo fratello, oggi don Alessio, sono cresciuti a Monza, a Villa Raverio: “Lo spirito dell’oratorio mi è rimasto dentro anche quando sono arrivato in Nazionale” confessa in un libro autobiografico. Francesco Toldo non dimentica l’Unione Sportiva Maria Ausiliatrice di Caselle di Selvazzano, fuori Padova, dove ha esordito tra i pulcini. Nella parrocchia di Ceretolo, periferia sud di Bologna, un campanile che si fa spazio tra la collina e l’Autosole, ha cominciato Gianluca Pagliuca, oggi portiere del Bologna, dopo aver vestito anche la maglia azzurra. “Era un ragazzo vivace – ricorda don Luigi Garagnani, che da 32 anni è parroco della comunità -: durante una messa vespertina inciampò nella tonaca di chierichetto, lunga anche per lui, che pure era così alto, e cadde rompendo le ampolline. Da allora ha imparato a non mollare la presa, almeno col pallone”. A don Luigi la legge sugli oratori non lo entusiasma, lui che ha combattuto in passato ben altre battaglie per costruire l’oratorio in assenza di qualsivoglia sussidio. La sua vicenda rievoca le sfide fra Peppone e don Camillo: “Quando arrivai in questa parrocchia c’erano duecento ragazzi che frequentavano il catechismo. Dietro la chiesa c’era un’area incolta che il comune aveva destinato a parcheggio per i negozi vicini, ma io avevo bisogno di un campo di calcio per far giocare tutti quei ragazzi. Presi l’iniziativa di spianare il terreno con una ruspa. L’amministrazione mandò i carabinieri a fermarmi, ma dovette cedere di fronte alla sottoscrizione della maggioranza delle famiglie: e qualche tempo dopo dovettero pure condonarmi la variazione della destinazione d’uso. Intanto già si giocavano tornei inter-strade con sei squadre delle elementari ed altrettante delle medie, e tornei interparrocchiali “. Don Luigi era sempre pronto a sfilarsi la tonaca e scendere in campo con i suoi ragazzi: “Poi il Bologna andò in B, calò l’entusiasmo per il calcio e crebbe quello per il basket che andava forte in città e noi ci adeguammo”. Un’esperienza ancora oggi di frontiera la vive don Mario Sbarigia, parroco a Latina. Una parrocchia giovane la sua, sorta con l’espansione della città verso il mare: i due nuovi quartieri dormitorio, privi di negozi e di luoghi di incontro, denunciano un urbanizzazione più fondata sul cemento che sulla aggregazione sociale. Fino a poco tempo fa i quartieri di Nascosa e Nuova Latina non avevano neppure un nome, ma solo una fredda sigla ad identificarli, Q5 e Q4. I campi sportivi, che calamitano i ragazzi dei condomini, non possono nemmeno contare sull’ombra di un campanile: a fungere da chiesa, dedicata a San Luca, è infatti un capannone e nel rione adiacente, dedicata a Maria, è solo un tendone. “Quasi per caso – spiega don Mario -, dando un’occhiata ai censimenti, ci siamo resi conto che qui c’erano più di tremila giovani, fra i 16 ed i 27 anni, su dodicimila abitanti. Eppure non si vedono in giro, a conferma che i loro luoghi di interesse e di aggregazione sono altrove. Così si è data una svolta al progetto pastorale: la famiglia al centro, ma con priorità ai giovani. Quell’ettaro di terreno a disposizione ci ha suggerito di tentare con l’oratorio, non quello superattrezzato dal punto di vista sportivo, anche se c’è una scuola calcio, ma soprattutto laboratori artistici, di teatro, di cinema, o di aggregazione degli universitari. La risposta, finora, è stata modesta: 70-80 giovanissimi in tutto, quasi un fallimento, ma intanto tra le famiglie è cresciuta la simpatia per questa parrocchia che si apre e che dialoga. Così alle attività dell’estate, organizzate qui per tre mesi, ogni mattina, hanno partecipato oltre 150 ragazzi”. Quale aiuto si aspetta dalla nuova legge? “Nell’immediato non ci serve – risponde don Mario -: l’aiuto finanziario sembra quasi un’elemosina, e qui molti vogliono capire meglio, arricciando il naso di fronte a queste iniziative che mascherano una certa propaganda politica. Puntiamo piuttosto sul progetto della diocesi: interventi mirati, non a pioggia, che privilegiano chi non ha proprio nulla. Un giorno toccherà anche a noi: intanto andiamo avanti sul grande entusiasmo e sulla generosità di tanta gente”. La famiglia salesiana vanta certamente la più significativa tradizione italiana in materia di oratori. Ma oggi Borgo Ragazzi Don Bosco, la parrocchia di Gesù Adolescente, a Roma è qualcosa più che un oratorio: palestra, piscina, campi da gioco, e poi danza, musica, scuola di teatro, ma anche una casa famiglia, con un piccolo movimento di famiglie affidatarie. E vere e proprie missioni sul territorio in favore degli adolescenti. “La struttura è sorta nel ’48, per intervento dell’allora monsignor Montini, poi Paolo VI – ci spiega il direttore, don Maurizio Verlezza -. Con l’impegno dei salesiani le caserme di Forte Prenestino sono diventate scuole e camerate per ospitare i ragazzi di strada, i sciuscià, resi celebri dal cinema italiano del dopoguerra. Oggi gravitano continuativamente sull’oratorio circa mille ragazze e ragazzi dei quartieri Prenestino, Centocelle e Quarticciolo, fra i più difficili della capitale, con oltre 150 mila abitanti: qui si concentrano situazioni di pesante degrado sociale, dalla prostituzione ai viados, alla droga”. Di che aiuto vi può essere la legge sugli oratori? “Essenzialmente di riconoscimento del lavoro educativo sociale che svolgiamo. A supporto valoriale della legge c’è il principio di sussidiarietà: lo stato non deve intervenire dove vi siamo comunità già organizzate, come la nostra, in grado di offrire un servizio sociale ed educativo. La legge è solo un piccolo passo avanti: i bisogni strutturali degli oratori non vengono certo coperti da queste esenzioni fiscali”. Con quale spirito vi muovete in una realtà giovanile così difficile? “Ascoltare i bisogni e accendere i sogni dei giovani: è questa l’esperienza che l’oratorio dovrebbe fare, è questo ciò che il papa ha chiamato “un ponte fra la chiesa e la strada”. Don Bosco ci ha insegnato come fare: “Ama le cose che amano i giovani, ed essi ameranno le cose che tu ami”. Non basta accogliere i ragazzi così come sono: l’oratorio non è il parco giochi dei quartieri in cui mancano le strutture. È necessario percorrere un tratto di strada con i ragazzi e comunicare loro l’ideale che ci ha cambiato la vita: la scoperta che ogni uomo è mio fratello e che c’è più gioia nel dare che nel ricevere. I giovani accolgono altri giovani, secondo lo slogan: “giovani per i giovani”. Così anche nello sport, che qui viene praticato anche ad alti livelli, formando anche campioni nel calcio e nel basket: in cambio della disponibilità delle strutture per allenarsi e fare carriera sportiva, si chiede ai più formati di mettersi a disposizione dei più piccoli o di chi comincia, gratuitamente, la sola via per contrastare la speculazione commerciale oggi in atto nello sport”. LA NUOVA LEGGE E I SUOI DESTINATARI Il primo articolo sancisce che “lo stato riconosce e incentiva la funzione educativa sociale svolta nella comunità locale” degli oratori e parimenti delle altre attività similari svolte dagli “enti della altre confessioni religiose con le quali lo stato ha stipulato un’intesa”. Sono riconosciute come attività tipiche quelle “finalizzate a favorire lo sviluppo, realizzazione individuale e la socializzazione dei minori, degli adolescenti e dei giovani di qualsiasi nazionalità presenti sul territorio nazionale” attraverso una serie di progetti tipici dell’oratorio: diffusione dello sport, delle iniziative culturali del tempo libero, orientate a contrastare l’emarginazione sociale, la discriminazione razziale, il disagio e la devianza, favorendo invece la crescita della solidarietà, la promozione sociale, la cultura del dialogo e della pace. L’aspetto finanziario della legge verte sul riconoscimento degli edifici e delle strutture degli oratori fra quelle esenti dalla tassa sugli immobili, come già per i luoghi di culto, che viene rimborsata ai comuni. Allo stesso modo gli enti locali possono concedere l’uso gratuito di beni mobili ed immobili. La normativa estende a tutto il territorio nazionale le analoghe disposizioni regionali già in vigore da un paio d’anni in Lombardia e nel Lazio. Sono oltre cinquemila gli oratori in Italia, ma ben tremila di essi sono in Lombardia. Si stima siano frequentati stabilmente da circa un milione di ragazzi, ed occasionalmente da altrettanti. Circa 100 mila sono i volontari coinvolti a vario titolo, come catechisti, educatori, animatori, allenatori, responsabili e collaboratori. L’aiuto finanziario alla loro attività risulterà, a dir poco, simbolico, ma ” nuova legge – ha dichiarato don Massimiliano Sabbadini, presidente del Forum degli oratori italiani – più che per la ricaduta finanziaria, è importante come gesto di incoraggiamento a quanti lavorano in questa direzione”, sottolineando come il testo sia stato approvato con larghissima maggioranza. P.C.

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