Un amore integrale nella vita consacrata

Indicazioni, criteri e suggerimenti per la formazione alla luce della visione dell'amore che nasce dalla spiritualità dell'unità.
Integrazione

Dio è amore: in tutta la Sacra Scrittura è l’affermazione più chiara, bella e forte su chi è Dio. È il titolo della prima enciclica di Papa Benedetto XVI. È il primo dei cardini della spiritualità dell’Opera di Maria o Movimento dei Focolari. Come s’incarna quest’amore nel cuore dell’uomo, nel quale coesistono, e a volte si combattono, tanti tipi di amore? Come i diversi amori del cuore umano possono ritrovarsi unificati alla luce di quest’affermazione della Scrittura? Come il desiderio di Dio può arrivare ad esprimere ed unificare tutti i desideri autentici del cuore dell’uomo? È la sfida da sempre annunciata e mai del tutto compiuta che attende la Chiesa tutta ed ogni persona, e che acquista particolare significato per ciascun consacrato e consacrata.

Per trattare quest’argomento di per sé ci vorrebbero tre “nuovi” trattati – di teologia, di spiritualità e di psicologia – integrati in una visione interdisciplinare che renda ragione dell’unità inscindibile del cuore umano. Evidentemente ciò non è possibile, per cui ci si limita qui ad abbozzare alcune brevi ed essenziali osservazioni. 

L’uomo capace dell’Amore di Dio 

Dio è Amore: tutto ciò che esiste porta la Sua impronta, così che tutto il creato è originato e vive del Suo amore, ed a esso è indirizzato. La natura più profonda di ogni cosa e delle relazioni tra le realtà esistenti è l’Amore. I dogmi principali della fede – l’Unità e Trinità di Dio, ed il Mistero Pasquale del Signore Gesù – ce lo ricordano. La Scuola Abbà, citata nel precedente articolo, cerca di intuirne i fondamenti e le espressioni concrete. A quanti si soffermano a contemplare questa natura, ne è data talora una qualche comprensione intuitiva, nella misura della loro capacità di amare.

Nella storia concreta di Gesù, il Cuore di Dio si riversa nel cuore dell’uomo, così che questo è reso capace di tornare a riflettere l’immagine di Quello: nel Cuore di Cristo scopriamo il cuore di Dio, ed il cuore di Cristo è anche cuore di uomo. L’uomo è reso così in qualche modo “capace dell’Amore di Dio”. L’unica differenza con Cristo è il legame col peccato. È questa realtà che ha portato “confusione” nel cuore dell’uomo, per cui i suoi desideri non sono sempre orientati all’amore vero, ma spesso, sviati dalla concupiscenza, sono diretti a ciò che amore non è.

Riscoprire l’amore di Dio in Cristo e viverlo nella sua integralità è allora il destino di ogni persona: tutta la formazione nella Vita consacrata, iniziale e permanente, personale e comunitaria, tende a questa meta. Si può dire così che ha valore tutto ciò che è orientato all’amore di Dio e da esso nasce, mentre ciò che non lo è, deve venir meno. È questo un primo “faro di luce” ben chiaro, che tuttavia non sempre è facile tradurre in vita concreta: a livello di vita personale, comunitaria e sociale; a livello di strumenti, strategie e obiettivi di fondo. Tutto è chiamato ad esprimere unicamente l’amore, così che Giovanni Paolo II affermava che “solo chi ama educa”. 

Ma cos’è l’amore? 

Nella sua enciclica Deus caritas est, Papa Benedetto XVI parla di tre forme di amore: eros, filia ed agape. Negli articoli che precedono già se ne parla da un punto di vista teologico e spirituale. Vogliamo vederne qui alcuni aspetti legati alla maturazione umana, consapevoli che, come recita l’Imitazione di Cristo, “ciò che sta in alto non si regge senza ciò che sta in basso”; o più semplicemente, per considerare in pienezza il mistero dell’Incarnazione di Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo. Gli aspetti umani e divini sono in Lui, seppur distinti e non confusi, indissolubilmente uniti, mai separati; di conseguenza anche in ogni uomo, creato a Sua immagine e da Lui redento, essenza umana e partecipazione alla vita divina hanno tra di loro un rapporto simile: perciò non ha senso parlare di vita nello spirito prescindendo da precise dinamiche umane – come se queste fossero ininfluenti – e viceversa, almeno nella visione cristiana della vita.

Come evidenzia il Papa, i tre tipi di amore che egli descrive non possono essere separati tra loro, come se esistessero nella persona indipendentemente l’uno dall’altro; ma, pur essendo evidentemente ben distinti, sono strettamente intrecciati. Se si volesse introdurre una netta divisione tra loro, si opererebbe nella persona una scissione che riduce il suo mistero, e che potrebbe provocare anche immaturità e disagi di vario tipo. Perciò è lecito e doveroso parlare di “amore integrale”, che non elimina niente di ciò che è autenticamente umano, ma lo valorizza elevandolo alla misura della “piena maturità di Cristo”. 

Per un amore integrale 

Detto questo, c’è anche però da ricordare che eros, filia e agape non sono riducibili l’uno all’altro, ma sono presenti nella persona come ordinati a mete diverse ed aperti a significati distinti tra loro. Chi volesse approfondire, può trarre profitto dalla lettura del bel libro di C. S. Lewis “I Quattro Amori. Affetto, Amicizia, Eros, Carità”, scritto in stile scorrevole ed arguto, che investiga e svela in modo vivace i diversi tipi di amore.

Essi sono aperti, in modo diverso tra loro, all’orizzonte dei valori naturali, propri della costituzione psicofisica dell’uomo, a quello dei valori trascendenti, tipici della morale e della religione, ed a quello dei valori che si possono dire “congiunti”, poiché mediano tra i primi due tipi di valori. Così, se l’eros – l’amore tra uomo e donna – appartiene primariamente alla sfera dei valori naturali e l’agape – l’amore che viene da Dio – a quello dei valori trascendenti, la filia si situa piuttosto nell’ambito di valori congiunti: nell’amicizia vera c’è insieme un’attrazione naturale, ed una disposizione a volere il bene dell’altro che trascende il proprio interesse personale.

Benedetto XVI evidenzia come ciò che a volte nasce come attrazione spontanea orientata a “ciò che piace a me”, può poi crescere a contatto con l’altro (e tanto più con l’Altro in assoluto che è Dio) fino a colorarsi di una tonalità oblativa, che vuole il bene dell’altro anche a costo del sacrificio di sé: basti pensare all’amore materno. Ed in realtà tutte le forme di amore umano possono e sono chiamate ad avere questo tipo di sviluppo.

Perciò eros, filia e agape interessano la persona per così dire “a tutto campo”, investendo – seppur in modo diverso – i vari livelli del suo essere: quello psico-fisiologico, con gli istinti primari che l’uomo ha in comune con gli animali (p.e. l’attrazione sessuale in senso fisico); quello psico-sociale, con i bisogni legati alla relazione con i propri simili (p.e. il bisogno di amare e di essere amati); e quello spirituale, con i concetti, i simboli ed i valori più elevati (p.e. quelli della fede nell’amore di Dio).

La vita di castità, ad esempio, scelta dalla persona consacrata, impegna a tutti e tre i livelli fisico, affettivo e spirituale: nell’amore all’Unico Sposo si è chiamati ad unificare le proprie pulsioni ed i propri desideri in vista dell’amore più grande. Non per nulla anche l’amore di Dio per l’uomo, così come è espresso nella Sacra Scrittura, conosce sia la passione dello Sposo, sia l’affetto dell’amico, sia l’amore di chi si sacrifica per l’amato. 

Come è possibile l’integrazione? 

Allora, come sarà possibile l’integrazione armoniosa tra questi diversi tipi di amore, in vista di una sempre progressiva crescita umana e spirituale? È necessario che sia il livello superiore, quello spirituale, l’agape, a prendere la guida dei desideri più profondi e del comportamento, e che governi in modo consapevole e libero l’eros e la filia. Che ne sarebbe infatti di una persona che si lasciasse dirigere prevalentemente dai propri istinti “animali”? O di chi si abbandonasse all’imprevedibilità della vita affettiva? Sarebbe prima o poi destinata a constatare il fallimento della propria vita!

Ma per ben dirigere eros e filia, bisogna conoscerli: nessuno può guidare una macchina senza saperne il funzionamento! Ci potrebbe essere infatti l’illusione spirituale di chi, pretendendo di farsi guidare dall’agape, di fatto reprime senza accorgersene ogni altro tipo di amore. Anche in questo caso, la frustrazione che ne consegue, oltre ad esporre a diversi tipi di disagio, non favorirebbe ed anzi ostacolerebbe un amore vero ed integrale. Mentre molto diversa è la situazione di chi, ben consapevole dei propri istinti ed affetti, è capaci di offrirli come rinuncia in vista di “un amore più grande”.

Ora, “conoscere” – anche in senso biblico – significa anche “fare esperienza di”: non è possibile sapere cos’è l’eros – o la filia – senza averne esperienza, capirlo e rifletterci per prendere le decisioni conseguenti. Si vede allora come siano coinvolte insieme le sfere dell’affetto, dell’intelletto e della volontà; anche tra esse è necessaria un’integrazione armoniosa: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza” (Mc 12, 30).

Non sempre tuttavia la persona riesce a realizzare in sé quest’armonia: anzitutto perché ogni crescita autentica è graduale e necessita dei suoi tempi, come testimonia il cammino spirituale dei santi. Poi per i limiti di cui, pur essendo consapevoli, non ci si riesce a liberare; infine per i limiti di cui non si è consapevoli, che affondano le loro radici nell’inconscio. 

Tre modi di amare 

Può darsi ad esempio che ci sia la persona che sia pronta ad amare Dio con tutto il cuore, ma non coinvolga altrettanto le facoltà intellettuali e volitive: allora si può vivere una certa “illusione dei sentimenti”, per cui si pensa che amare Dio significa essenzialmente “sentire” la Sua presenza in fondo al cuore, o farne comunque un’esperienza “sensibile”. Portando all’estremo limite l’esempio, si assimila Dio ad un sentimento, e ci si abbandona a grandi entusiasmi per poi patire delle forti delusioni: ci si illude di essere innamorati di Dio, ma in realtà non si è capaci di discernere cosa Egli chieda in concreto, né tanto meno di realizzarlo. L’amore per Dio è un “fuoco di paglia”.

Oppure c’è chi ritiene che amare Dio voglia dire in primis “conoscere tutto” di Lui: allora la fede non ha dubbi, e neanche potrebbe averne, perché tutto è chiaro e preciso, guai a farsi domande che mettano in crisi la propria visione di Dio. Si vive allora una fede, sì, forse precisa nelle definizioni e nei dogmi, ma priva di apertura al mistero di Colui che è “Via” e, portando su strade spesso nuove ed ignote, richiede l’abbandono confidente tipico dei bambini.

O altri dedicano tutte le loro forze al servizio di Dio, visto come un insieme di “cose da fare” e di “regole da osservare”. Liturgie perfette, organizzazioni manageriali e osservanza letterale sono il “tutto” della vita di fede, che così diventa assai simile a quella dei farisei: apparentemente precisissimi nei loro doveri, ma in realtà aridi e chiusi alla “Verità” di Dio. 

Come un arcobaleno 

Sono, queste, descrizioni forse estreme, ma rendono conto anzitutto di come il vero amore è integrale e coinvolge in armonia tutte le facoltà dell’uomo: cuore, mente e volontà. Se così non fosse, non metteremmo a frutto tutti i talenti ricevuti, e devieremmo da un retto discernimento nello Spirito, sbilanciandoci nel cercare “una parte” invece del “tutto”.

Gli esempi citati ci fan poi riflettere che in fondo ciascuno di noi tende per natura a dare più spazio agli affetti, o all’attività intellettuale, o al “darsi da fare”: conoscendo le nostre inclinazioni naturali, abbiamo allora la possibilità di “purificarle”, integrandole con gli aspetti che ci risultano meno “spontanei” e tuttavia importanti per l’armonia di un’autentica vita con Dio.

Ma l’amore ha tante altre dimensioni concrete, ed in ciascuna ha da esprimersi per essere “integrale”, per abbracciare tutti gli aspetti della vita: è affascinante ed incisiva al riguardo l’immagine – espressa nell’articolo precedente di Ciardi – del raggio di luce che si rifrange nei vari colori dell’arcobaleno, come simbolo dell’amore che si manifesta nei vari ambiti, tutti informandoli di sé e perciò legandoli tutti in un’armoniosa unità.

Si comprende allora come la vita è “una”, e non è tale se accanto alla testimonianza evangelica non c’è l’unione con Dio, o se accanto all’impegno nel lavoro concreto non c’è anche quello per lo studio, o se manca il tempo per quell’accoglienza reciproca che rende armoniosa la convivenza e la cura dell’ambiente, oppure se, pur attenti a tutti questi aspetti, si trascura poi quella sana attenzione ai ritmi ed alle esigenze della vita fisica che ci aiuta anche ad “essere famiglia”. In questo Chiara Lubich è maestra, poiché mostra una spiritualità che, incarnata nelle diverse realtà della vita concreta, le riunisce tutte in armonia. 

Lo sviluppo della capacità di amare 

Ora, è evidente che un’integrazione così complessa di sfere, dinamiche e valori non nasce nella persona come realtà già “data”, ma è una conquista progressiva e continua che si attua nel corso dello sviluppo psicologico e spirituale. Possiamo allora dare uno sguardo, sia pur breve e sintetico, ad alcuni aspetti di questo cammino di crescita, insieme affascinante ed esigente.

Anzitutto, come ricordato sopra, è un cammino che, oltre alla crescita, conosce i suoi blocchi e le sue regressioni. Davanti alla possibilità concreta di difficoltà personali, ostacoli non superati, tappe di sviluppo attraversate solo parzialmente, si possono alimentare vari tipi di problemi nell’accettare se stessi e la propria situazione interiore. E si sa che, se non si accetta se stessi o una parte di sé, non si è neanche in grado di accogliere gli altri, o quella parte di essi che non si accetta in sé. Lo sviluppo della capacità di amare infatti ha sempre due direzioni: una verso l’altro e una verso di sé. Da qui gli antichi moniti del filosofo: “Conosci te stesso”. Ed il Signore: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mc 12, 31).

Ora conoscere ed accettare se stessi, pur se a prima vista può sembrare facile e scontato, è impresa tra le più ardue nella vita, e non sempre si riesce in essa, per lo meno in maniera integrale. Anche e soprattutto perché, per poterci accogliere, dobbiamo prima fare esperienza di accoglienza da parte di un’altra persona; e quest’accoglienza integrale, che anzitutto si sperimenta da bambini in genere attraverso l’amore dei genitori, non sempre è così “accogliente” e così “integrale”. Ci si può ritrovare allora con difficoltà lievi o anche più serie nella capacità di amare.

È qui che il “credere all’amore che Dio ha per noi” – che Benedetto XVI e Chiara Lubich ci presentano come la scelta fondamentale del cristiano – può diventare un fattore di identità e di crescita: Dio sempre e comunque ci accoglie, anche se le difficoltà interiori ed esteriori, di tipo fisico, psicologico o morale, fossero apparentemente insormontabili. “Credere all’amore” può aiutare allora ad avere una più sana stima di sé, nella consapevolezza che Dio ci ha creati per amore, che ha creato l’universo per amore di noi, e che ha mandato il Suo Figlio a dare la vita perché noi vivessimo del Suo amore.

La stima di sé, primo presupposto per amare se stessi, raggiunge poi il suo compimento quando troviamo il senso della nostra vita, la direzione verso cui camminare, il motivo che sostiene ogni nostro passo: così quando, nel rispondere con l’amore all’amore di Dio, scopriamo il Suo disegno sulla nostra vita: è la meta che dà senso al cammino! Così, grazie alla fede nell’amore di Dio ed al desiderio di corrispondere al Suo amore infinito, troviamo di conseguenza anche la nostra piena realizzazione personale. È evidente che in questo processo la persona ha bisogno di testimoni, di mediatori che, con il loro amore disinteressato, aiutino a scoprire l’amore inesauribile di Dio: Egli infatti ama rivelarsi all’uomo proprio attraverso i suoi simili. Così l’essenza dell’annuncio evangelico è l’amore e nasce dall’amore. 

Dilatare l’amore 

Se poi volessimo dare uno sguardo, sia pur sommario, allo sviluppo della capacità di amare, potremmo vedere come il cammino parta da un amore inizialmente centrato su di sé e si incammini verso un amore sempre più disinteressato e rivolto all’altro.

È questa una crescita progressiva, con le sue tappe concrete: ad esempio, da una fase di narcisismo iniziale, in cui la persona ama l’altro in quanto questi va a colmare un suo bisogno, si passa a voler bene cercando di soddisfare non i propri ma i bisogni dell’altra persona. Così da una fase di sfruttamento affettivo (“l’altro serve a me”) si passa alla consapevolezza di aver bisogno dell’altro (“tu sei importante per me”), cosa che rende più umili e attenti alle necessità altrui.

Per questo il Papa afferma che l’eros necessita di purificazione. Esso infatti è un tipo di amore che nasce come bisogno dell’altro: man mano che ci si avvicina all’altro, la spinta dell’eros è chiamata ad arricchirsi in conoscenza dell’altra persona e in volontà del bene altrui, che frutta nuove sfumature di sentimenti, come la gratitudine e la sollecitudine.

O, successivamente nello sviluppo, si passa da quel desiderio di piacere all’altro, che in fondo è ancora in parte egocentrico, perché è in vista di un ritorno (“Se io faccio ciò che ti piace, tu mi vuoi bene”), al desiderio del bene altrui indipendentemente da ciò che io ne ho in cambio. Perciò da una sorta di “do ut des” all’amore gratuito.

Ben altro spazio si dovrebbe dare all’argomento per chiarirne i vari aspetti, psicologici e spirituali, che sono coinvolti, e come essi si possano integrare armonicamente insieme in una crescita progressiva verso la maturità dell’amore. Basti però qui accennare come l’intuizione di Chiara, che propone a tutti “l’arte di amare”, risuona quanto mai ricca di sapienza evangelica ed umana insieme.

Un solo esempio: “amare tutti” è una qualità dell’amore che aiuta a “dilatare l’amore” su tutti, non solo le persone cui si è affettivamente più legati, anzi preferendo quelle che hanno maggiore bisogno. Ciò è di una potenza formidabile per aiutare a “non reprimere in cuore l’amore”, magari perché lo si percepisce come non ben indirizzato, ma, purificandone gli attaccamenti, a farne dono a tutti, ravvisando in ciascuno il volto di Colui che è “l’amore fatto carne”, il Signore Gesù. È Lui l’unico vero amore dell’uomo; Lui solo che, amando ciascuno in maniera infinita, può saziare la sete infinita d’amore del nostro cuore

Sarebbe bello approfondire allora il rapporto tra lo sviluppo della capacità di amare e l’Eucaristia, segno reale della presenza di Cristo in mezzo ai suoi; o le altre “fonti del divino”, come Chiara le chiama, prima fra tutte la Sua presenza “dove due o più…” che dà vita alla Chiesa. Ma lasciamo questo alla forza della contemplazione e dell’intuizione spirituale, basata sull’esperienza concreta della Sua vicinanza. 

L’amore centro della vita consacrata 

Un’ultima considerazione la riserviamo alla particolare condizione della Vita consacrata. Quali potrebbero essere le implicazioni dell’enciclica, e quali i suggerimenti che ci possono venire da quanto finora esposto? Indubbiamente sono numerose ed a più livelli. Ne vogliamo solo esporre molto sinteticamente alcune, per le quali quanto finora descritto sembra significativo.

Anzitutto ci viene detto qualcosa di fondamentale sulle scelte e gli obiettivi di fondo della formazione alla vita consacrata, come pure per quanto riguarda le strategie ed i mezzi per raggiungere le mete. Se l’affermazione “Dio è amore” è il centro della vita cristiana e “credere all’amore che Dio ha per noi” è la scelta fondamentale del fedele, ne deriva che tutta la Vita consacrata ed il processo formativo ha lo stesso “centro” e la stessa “opzione fondamentale”.

Prima norma sarà perciò che “al di sopra di tutto vi sia la carità, che è il vincolo della perfezione” (Col 3, 14): se da un punto di vista teorico ciò può apparire scontato, tuttavia è proprio vero che nella nostra vita di consacrati tutto nasce dall’amore? Ristrutturazioni, rifondazioni, programmi, progetti, modi di pensare, di fare e di sentire, ecc.? E poiché l’amore vive di una crescita e di una dinamica continua, si è centrati su “ciò che non passa” e nello stesso tempo si è sufficientemente flessibili per incarnare l’amore nei diversi momenti e situazioni di vita? Siamo qui a livello di considerazioni e scelte prese in modo razionale e logico, cui scienze come la teologia, la filosofia, la spiritualità fanno da supporto: è veramente solo l’amore l’orizzonte di fondo alla base di tutto, in particolare dei nostri pensieri e ragionamenti? 

Amare le persone 

Un altro grande campo d’applicazione è l’attenzione alle persone: è evidente che qui non si tratta solo di scelte razionali e consapevoli, ma di prendere in considerazione anche le dinamiche affettive e inconsce, altrimenti il cammino di crescita potrebbe avvenire solo alla superficie della personalità, senza interessare le motivazioni più profonde. Mettere l’amore al centro diventa così molto impegnativo, perché si tratta di discernere, e spesso accompagnare la persona in un cammino che non è privo d’ostacoli consapevoli e di difese inconsce: dinamiche spirituali e psicologiche s’intersecano a vicenda nella vita concreta, così da richiedere una conoscenza ed un’esperienza di esse, in una visione interdisciplinare.

Infatti, la stessa pregnante affermazione “Dio è amore” risuona in modo diverso in ciascuno: altro è il frutto che può dare nella vita di una persona spiritualmente matura e libera da difese inconsce, altro è quello che porta in chi, pur affermando di vivere il Vangelo, di fatto lo contraddice in modo più o meno velato a causa di spinte interiori di cui non è consapevole. Si può, ad esempio, amare i poveri perché in loro si scorge il volto del Signore, ma anche perché essi poi rendono il contraccambio in stima, affetto e considerazione, senza affatto rendersi conto di tutto ciò. O si può lottare per i diritti degli oppressi, cosa in sé lodevole e buona, ma con il fine inconsapevole di scaricare contro “gli oppressori” la propria rabbia repressa. Gli esempi potrebbero essere infiniti. 

La reciprocità dell’amore 

Infine vogliamo menzionare un altro ambito d’interesse, quello delle strutture della vita comunitaria, intendendo con questo sia gli Istituti di Vita consacrata in generale, sia le singole comunità, le organizzazioni più grandi come la convivenza di pochi religiosi o religiose. Come il vivere insieme riesce a tener conto della personalità di ciascuno, con i suoi bisogni concreti, in vista del raggiungimento degli obiettivi di fondo della vita consacrata? Come si possono incarnare le verità evangeliche, nel qui ed ora delle comunità, costituite da persone in carne ed ossa con una loro storia, valori, difficoltà ed esigenze?

Nasce allora un ulteriore campo d’attenzione in cui incarnare la Deus caritas est: quello dei rapporti tra le persone. Anche qui sarà importante tener presente i principi della fede e della ragione, ma pure il modo concreto di influenzarsi reciprocamente, che può esser più o meno maturo o difensivo. Ad esempio può capitare che in una data comunità sempre si trovi facilmente un accordo: è perché si è tutti capaci di dialogare apertamente, o perché c’è uno o un gruppetto che fa da leader e gli altri da “pecore”, senza che questa situazione possa essere espressa apertamente?

Oppure, come interpretare un determinato momento di contrasto nella vita fraterna: come un tornare indietro sui propri egoismi o come una crisi utile per la maturazione? È vero che l’amore è la chiave d’interpretazione “ultima”, ma, affinché questa possa essere effettivamente disponibile a tutti, c’è bisogno di prestare attenzione alle dinamiche tipiche delle relazioni interpersonali.

Ancora una volta si evidenzia come sia necessario mirare a vivere “un amore integrale”: che tenga in giusto conto le capacità razionali delle persone, ma anche le motivazioni inconsapevoli, le dinamiche individuali, come pure quelle interpersonali e comunitarie, gli obiettivi di fondo ma anche le situazioni concrete di persone e strutture. Se si perdessero di vista alcune di queste dimensioni, si vivrebbe un amore ancora immaturo e parziale.

Sono questi solo alcuni spunti, espressi in modo breve, dei tanti possibili suggerimenti che vengono da una visione integrale dell’amore. “Abbiamo creduto all’amore”: la conseguenza è la nascita della comunità cristiana, dove i fratelli si vogliono bene e vivono quell’amicizia nello Spirito che è pegno della Pasqua eterna, perché è espressione della presenza del Risorto. Con quell’amore che, come dice Chiara Lubich, è “come fuoco che brucia ciò che ha da cadere e lascia in piedi solo la verità”. 

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