Uccidere in nome della nostra identità?

Amare il prossimo tuo non è mai stato cosa facile, ma tale difficoltà si accentua se lo stile di vita condotto da questo prossimo è molto diverso dal mio: nella nostra società capita sovente di avere relazioni con chi non solo parla una lingua diversa, ma gestisce gli spazi privati e pure quelli comuni in modo nuovo e strano per il nostro abituale modo di vivere. La natura via via più globalizzata del mondo – pensiamo solo alle nostre città italiane -non consente quindi il lusso di ignorare le delicate questioni poste dal confronto fra culture e civiltà, dal cosiddetto multiculturalismo. Proprio su questi temi riflette Identità e violenza di Amartya Sen (Laterza, euro 15,00), l’indiano Premio Nobel per l’economia nel 1998, a buon diritto considerato uno dei maestri del pensiero contemporaneo. La sua tesi cerca di confutare l’idea, piuttosto conosciuta, della necessità del cosiddetto scontro di civiltà, secondo la quale è in corso una profonda battaglia fra cultura occidentale di radici cristiane e cultura islamica. Per Sen non si possono invece accettare certe semplificazioni che riducano ogni persona ad un’unica identità, ad esempio quella di essere un musulmano o un cristiano. Questo non ha senso per ciascun uomo preso in sé e per sé: la stessa persona infatti può essere, senza la minima contraddizione, di cittadinanza americana, di origine caraibica, con ascendenze africane, cristiana, progressista, donna, vegetariana, maratoneta, storica, insegnante, romanziera, femminista, eterosessuale. Inoltre l’illusione dell’unicità non ha senso neppure per le varie civiltà: infatti tale definizione non solo ignora le differenze all’interno delle civiltà identificate, ma anche trascura le ampie relazioni fra le civiltà differenti. L’imposizione di una sola appartenenza, sia essa una religione o una civiltà, a singoli e comunità è anzi divenuta troppo spesso il preludio all’esercizio della violenza e del settarismo belligerante. Dunque l’identità può anche uccidere, uccidere con trasporto : nel senso che l’attribuzione organizzata di un’identità può preparare il terreno a persecuzioni e lutti. Nello stesso tempo appare presuntuoso attribuire ad una sola civiltà il copyright di certi valori, ad esempio essere inventori o artefici della democrazia: Mandela e ancora prima Gandhi che portarono avanti un’idea politica che valorizzava certamente la partecipazione del popolo, non svilupparono la loro azione politica in un ambito propriamente occidentale. Rispetto a chi continua ad insistere sulla inevitabilità dello scontro di civiltà, Sen replica in modo quasi scontato che esempi di tolleranza e di intolleranza si sono sviluppati in terreni e culture cristiane tanto quanto tolleranza e intolleranza storicamente sono appartenuti ad esperienze e realtà islamiche. A meno che – si potrebbe aggiungere – non risulti funzionale creare un Islam per sua natura intollerante per consentirsi delle reazioni altrettanto intolleranti. In ogni caso come avviene per un cristiano, difficilmente un musulmano può avere come unica identità quella di essere musulmano. L’autore coniuga esperienze personali con una straordinaria ricchezza di riferimenti storici e culturali, in un linguaggio mai banale an- che se non sempre facile da seguire. Il mio primo contatto con l’omicidio avvenne all’età di undici anni. Era il 1944, nel corso degli scontri tra induisti e musulmani che hanno preceduto l’indipendenza indiana. Kader Mia era un musulmano, e per gli spietati criminali indù che lo avevano aggredito quella era l’unica identità importante. La violenza settaria oggi non è meno rozza. È una grossolana brutalità che poggia su una grande confusione concettuale riguardo alle identità degli individui, capace di trasformare esseri umani multidimensionali in creature a un’unica dimensione. Inoltre, la cultura e l’appartenenza religiosa, pur nella loro importanza, non sono gli unici elementi che determinano la nostra vita e identità (incidono anche il genere, la classe, la razza e pure altri fattori) e va ricordato che esistono grandi variazioni all’interno dello stesso panorama culturale. Questo dovrebbe far capire quanto sia parziale e istintivo criticare una nazione o un mondo; la critica ha una legittimità e un senso nei confronti di comportamenti di singole persone non di comunità: si può dissentire dalle scelte di Bush senza per questo diventare anti-americani. La riflessione affronta temi assai ricorrenti nel dibattito socio-politico attuale come la globalizzazione che non può essere semplicemente considerata la nuova calamità occidentale, ma può diventare un’opportunità per tutti cercando di coniugarsi ad una distribuzione più equa delle ricchezze. O come la lotta contro la povertà e le ingiustizie che si deve basare su nuovi investimenti sull’istruzione e scelte politiche più nette e coraggiose (forte è la denuncia del coinvolgimento delle potenze maggiori nel commercio delle armi). Sen affronta tali questioni con equilibrio e intelligenza insistendo molto sull’importanza di scelte individuali guidate dalla ragione più che dall’appartenenza: egli propone in alternativa ad alcuni modelli di analisi dominanti l’idea di un mondo pacifico, nel quale ciascun essere umano abbia la possibilità di realizzare il proprio progetto di vita. Ed in tale prospettiva di cittadino-mondo egli da grande responsabilità alle istituzioni e ai governi, ma anche ai singoli cittadini o alle organizzazioni non governative. In effetti una certa debolezza le tesi di Sen la manifestano quando egli cerca di spiegare i modi con cui creare un diverso metodo di relazioni fra gli uomini, constatato che quello che insiste sull’identità diviene pericoloso. A tale proposito, non risulta fuori luogo introdurre la categoria della fraternità proprio per creare quel cittadinomondo che Sen propone, fondandolo sulla comune appartenenza al genere umano e offrendo solo la ragione come elemento unitivo. In ogni caso il testo aiuta ad aprire la nostra mente a riflessioni non scontate, consentendo di mettere in discussione anche elementi in apparenza fondanti del nostro modo di pensare. Forse alcune nostre valutazioni dopo la lettura di Identità e violenza ci appariranno pregiudizi che non reggono rispetto agli argomenti presentati da un interlocutore che guarda il mondo con un punto di vista nuovo. Fra l’altro l’esperienza che si vive all’interno del Movimento dei focolari conferma quanto afferma Sen, visto che di frequente si possono trovare punti di relazione e contatto che percorrono differenti identità culturali e religiose. Non appare scontato ricordare che diversi fra islamici, induisti, ebrei, atei e cristiani si riconoscono non solo nella regola d’oro del non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te, ma anche nei contenuti e nella proposta di vita offerti nei vari interventi interreligiosi di Chiara Lubich.

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