Un assurdo compleanno

Incontro inevitabile, teatralmente, quello tra Fausto Paravidino e Harold Pinter. Con uno scarto di mezzo secolo d’età. Le affinità drammaturgiche del giovane trentenne – autore, attore, regista – con quelle dello scrittore premio Nobel, sono note per sua stessa ammissione. Paravidino in effetti ha iniziato a scrivere copiando Pinter, affascinato dal suo linguaggio. Ed ora eccolo mettere in scena un celebre testo del ’57 in doppia veste di regista e coprotagonista. Il compleanno, pièce scritta da Pinter all’età di 27 anni, è testo foriero di tante odierne ed enigmatiche violenze che – spiega Paravidino – affronta il tema dell’oppressione da parte di cattivi che agiscono in nome di una dittatura morale, non più quella dei padri, ma quella più attuale, dei figli, cioè dei giovani. Temi a lui consoni per motivi generazionali. Quello di Pinter è un teatro dell’assurdo, per quel rappresentare personaggi spesso incomprensibili, che compiono azioni meschine nelle loro necessità quotidiane; colti in situazioni apparentemente banali, strambe e imbarazzanti, che rasentano il grottesco. C’è sempre poi un passato ostile che emerge accendendo lo spazio di una memoria smarrita o occultata, che rimescola le carte e allarga le tematiche a più circostanze e chiavi interpretative. A questo si aggiunga la ricorrente tematica dell’invasione dello spazio domestico, metafora di una lotta in cui l’altro rappresenta una minaccia. Tutti ingredienti, drammatici e allo stesso tempo divertenti, che ritroviamo ne Il compleanno. Due ignoti visitatori (emissari di una misteriosa e spietata organizzazione), giungono inattesi nell’abitazione del misantropo Stanley – musicista fallito dal passato incerto che ha trovato dimora fissa in una pensione, accudito da una coppia di anziani – con l’oscura intenzione di stanarlo. Sollecitati dalla oppressiva, materna e civettuola locandiera, inconsapevole delle intenzioni dei due sicari, organizzano prima una festa di compleanno per il protagonista. Si accaniscono però su di lui terrorizzandolo con un insensato e surreale interrogatorio e torturandolo psicologicamente fino a provocargli una crisi isterica. La festa si trasformerà in un gioco al massacro che fa emergere un misterioso malessere – solitudine e disperazione – in tutti i personaggi. Molti sono i piani di lettura possibili di questo emblematico testo: dal non voler crescere e uscire dal confortevole mondo infantile, all’aggressività verso la figura materna, alla paura del mondo esterno.Ma vi aleggia più di tutto il senso di paura di essere stanati dal proprio . In ultimo, la paura della morte. Tutti questi piani di lettura sono però trattati col tono leggero della metafora. Alla ricostruzione di un dettagliato interno domestico, segue un andamento minuzioso della recitazione coi tempi lenti e le frequenti pause cariche di pesanti silenzi che presagiscono scardinamenti emotivi. Giuseppe Battiston, Stanley, ha il peso fisico e allegorico del diverso, nei silenzi espressivi come nelle esplosioni improvvise; e Paravidino, il boss e sadico persecutore Goldberg, risulta infine, dopo la perplessità iniziale, convincente nel suo gongolarsi volutamente sciatto con impennate canagliesche. Accanto a loro, altrettanto bravi, il duro socio Paolo Zuccari, la frivola madre Ariella Reggio, il marito Beppe Chierici, e la ragazzina Valentina Cenni.

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