Ucraina: quando tutto è cominciato

Già un anno dalla rivoluzione della Majdan. Le attese disilluse, la guerra, le incertezze sul futuro. E tante vittime. Dal nostro corrispondete a Kiev
Ucraina

L’Ucraina ricorda la rivoluzione filo-europeista di un anno fa. Le proteste pacifiche iniziate nel novembre 2013 contro il rifiuto del governo di firmare l’accordo di associazione con l’Unione europea si trasformarono in manifestazioni di massa, con violenti scontri tra dimostranti e forze di polizia. Secondo il ministero della Salute morirono 105 persone, tra cui almeno 13 agenti di polizia. I feriti e i torturati furono molti di più.

Gli inquirenti hanno stabilito che la maggior parte delle persone uccise anche se disarmate erano state colpite da tiratori scelti con il volto coperto identificati, sostengono, come ex agenti del Berkut, la polizia segreta del regime Yanukovych. Però solo due ex agenti della polizia militare, fra i 16 arrestati nei mesi successivi alla fine delle proteste, sono rimasti in carcere, ancora in attesa di processo. Un terzo, rilasciato seppur con restrizioni di movimento, è riuscito a fuggire. I cinque ufficiali dell’Sbu, i servizi segreti di allora, che erano stati arrestati nello stesso periodo sono stati rilasciati.

Ma chi sono dietro le maschere che hanno sparto, e chi ha dato gli ordini? Tutto rimane sostanzialmente oscuro. Ovviamente la ipotesi più plausibile è che abbiano sparato sui manifestanti le forze speciali del regime di Yanukovych. Tuttavia ci sono una serie di altre spiegazioni che possono essere forse riassunte come la “teoria della terza forza”: un attore sconosciuto, nascosto dietro quelle maschere, un commando, avrebbe agito per destabilizzare il Paese. Si è spesso sottolineato, in effetti, che nel funesto giorno di febbraio 2014 erano stati uccisi sia manifestanti che agenti di polizia. Il che vorrebbe dire che qualcuno aveva preso deliberatamente entrambe le fazioni sotto il proprio fuoco, per innescare una forte escalation nel conflitto.

Una cultura dell’impunità profondamente radicata, la mancanza di esperienza e, in alcuni casi, la volontà di ostacolare le indagini stanno negando giustizia a centinaia di vittime che subirono la violenza della polizia durante le proteste di EuroMaidan. È quanto ha dichiarato oggi Amnesty International.

In questi giorni migliaia di ucraini si sono raccolti in piazza Indipendenza a Kiev, la celebre Majdan, per ricordare con una sommessa cerimonia il primo anno del massacro di manifestanti avvenuto proprio in quella piazza. La gente ha portato fiori e candele davanti a un monumento provvisorio a forma di croce per ricordare le oltre cento vittime della protesta e restare in silenzio davanti alle fotografie dei morti. La strada in cui i manifestanti furono uccisi dalle forze di sicurezza è stata avvolta da una luce rossa, mentre sugli schermi giganti scorrevano le immagini delle 100 persone uccise durante la “rivoluzione della dignità”.

«Qui c’erano, fianco a fianco, persone di diversa origine e fede», ha detto il presidente Petro Poroshenko dal palco eretto sulla piazza: «La rivoluzione è stata la prima vittoriosa battaglia nella guerra per la nostra indipendenza», ha aggiunto, attaccando la Russia per avere mandato «carri armati e razzi Grad» per tenere l’Ucraina nella sua orbita.

Raggi di luce hanno illuminato il cielo scuro, mentre un minuto di silenzio in memoria dei “cento del paradiso” è stato chiuso dall'inno nazionale ucraino. L'orchestra nazionale ucraina ha poi suonato il Requiem di Mozart sullo sfondo di un'enorme bandiera ucraina che fluttuava sullo schermo dietro al palco.

Un anniversario doloroso, dunque, in un Paese che continua ad essere alle prese con i combattimenti nell’Est del Paese, malgrado il cessate il fuoco in vigore dopo l’incontro di Minsk. Il Maidan è l’agorà, e nello stesso tempo il cimitero. Il luogo, ove sorge una nuova coscienza politica e il luogo della più grande tragedia dall'indipendenza ucraina. La rivoluzione non è ancora finita. È assai duro ricordare i volti delle persone uccise. Ma tutti hanno la speranza che almeno gli ideali per i quali sono morti diventeranno una realtà. Gli ucraini sono convinti che la loro energia, la volontà e la forza porterà il Paese verso un futuro migliore, un futuro di indipendenza, libertà, stato di diritto e democrazia. Ma la strada è lastricata di ostacoli.

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