Sulla pedofilia dibattito ancora aperto

Dopo le dichiarazioni del Primo ministro alla Camera, richiamato dalla Santa Sede il nunzio in Irlanda
Arcivescovo di Dublino

Tutta l’opera di rinnovamento in atto nella chiesa in Irlanda,  dopo lo scandalo pedofilia, è stata messa in dubbio dalla pubblicazione il 13 luglio scorso del rapporto governativo relativo all’abuso su minori da parte di preti nella diocesi di Cloyne, nel sud del Paese, tra il 1996 e il 2009. Nella società irlandese ha suscitato rabbia e incomprensione il fatto che una diocesi avesse proclamato la sua adesione alle norme e linea guida della Chiesa cattolica in quest’ambito e che poi nella pratica facesse esattamente il contrario.

 

C’e un aspetto che, però, ha attirato l’attenzione particolare di politici, giornalisti e commentatori, cioè, una lettera inviata a metà degli anni ’90 dall’allora nunzio vaticano in Irlanda che riferisce le “serie riserve” della Congregazione vaticana per il clero, guidata allora dal cardinale Dario Castrillon-Hoyos, sull’obbligo di denunciare i preti pedofili, obbligo contenuto nelle linee guida adottate della Conferenza episcopale nel 1995 (un obbligo, che paradossalmente non si trova nella legge civile).

 

Anche se non vi è assolutamente nulla nella lettera che suoni come un invito a non rispettare le leggi del Paese, il rapporto sottolinea che la lettera “ha in effetti dato ai singoli vescovi irlandesi la libertà di ignorare le procedure che loro stessi avevano stabilito e ha confortato e sostenuto coloro che (…), erano in dissenso dalla linea ufficiale della Chiesa irlandese”.

Il primo ministro, Enda Kenny, intervenendo a un dibattito davanti alla camera bassa del Parlamento irlandese, è andato oltre le dichiarazioni del rapporto e ha criticato fortemente la Chiesa affermando che il rapporto avrebbe «evidenziato il tentativo della Santa Sede di bloccare un’inchiesta in uno Stato sovrano e democratico» e avrebbe fatto «emergere la disfunzione, la discontinuità  e l’elitarismo che dominano la cultura del Vaticano».

 

Se, da una parte, in qualche modo, lo sfogo del Primo ministro ha dato voce alla rabbia della società irlandese, purtroppo non ha tenuto conto della riforma radicale introdotta nelle procedure della Chiesa e voluta fortemente dallo stesso Benedetto XVI, che ha molto incoraggiato questa linea di rigore. In più, come è stato osservato da alcuni commentatori, risulta curioso il fatto che la Santa  Sede venga criticata per non aver dato valore di legge canonica a norme a cui lo stesso stato irlandese non aveva ritenuto necessario dare valore di legge civile.

 

La decisione del Vaticano di richiamare a Roma, il 25 luglio scorso, il suo nunzio in Irlanda, ha fatto notizia in tutto il mondo. Lo scopo del richiamo è chiaro: aiutare la Segreteria di  Stato ed altri uffici del Vaticano coinvolti nella vicenda a preparare la risposta ufficiale della Santa  Sede al governo irlandese. A conferma della decisione l’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, in un’intervista lasciata all’ Insider Vatican ha dichiarato:  «Forse a Roma non si capisce il clima che esiste in Irlanda e in qualche commento da Roma manca una certa sensibilità verso il sentimento del popolo irlandese. Quando si tratta della sofferenza dei più innocenti, anche alle comunicazioni diplomatiche, non bisogna mai mancare di far trasparire i sentimenti del cuore e la sensibilità cristiana». La presenza del nunzio a Roma potrebbe aiutare, forse a dar voce a questo dolore e alle conseguenti parole di conforto.

 

Sotto sotto, si sente che la polemica attuale in Irlanda va ben al di là degli abusi sessuali sui minori. Si tratta di un grande scuotimento del senso religioso irlandese e su questo non si interroga solo la politica, ma anche  la Chiesa e non è facile in questo contesto mantenere razionalità ed equilibrio. L’arcivescovo Martin lo spiega bene a conclusione dell’intervista a Insider Vatican: «La crisi della Chiesa irlandese non è semplicemente una crisi legata agli abusi sessuali sui minori.  Questi sono sintomi di una crisi più profonda. È una crisi di fede, una crisi della trasmissione della fede e in molti casi di una mancanza di comprensione della natura della Chiesa. L’Irlanda è oramai una società altamente secolarizzata e molti guardano la Chiesa attraverso una lente secolarizzata, fino al punto che in un certo senso si potrebbe parlare di quello che io chiamo “un clima di eresia non dichiarata”». Le ferite sono ancora aperte.

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