Un “no” forte e chiaro ad ogni forma di violenza

La visita in Egitto del papa apre percorsi inediti nella fratellanza tra cristiani e musulmani. La dimensione politica e quella ecumenica
L'incontro tra papa Francesco e Sheikh Ahmed el-Tayeb, Imam di Al-Azhar, al Cairo. Un significativo momento di dialogo tra mondo cristiano e mondo islamico (AP Photo/Amr Nabil)

 

L’emozione è stata grande in Egitto, ma anche in tutto il mondo musulmano, sunnita in particolare, per la visita di papa Francesco al Cairo. Una visita voluta strenuamente dal papa, in particolare dopo la strage di Pasqua che ha colpito la Chiesa copto-ortodossa. Una visita che ha vissuto di tre dimensioni particolari: quella interreligiosa (con l’incontro per la pace nell’università al-Azhar, che significa “la splendente”), quella ecumenica (con l’incontro al Patriarcato di San Marco con Tawados II, patriarca copto ortodosso), quella politica (nell’incontro con il presidente al-Sisi). Tre dimensioni riunite da un unico atteggiamento fondamentale: «Sono qui come pellegrino» (a san Marco), «per camminare insieme» (ad al-Azhar), «per dimostrare che si può vivere insieme» (alle autorità politiche). Un fratello, cioè, che cammina accanto ai suoi fratelli. Un uomo che saluta i suoi simili con la formula di benvenuto del mondo arabo: «Al Salamò Alaikum».

I discorsi del papa sono stati importanti, ma senza mai essere disgiunti dall’atteggiamento fondamentale di umiltà, di umanità, di rifiuto delle posizioni di potere gratuito che lo contraddistinguono. Così la scelta dell’utilitaria non blindata, così la scelta di semplici sedie invece di troni, così il rifiuto di parole che sottolineassero le contrapposizioni, così la continua valorizzazione del patrimonio di civiltà dell’Egitto.

Significativo anche il fatto che Francesco abbia voluto cominciare il suo tour dalla visita ad al-Azhar, la maggiore istituzione culturale sunnita, faro per il 90% dei musulmani, nonostante la crescita delle tendenze radicali wahhabite e salafite, che stanno cercando da decenni si scalfirne l’autorità. Fu proprio con questa istituzione che in occasione del celebre discorso di Ratisbona e della strage di Santa Caterina nel 2011, papa Ratzinger ebbe da sopportare incomprensioni gravi (talvolta pretestuose), che interruppero a lungo i rapporti tra Vaticano e al-Azhar.

Alcune affermazioni pronunciate nel tempio della cultura sunnita resteranno nella storia, perché entrano fraternamente nei problemi principale della convivenza interreligiosa: «La sapienza ricerca l’altro, superando la tentazione di irrigidirsi e di chiudersi; aperta e in movimento, umile e indagatrice al tempo stesso, essa sa valorizzare il passato e metterlo in dialogo con il presente, senza rinunciare a un’adeguata ermeneutica» (apertura fondamentale dell’uomo al diverso da sé e lettura globale delle Scritture); «Specialmente interreligioso, siamo sempre chiamati a camminare insieme, nella convinzione che l’ avvenire di tutti dipende anche dall’ incontro tra le religioni e le culture» (il dialogo interreligioso è camminare, non affermare); «Il dovere dell’ identità, perché non si può imbastire un dialogo vero sull’ambiguità o sul sacrificare il bene per compiacere l’ altro» (parresia, non “politichese” anche tra religioni); «Educare all’apertura rispettosa e al dialogo sincero con l’altro, riconoscendone i diritti e le libertà fondamentali» (richiamo alla questione dei diritti umani inalienabili); «Il Sinai ci ricorda anzitutto che un’autentica alleanza sulla terra non può prescindere dal Cielo» (la base del dialogo è la comune radice nel Dio unico, che non va mai rifiutato dall’orizzonte della vita sociale).

Ancora, il papa ha voluto ad al-Azhar sottolineare come «la religione non è un problema ma è parte della soluzione». Mai schierare la religione dalla parte della violenza e della guerra), perché «la violenza è la negazione di ogni autentica religiosità. In quanto responsabili religiosi, siamo dunque chiamati a smascherare la violenza che si traveste di presunta sacralità» (chiarezza esplicita contro ogni violenza, anche quella terroristica): ancora, alto e forte «ripetiamo un “no” forte e chiaro ad ogni forma di violenza, vendetta e odio commessi in nome della religione o in nome di Dio. Insieme affermiamo l’incompatibilità tra violenza e fede, tra credere e odiare. Insieme dichiariamo la sacralità di ogni vita umana contro qualsiasi forma di violenza fisica, sociale, educativa o psicologica». Con un passo ulteriore da fare: «La religione non è certo solo chiamata a smascherare il male; ha in sé la vocazione a promuovere la pace, oggi come probabilmente mai prima» (ecco la vocazione prima della religione, portare alla pace e alla riconciliazione), sapendo che «per prevenire i conflitti ed edificare la pace è fondamentale adoperarsi per rimuovere le situazioni di povertà e di sfruttamento» (giustizia e pace vanno assieme). Così «è necessario arrestare la proliferazione di armi che, se vengono prodotte e commerciate, prima o poi verranno pure utilizzate» (un modo per demonizzare ancora una volta il cancro della guerra).

Anche in Egitto l’umanità disarmata di Francesco conquista i cuori e apre le menti con un atteggiamento “teologale”, cioè modellato sul Dio Trinità: nella franchezza, nell’umiltà e nella carità.

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