Trump sceglie l’Arabia Saudita

Il presidente Usa firma 400 miliardi di dollari d’affari con Ryad. E parla di lotta al terrorismo. Gli inevitabili paragoni con il discorso di Obama al Cairo nel 2009

Donald Trump ha voluto cominciare il suo lungo viaggio in Medio Oriente ed Europa (tappe anche in Israele, in Italia, a Bruxelles per incontrare le autorità dell’Unione europea e a Taormina per il G7) dall’Arabia Saudita. Una scelta di per sé oltremodo significativa: primo, perché viene scelto un Paese mediorientale e non europeo per il primo viaggio fuori dagli Usa; secondo, perché tra tutti i Paesi viene scelto il Paese dei petrodollari, prima ancora di Israele, udite udite; terzo, perché la visita è stata innanzitutto un gran business, con circa 400 miliardi di dollari di accordi industriali e commerciali, di cui 110 per la fornitura di armi; infine, perché in questo modo Trump affossa la dottrina regionale di Obama, che mirava all’inclusione dell’Iran nel dialogo diplomatico, scegliendo decisamente il campo sunnita.

Appunto, non è possibile non fare paragoni con il discorso ai musulmani fatto da Obama nel 2009, appena eletto, al Cairo. Già di per sé la scelta era stata significativa, perché ciò avvalorava innanzitutto la scelta di rivolgersi ai “musulmani” (parola che aveva citato decine di volte, mentre Trump l’ha fatto solo un paio di volte), accompagnando l’interessamento per il mondo islamico con un’emarginazione dell’Arabia Saudita e un riavvicinamento auspicato a Teheran. Obama aveva centrato il suo discorso sulla necessità di essere inclusivi, di diminuire l’influenza militare Usa nella regione, di promuovere democrazia, libertà religiosa e diritti dell’uomo e della donna, emarginando i violenti e i terroristi. Trump ha ripreso in qualche modo questi argomenti, negando che la religione sia un fattore di divisione e di guerra, e anzi auspicando che le tre religioni monoteistiche s’impegnino per la pace. E ha insistito soprattutto sulla necessità che nei Paesi mediorientali le società stesse isolino il terrorismo. Ma come? Obama aveva auspicato un grande movimento di pensiero, culturale, mentre Trump ha chiaramente puntato su una grande azione militare.

Per Trump, quindi, il grande nemico è il terrorismo, e in secondo luogo Teheran. E le violenze mediorientali e l’incertezza degli scenari non impediscono di fare affari, e tanti e grossi. È questa la “cifra” del viaggio di Trump: combattiamo insieme il terrorismo (ma la responsabilità è vostra) e facciamo affari. Anche se l’interlocutore scelto, l’Arabia Saudita, ha ampie zone d’ombra nella lotta al terrorismo; anche se essa conduce guerre violentissime nella regione; anche se il suo territorio è il luogo dove meno si rispettano i diritti umani. Anche se… realismo della politica? Certamente. Ma con scelte di campo che potrebbero essere drammatiche a medio e lungo termine.

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