Ti offro un caffè?

Da una cultura del possesso a una cultura della condivisione. In linea con la Giornata Mondiale dei Poveri, molti indizi di un cambiamento

«Quando un napoletano è felice per qualche ragione, invece di pagare un solo caffè, quello che berrebbe lui, ne paga due, uno per sé e uno per il cliente che viene dopo. È come offrire un caffè al resto del mondo». Con queste parole Luciano de Crescenzo spiega un’abitudine che a lui, napoletano, pare ovvia. Ma tanto ovvia non è, a parte il fatto che i napoletani sono davvero un popolo naturalmente generoso. Nata in tempi di crisi, durante la Seconda guerra mondiale, la tradizione del “caffè sospeso” unisce due sentimenti: la felicità e la generosità. È la stessa “gioia di condividere” che papa Francesco ha mostrato in occasione della Giornata mondiale dei poveri, seguito a ruota da tantissime persone che singolarmente o riuniti in associazioni o gruppi hanno messo la propria casa, o beni, idee e talenti a disposizione dei più poveri.

La tradizione dei “caffè sospesi” si è diffusa dai piedi del Vesuvio alle Alpi e in Europa, grazie a una “rete” nata per volontà dei fondatori del Caffè Gambrinus, ed estesa, per analogia, anche ad altri prodotti: cornetti, colazioni, pranzi, pizze, pane, spesa. A Benevento i proprietari di un bar, dopo la chiusura serale, allineano su un mensolone all’esterno dell’esercizio cornetti e dolci invenduti, incartati accuratamente uno ad uno. Un dono inaspettato per chi non se lo può permettere, ma anche un esempio di lotta allo spreco quotidiano di cibo.

A Roma, nel quartiere della Garbatella, una buona pratica di mutualismo e accoglienza realizzata dai volontari di Casetta Rossa e di Baobab Experience – che si occupa di migranti in transito verso altre mete europee – propone di offrire un pranzo o una cena a chi non può provvedere da solo. Stessa esperienza a Torino, grazie alla Cooperativa “Sumisura”, composta da architetti e operatori sociali che lavorano per una rigenerazione urbana della città e gestiscono anche uno spazio e un fondo per i “pranzi sospesi”. Dalle mense ai libri, con le cassettine disseminate ovunque (prendi uno, lasci un altro, sempre a titolo gratuito), alle sciarpe. A Bologna, con l’arrivo dell’inverno, in due quartieri, San Donato e San Vitale, il gruppo Guardian Angels ha lanciato la proposta di legare ai pali della luce o agli alberi una “sciarpa sospesa” per i senzatetto, con un biglietto: «Non sono una sciarpa persa! Per favore, prendimi con te se hai freddo. Ti scalderò».

Non solo “sospesi”, ma anche “passati di mano” e destinati a nuova vita: sono i giocattoli, raccolti nelle piazze di molte città dalla Comunità di S. Egidio durante il mese di dicembre, in occasione di “Rigiocattolo”. L’iniziativa fa felici non solo molti bambini, ma anche l’ambiente: le componenti di plastica di molti giocattoli non sono riciclabili e una volta buttate finiscono in un inceneritore o in una discarica, continuando ad inquinare.

Sono solo alcuni esempi, tra i tanti, del passaggio ormai evidente da una cultura del possesso esclusivo a una cultura della condivisione, da un consumo individuale a un consumo condiviso. A tutti i livelli: se un tempo era “in” possedere una macchina lussuosa, oggi lo è molto di più utilizzare il car sharing, meglio ancora se la vettura è elettrica.

Di fronte a queste sfide, sta a noi cogliere e amplificare le occasioni e i modi per “condividere gioiosamente” quanto abbiamo, anche con l’aiuto della Rete, che rende semplice e alla portata di tutti fare un gesto di solidarietà. Come offrire un caffè.

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