È tempo di abbandonare la retorica della guerra

Pubbichiamo una lettera del nostro collaboratore Pasquale Lubrano, incentrata sulla necessità di operare una svolta davanti nella storia abbandonando, una volta per tutte, la falsa retorica fiorita nei secoli intorno all’amor di patria per giustificare inutili e orrende carneficine
Guerre napoleoniche. Foto Commos wikipedia

I nostri libri scolastici nel dividere la Storia dalla Preistoria, ossia l’epoca degli uomini primitivi e selvaggi, ci inducono a pensare che dopo quel periodo selvaggio duro e violento, sia cominciata l’epoca delle civiltà, l’epoca del progresso e che di conseguenza l’uomo primitivo sia del tutto scomparso e con esso la Preistoria, e che nessun paragone debba farsi, oggi, tra le guerre degli uomini preistorici e quelle venute dopo. Ho molti dubbi a riguardo!

Seppure ammantati di modernità, di progresso e di civiltà,  le guerre sia del passato che quelle in atto in questo terzo millennio, sono la diretta continuazione delle violenze preistoriche, che si avvalgono, sì, dei ritrovati delle scienze tecnologiche, ma che nella sostanza, nel nucleo fondamentale, restano identiche a quelle che gli uomini selvaggi della preistoria esercitavano.

Lo scrittore e politico francese Lamartine, nel 1840, nei suoi discorsi alla Camera cercava di far capire ai politici del suo tempo che, fin quando l’uomo considererà la guerra una realtà normale, da esercitare secondo le necessità politiche, l’umanità ritornerà a inabissarsi nella Preistoria, ossia in un’epoca in cui l’uomo esercitava unicamente sugli altri uomini il principio di dominazione sul quale fondava e organizzava la convivenza umana.

E fu proprio Lamartine a ritenere Napoleone uno degli uomini più selvaggi e primitivi dell’intera Europa, in quanto stava devastando con le sue guerre di dominio l’intero continente. Lo denominò a voce alta come l’Usurpatore, ossia colui che come il leone nella giungla, forte dei suoi poteri e della sua forza bellica, riteneva normale aggredire e possedere altre nazioni, lasciando morire migliaia e migliaia di giovani sui campi di battaglia.

E pertanto non esitò a gridare in Parlamento il suo “no alla guerra”, ritenendola un omicidio e suicidio legalizzato. Era assurdo e abominevole esercitare il proprio potere comandando a migliaia di giovani vite di armarsi e scaraventarsi contro altri giovani per ammazzarli.

Quanta retorica falsa ed ipocrita è fiorita nei secoli intorno all’amor di patria per giustificare queste inutili e orrende carneficine. Mio padre partì nel secondo conflitto mondiale per l’Albania, convinto di andare a difendere la patria: così scriveva a mia madre nelle sue lettere. Solo sulle montagne albanesi si rese conto che erano andati in Albania unicamente per togliere la patria agli albanesi e ai greci, per estendere il dominio degli italiani e mostrare i muscoli all’alleato germanico.

Dobbiamo oggi capire come poter sconfiggere questo abominevole uso della guerra che attualmente viene esercitato in più di 50 punti della terra, uccidendo milioni di vite umane e distruggendo interi territori. Basta pensare alla guerra in Siria che dura da più di 13 anni con un numero di morti enorme e con intere città distrutte.

I libri di storia sono tutti da cambiare perché raccontano le guerre non come il male in azione, ma come la più normale attività storica dei popoli.

Se un uomo uccide una donna, tutti denunciano quell’omicidio come “il male”. Ma se uno Stato occupa una nazione facendo morire centomila giovani, il libro di storia non afferma che quello Stato è uno Stato perverso, maligno e violento. Abominevoli poi tutti i film che presentano la guerra e ogni altro tipo di violenza esercitata dall’uomo sull’uomo come fatto naturale e lecito, addirittura come spettacolo. Essi sono culturalmente lesivi e fomentano la cultura della normalità della violenza dell’uomo sull’uomo.

Se l’umanità permette a un capo di Stato di mandare a morte i suoi soldati e di uccidere i soldati nemici, stiamo percorrendo la strada verso l’autodistruzione, perché ogni uomo si sentirà libero di esercitare la violenza quando gli aggrada o quando vuole manifestare la sua potenza su un altro uomo o su una donna. Senza quasi rendercene conto, siamo scivolati ancora nella preistoria e nella giungla e i progressi della civiltà, che pure ci sono, vengono oscurati dall’esercizio della violenza degli Stati, resi effimeri e poco incisivi nell’animo umano. Tristissima e dolorosa realtà. L’uomo, di fronte ad esempi eclatanti di bramosia, di gloria, di super poteri dominatori, ritorna inconsciamente ad essere il selvaggio della giungla, che esercita anche nel suo piccolo dominio il principio del leone.

Napoleone era l’usurpatore ma era anche l’imperatore con la corona d’oro in testa e c’è chi ancora lo venera come un grande uomo, solo perché, nel suo smodato desiderio di potenza, volle allargare i confine del suo regno. Che poi questo suo smodato desiderio abbia causato cumuli di  cadaveri sui campi di battaglia, costituiva un fatto del tutto secondario, quasi necessario, qualcosa di così poca importanza da non impedirgli di dichiarare altre assurde guerre. Se pensiamo anche noi così, come spesso i libri di Storia ci costringono a pensare, purtroppo siamo avvolti da una nebbia che ci riporta nella Preistoria.

Nasce allora la domanda: ci allontaneremo mai definitivamante dalla Preistoria per dare inizio alla vera Storia? Come scriveva  la scrittrice Anna Maria Ortese, ci allontaneremo dalla Preistoria, quando su questo piccolo “corpo Celeste” che è la Terra sarà presente nella coscienza del maggior numero di persone il valore della vita umana, di ogni vita, e si lavorerà insieme tutti per proteggere e curare questa vita. Possiamo aggiungere: quando tutti i giovani del mondo eserciteranno con diritto l’obiezione coscienza, e diranno no alla guerra perché la famiglia umana è una sola, e siamo tutti fratelli, affermando con forza: “Io non vado ad ammazzare un fratello”, come fece Caino.

Quando le famiglie diranno no ai libri di Storia come sono presentati oggi. Quando ascolteremo con più attenzione l’uomo di Nazaret, il Cristo, che parlò di amore tra gli esseri umani, di amore al nemico, di perdono, e pregò, prima di morire, il Padre perché tutti comprendessero che la famiglia umana è una sola. E, per aver osato manifestare questo suo pensiero, ai notabili del suo tempo, venne ucciso fuori le mura di Gerusalemme come il peggiore degli assassini.

Poteva iniziare allora la Storia, ma gli uomini fecero fatica ad accogliere quella sua proposta di vita e si ritornò spesso nella “Preistoria”. Le ultime due guerre mondiali ne sono testimonianza viva e crudele. E proprio durante l’altima grande guerra, una giovane donna italiana maestra e studentessa di filosofia a Venezia, Chiara Lubich, di fronte a quell’odio mortale che stava investendo il mondo, volle dare ascolto  alle parole del Cristo e fece propria quell’ultima sua peghiera: “Padre, che tutti siano una sola cosa”, e coinvolse, sotto le bombe, coetanei, famiglie, preti, politici, uomini di qualsiasi convinzione per costruire intorno a noi “una cultura di pace per l’unità dei popoli”. L’invito di questa giovane donna risuona ancora oggi nella vita di tanti in quasi tutte le nazioni del mondo, e ci sprona a lavorare ancor di più oggi che corriamo il rischio di una nuova catastrofe mondiale.

Lavorare insieme per la fraternità universale, per sconfiggere questo seme di violenza e di dominazione che ancora alberga in tanti esseri umani, realizzando ovunque, nelle nostre città, quel dialogo costruttivo della vita nel rispetto di ogni idea o religione e senza mai usare forme di violenza e affrontando invece insieme i gravi problemi che affliggono l’uomo contemporaneo, a cominciare dalla povertà in grande aumento “con vigore”.

Lo afferma oggi e lo ripete fino allo stremo papa Francesco in ogni parte del mondo nella indomita speranza che possa apparire all’orizzonte un’alba di pace.

 

Pasquale Lubrano Lavadera

Autore del libro “Anna Maria Ortese e l’isola di Procida: Storia di un epistolario” (IOD edizione)

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