Un dramma politico che supera ogni fantasia

Sebbene abbia meritato una condanna per crimini di lesa umanità, l’ex dittatore Alberto Fujimori e la sua famiglia sono un fattore condizionante nella politica peruviana. Il problema sono le istituzioni deboli che non riescono a sostenere un corretto sviluppo

Forse lo stesso Shakespeare avrebbe fatto fatica ad immaginarsi la lotta per il potere che contrappone i membri della famiglia di Alberto Fujimori, l’ex dittatore del Perù. Oggi il capostipite di questa famiglia gode dell’indulto (accompagnato dalla grazia per la quale, teoricamente, non potrebbero riaprirsi i processi contro di lui), che gli ha risparmiato di compiere la metà dei 25 anni di prigione ai quali era stato condannato per crimini di lesa umanità.

Un provvedimento che è costata la presidenza a Pedro Pablo Kuczynski che, dopo essere scampato a dicembre ad un primo intento di destituirlo, giurando sfacciatamente ai suoi alleati che giammai avrebbe dato l’indulto a Fujimori, per poi farlo appena tre giorni dopo, venne di nuovo messo sotto giudizio a febbraio e in quel mentre colto con le mani nel sacco a comprare voti in cambio di opere pubbliche e prebende. E chi comprava i voti per restituirgli il favore dell’indulto era il figlio di Fujimori, Kenji, deputato al Parlamento monocamerale del Perù e dirigente del partito Fuerza Popular, al quale appartiene più della metà dei 130 seggi, e che è condotto da sua sorella maggiore, Keiko.

È stata proprio sua sorella in questi giorni a manovrare i fili della decisione del Parlamento di metterlo sotto accusa, insieme a due altri deputati, per l’acquisto dei voti, sospendendo momentaneamente le sue prerogative. Anzi Keiko avrebbe voluto destituirlo, ma non aveva i due terzi dei voti necessari per farlo. Se Kenji è legato al padre anche quale fedele discepolo politico, Keiko – due volte candidata alla presidenza persa per un pelo – è invece gelosa dell’ascendente paterno. Infatti, non era favorevole alla concessione dell’indulto che fu possibile grazie alla ribellione interna di suo fratello e di una decina di deputati. Il dramma si completa non solo con la storia oscura e corrotta dei crimini commessi da Alberto Fujimori negli anni ’90, ma anche con l’estromissione violenta della prima moglie dalla lotta famigliare per il potere, mentre era presidente. Nei prossimi giorni si aprirà un nuovo capitolo di questa storia: la Corte interamericana dei diritti umani comunicherà infatti la sentenza che ha riesaminato l’indulto concesso e potrebbe anche stabilire la sua nullità per la gravità dei crimini commessi.

Questo dramma reale, che supera la creatività dei serial di Netflix, è però anche il dramma di un Paese ancora diviso tra fanatici del clan Fujimori, nonostante l’inconsistenza delle proprie proposte populiste, oggi in balia dei voti di Fuerza Popular che controlla il Parlamento e col potere di rispedire a casa i ministri che non sono di suo gradimento. È successo con il dimissionario Kuczynski e può succedere in qualsiasi momento col suo debole successore, Martín Vizcarra, al governo da meno di tre mesi, con appena una dozzina di voti tra i deputati, e già con due ministri sostituiti per disguidi interni. Vizcarra è convinto che i prossimi mesi saranno portatori di ottime prospettive.

Nel 2017 l’economia è cresciuta di un ottimo 6%, quest’anno si stima che crescerà la metà e più del 4% il prossimo anno. Ma è una crescita che si basa sull’esportazione delle materie prime di cui il Paese è ricco, senza che ciò rappresenti un beneficio stabile in termini di industrializzazione e di economia sostenibile e non meramente estrattiva come l’attuale.

Ma per cambiare rotta occorrono istituzioni stabili, che assicurino continuità e politiche di Stato a medio e lungo termine, capaci di superare le disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza. Ciò che molti leader politici regionali non considerano è la incompatibilità tra le loro visioni a breve termine, spesso meramente elettorali, e lo sviluppo del proprio Paese. Nel frattempo si perdono occasioni utili per combattere contro la povertà.

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