«Sono un miracolato di Gino Bartali»

Il 4 maggio il Giro d’Italia parte da Gerusalemme, per ricordare l’impegno di Bartali a favore degli ebrei, per cui ha ricevuto il titolo di "Giusto tra le nazioni" nel 2013 per aver contribuito alla salvezza di 800 ebrei durante l'occupazione nazista in Italia

Bartali portava i documenti, preparati presso la curia del cardinale Dalla Costa, agli ebrei che si erano rifugiati nei monasteri di Assisi. In questo modo, con questi documenti potevano passare il fronte. Un’ attività semplice legata alla sua fama di corridore, avendo già vinto un giro d’Italia e un giro di Francia.

In modo semplice Bartali consegna uno straordinario impegno umanitario e molti furono salvati, nei giorni peggiori della guerra. I permessi, preparati dai collaboratori di Dalla Costa, arrivavano a tempo e luogo e molti ebrei poterono passare la linea del fronte e raggiungere il risultato desiderato. Un miracolo in quei giorni terribili. Gino Bartali mette al servizio degli ebrei del centro Italia la sua abilità e la sua generosità, la sua fama e il suo coraggio.

Bartali non alimentava nessun sospetto ed era un uomo riconosciuto da tutti. In questo caso anche dalle SS tedesche. E si mise al servizio di una causa di libertà, di vita e di solidarietà. Bartali pone il miracolo della bicicletta e oggi gli ebrei lo riconoscono in modo solenne e riconoscente.

Io sono un miracolato di Bartali. Nell’agosto del 1945 scoppia la bomba atomica a Hiroshima e la poliomielite, una piccola epidemia di polio colpisce otto ragazzi, compreso me, nel comune di Porcari, alla periferia di Lucca. Solo a tre anni ho cominciato a camminare con il mio triciclo. Il triciclo diventa la mia seconda vita. E Bartali diventa un mito, il mio mito. Mio padre mi compra la maglia di Bartali. E io giro ore e ore al giorno intorno casa, come se fosse lo Stelvio o l’Izoard. E la piccola pendenza per salire in casa diventa come il Tourmalet. Spingo le mie gambe malate con le braccia sempre più vigorose e, girando intorno casa, imparo ad identificarmi con Bartali, con la sua dignità e la sua forza. Lo conosco nel 1950, mentre si avvia alla fine della carriera.

In questo modo ho cominciato a stare in piedi, a potenziare i miei muscoli assai fragili, a camminare con sempre minore fatica. Senza saperlo, Bartali diventa come il grande maestro, che si appassiona alla storia di un bambino, che piano piano si mette in piedi, per costruire la sua vita secondo una sua piccola e grande passione. Se non ci fosse stato l’incontro con Bartali, io sarei ancora in un letto a proteggermi, imprigionato dalla bontà di chi mi voleva bene.

Quante volte mio padre mi ha portato a vedere passare Bartali, per alimentare questa passione, per fare questa singolare fisioterapia, che nella mia vita ha funzionato. Se oggi Bartali fosse ancora vivo, andrebbe a vedere i bambini palestinesi di Gaza e di Betlemme, non si fermerebbe alle mura di Gerusalemme, non si sottrarrebbe all’aiuto umanitario e alla festa, per dare gioia insieme ai bambini palestinesi e ai bambini israeliani.

La Gazzetta dello sport, avallando l’esclusione dei luoghi palestinesi dal passaggio del Giro, mostra di non capire chi era e chi è Bartali. Bartali avrebbe visitato gli uni e gli altri, avrebbe superato e fatto superare i chek point, avrebbe abbattuto i muri per costruire ponti. I ponti creano futuro e non rubano la speranza, ma generano la politica dell’incontro e dell’amicizia.

Andando e tornando da Assisi, Bartali costruisce un ponte di futuro e di solidarietà e aiuta gli ebrei italiani ad andare al Sud, andando verso la vita. Oggi sicuramente, con una nube di bambini palestinesi e israeliani, più forti di qualunque soldato, senza violenza, ma semplicemente nella gioia della festa, vorrebbe insegnare la via della amicizia.

Bartali ci consegna ancora oggi la forza mite e disarmata dell’eroe buono, che continua a insegnarci che la vera sfida non è vincere, ma riconciliare. Senza Bartali avrei perso la vita, avrei mancato la via del coraggio, dell’uscire verso la pace, verso la salita e la discesa, verso la sconfitta e la vittoria, senza dimenticare che si può vincere la pace a condizione che nessuno se ne impossessi contro i fratelli più piccoli.

La Terra Santa è davvero la terra di tutti e nessuno se ne può impossessare.

Un invito ai campioni: dopo la prima tappa cronometro a Gerusalemme portino la maglia nella basilica di Betlemme, perché i bambini palestinesi possano riceverla come gesto di amicizia e di comunione. Gino Bartali ne sarebbe felice.

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