Un autista inchioda il governo dei Kirchner

Una dozzina di imprenditori e funzionari dei precedenti esecutivi sono stati arrestati. Si ricostruisce la rotta del riciclaggio di decine di milioni di dollari pagati in cambio della realizzazione di opere pubbliche. Si arriverà a una sentenza?

Nel 2000 un tribunale argentino emise una sentenza che stabiliva l’origine fraudolenta di gran parte del debito estero contratto durante gli anni della dittatura (1976-1983). Furono queste le basi di un indebitamento sistematico che, nel 2001, condusse alla cessazione dei pagamenti (default). La perizia sui documenti ufficiali, inedita nella storia processuale argentina, poté stabilire il modo grossolanamente fraudolento col quale il debito estero crebbe senza ragione e a dismisura – circa 25-30 miliardi di dollari –, innescando una spirale di debiti che provocò la débacle. In centinaia di casi, si chiedeva in prestito una somma che veniva depositata nei giorni successivi presso la stessa banca che l’aveva concessa.

Le indagini seguirono le piste aperte da un cittadino indignato: Alejandro Olmos, che denunciò tali misfatti. Il “dettaglio” finale di questo triste episodio è che il giudice emise la sentenza 18 anni dopo l’apertura della causa. Nel frattempo i delitti imputati a ministri e funzionari di governo erano caduti in prescrizione. La sentenza fu praticamente la puntura di una zanzara sulla pelle di un elefante. A tal punto non preoccupò gli accusati, che questi non sentirono nemmeno la necessità di difendere il proprio buon nome. D’altronde, la massa schiacciante di fatti documentati non dava spazio a illazioni. Oggi pochi ricordano questo episodio.

Racconto tali fatti perché a Buenos Aires è esplosa una nuova bomba. Mesi or sono un giornalista ha ottenuto, vai a sapere come, otto quaderni nei quali un autista del numero due del ministero per le Opere pubbliche durante la gestione di Néstor e Cristina Kirchner, aveva annotato minuziosamente gli spostamenti realizzati per trasportare decine di milioni di dollari pagati agli emissari dei due titolari della Casa Rosada, da decine di imprenditori amici, beneficiati dall’assegnazione di opere pubbliche. L’autore degli appunti ha già ammesso che i quaderni sono i suoi e che quella scrittura è la sua. Le manette sono scattate per una dozzina tra imprenditori ed ex funzionari dell’allora governo.

Si conferma quello che ormai era un segreto di pulcinella, documentato finanche da video di altre inchieste nei quali montagne di denaro entravano in un ufficio, erano contati, messi in sacchi di plastica, pesati (un milione pesa poco più di 9 kg), o documentato dal caso del funzionario ministeriale beccato di notte mentre cercava di lanciare oltre il muro di un convento borse di plastica con 9 milioni di dollari. Una delle novità e che ora siamo in presenza di un testimone diretto che è disposto a collaborare e che ciò coincide col regime normativo che prevede la collaborazione di pentiti. Tra gli appunti vengono ricostruite riunioni con Néstor Kirchner e successivamente con sua moglie Cristina, indicazioni, specifiche di quali opere pubbliche fossero state assegnate. A confronto Mani pulite impallidisce davanti alla quantità di dati ormai conosciuti da innumerevoli inchieste.

C’è da dire che l’etica dell’equipe giornalistica è al di sopra della media: ha prima presentato tutta la ricostruzione davanti al giudice istruttore, per poi mesi dopo iniziare a pubblicarla. Ha fatto cioè la differenza tra un documento, i quaderni, le dichiarazioni contenute, e una prova, la trasformazione del documento in un elemento inconfutabile, ad esempio la perizia calligrafica che conferma chi ne sia stato l’autore, effettuata dal potere giudiziario.

Ma c’è anche da dire che Cristina Kirchner è senatrice, ed è uscita indenne dalle altre inchieste (altrove avrebbe rinunciato alla politica, lo hanno fatto ministri per aver plagiato capitoli di una tesi di laurea), i suoi colleghi di partito le hanno assicurato le garanzie come legislatrice.

La presentazione di dati acclarati non significa che si arriverà a un’azione efficace della giustizia. La storia argentina al riguardo non ha molti antecedenti di politici corrotti condannati. E il caso Olmos è lì a mettere in guardia dall’eccessivo ottimismo. Purtroppo, il potere giudiziario non è indipendente. L’attuale governo ha fatto di tutto per frenare la giustizia quando ha capito che Cristina libera assicurava una spinta a favore dell’esecutivo: o noi o lei, ergo la corruzione. Peppino De Filippo direbbe: «Ho detto tutto».

Prudentemente, conviene dunque attendere che i fatti maturino e che la giustizia faccia il suo dovere. L’unico dato sicuro è che non è più così facile organizzare la corruzione. Almeno questo.

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