Umanità di Tiziano

Per anni ho individuato Tiziano nell’Uomo dal guanto, fermo e misterioso custode delle proprie emozioni, che dal Louvre ti insegue e ti segue con lo sguardo verde e chiaro. Una tela degli anni venti del Cinquecento – quando il pittore era sui trent’anni – in cui pare fissato il carattere “prepotente” dell’autore e dell’uomo rinascimentale. Porta, questo giovane sconosciuto, infatti, un senso di dignità interiore altissima, che si traduce esternamente nella naturalezza della posa e nell’accostamento essenziale dei bianchi e dei neri. Il risultato è un’armonia tranquilla, quella che ci fa dire: Rinascimento è bello. Ritrovo uguale dignità nella galleria di personaggi che – attraverso sessantancinque opere in mostra – Tiziano ha osservato, conosciuto e poi sublimato lungo l’arco lunghissimo della sua esistenza: regine, cortigiane, sante; prelati, pontefici, mercanti, regnanti. Ma anche bambini e animali. Nessuno di loro- qualunque sia lo sviluppo della tecnica coloristica ed espressiva attraverso i decenni – ha mai un dubbio, un dolore espresso: l’umanità di Tiziano è forte nel dolore, libera dal sentimentalismo, sicura della propria coscienza. Così appare. Il trovarsi di fronte ad una tela degli anni Settanta del secolo – l’Apollo e Marsia di Kromerí ?z – scuote in verità questa nostra certezza su Tiziano. L’aria violacea dell’opera, dipinta a grumi e macchie, sa di sangue rappreso (penso al “Di sangue sa qui sempre” di Lady Macbeth nella tragedia scespiriana), ben oltre la crudeltà del soggetto: Mida ha osato sfidare nel canto Apollo e, vinto, viene scuoiato dal dio, mentre re Mida osserva pensoso. Un mito duro, dove l’uomo sembra inesorabilmente sconfitto. Tiziano, che si ritrae come Mida, non ne è convinto. Perché Marsia, appeso all’ingiù, le braccia abbandonate in una morte quasi redentrice, mantiene intatta la propria dignità di uomo superiore a qualsiasi sconfitta. In una sorta di crocifissione laica, ove la luce sul corpo del morente parrebbe acquistare una pregnanza simbolica quasi sacrificale. Tiziano è scosso dal dubbio, ma non urla, come farà invece l’ultimo Caravaggio, nel disperato (e disperante) Davide e Golia della Borghese: grido senza riposta, dal colore muto e sordo. Sensibilità diversa, differente visuale della vita: più “attuale” forse e perciò di più immediata lettura. Tiziano, nella tela di Kromerí?z, si interroga, parlando per simboli: il grigiore del cielo, gli alberi nella tempesta, il cane che lecca il sangue, un bambino che ci guarda. Sono immagini di tragedia, di interrogativi, l’antica sicurezza dei personaggi è sfaldata dagli “sfregazzi” del colore. Eppure, da questa tela così atroce, nulla parla di morte. Il nostro sguardo torna e ritorna infatti su Mida-Tiziano, vecchio che riflette sull’esistenza e sul bambino accanto, così caldo. Se Apollo, a sinistra, lascia il violino per eseguire il supplizio, dall’altro lato, opposto, la vita invece continua. È forse in questa fiducia nella vita la risposta che Tiziano ritrova, l’origine del suo equilibrio straordinario, la radice di quella sua umanità a cui rimane sempre fedele: dai ritratti “giorgioneschi” della giovinezza ai temi dolenti dell’estrema vecchiaia. Al di là dei mutamenti di epoche e stili. Questo Tiziano, che si lascia scuotere dalla vita, ma rimane sereno e costante nel dolore, è quello di oggi. Ci appassiona, parla ancora: forte e chiaro.

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