“Straniere” di famiglia

Alexandra è un’infermiera professionale, è arrivata in Italia da sei mesi insieme al marito e ad una bambina di quattro anni. Ha un sogno: che il suo diploma venga riconosciuto nel nostro Paese e le permetta di svolgere quella stessa professione che ha esercitato per alcuni anni nel suo con una notevole differenza di stipendio. Sa che per arrivare a tale risultato i tempi sono lunghi e dovrà sostenere un severo esame di lingua italiana; proprio per questo ha deciso di trasferirsi da noi senza una sicurezza lavorativa ed economica. In contatto con una cooperativa di assistenza per anziani, non fatica a trovare un’occupazione come badante. Quando si presenta presso la famiglia che ne ha fatto richiesta, scatta una simpatia reciproca. Lei è una giovane signora, bella, garbata, intelligente; loro sono due anziani accoglienti alle prese con la malattia della moglie che non è del tutto autosufficiente. Alla domanda sul Paese di provenienza, Alexandra dice quasi sottovoce di essere rumena con un evidente imbarazzo che viene subito colto e superato anche dai figli della coppia. Prendono reciprocamente accordi e poi si danno qualche giorno per riflettere. Su quell’istintiva simpatia aleggia infatti un dilemma. Proprio in quei giorni, il neo ministro dell’Interno Maroni annuncia i primi provvedimenti in tema di immigrazione, che lasciano intravedere quel giro di vite sulla sicurezza già annunciato in campagna elettorale. Sembra addirittura che si voglia rivedere, in particolare per i rumeni, il Trattato di Schengen che regola la libera circolazione dei cittadini comunitari (sono le settimane in cui si sono moltiplicati sui nostri schermi gli episodi di cronaca nera con protagonisti, appunto, dei rumeni). Via via i contorni della materia si delineano e, anche se ancora oggi non c’è un provvedimento definito, certe dichiarazioni lasciano sperare che il buon senso prevalga sull’istinto a fare piazza pulita senza distinzioni. Niente sanatorie sugli immigrati irregolari, precisa a un certo punto Maroni, che però aggiunge: Terremo conto naturalmente di quelle situazioni che hanno un forte impatto sociale come le badanti. Non è giusto mettere sullo stesso piano chi viene per commettere reati, chi violenta una donna o rapina una villa, e chi viene e svolge un compito sociale importante. Quindi distingueremo . Tirano un respiro di sollievo migliaia di famiglie italiane e migliaia di badanti, tra cui anche la famiglia cui accennavo e la nostra Alexandra, che in realtà, provenendo da un Paese della Comunità europea, non ha bisogno del permesso di soggiorno ma di altri timbri che le concedano il nulla osta per lavorare e risiedere in Italia. Ma uscire dal sommerso e dall’illegalità non è facile neanche per chi lo vuole. Come testimoniano tanti che nei mesi scorsi hanno partecipato a quelli che, promossi dal ministero della Solidarietà sociale e dell’Interno della scorsa legislatura, sono stati chiamati i clic day, giornate cioè in cui si poteva fare telematicamente richiesta di un lavoratore straniero. 170 mila le quote fissate, 728 mila le richieste a dicembre 2007, di cui 400 mila per le badanti. Quote disponibili esaurite nel giro di poco. E per gli altri? Un problema col quale dovrà confrontarsi il nuovo governo, che alla fine non ha inserito la questione badanti nei provvedimenti urgenti sulla sicurezza varati dal primo Consiglio dei ministri, ma l’ha risolta con delle linee guida. Le quali, spiegano dal ministero del Welfare che segue la questione, potrebbero tradursi in un emendamento ai provvedimenti che saranno posti all’esame del Parlamento, in modo da produrre una soluzione tempestiva. In quanto all’annunciato decreto flussi specifico per colf e badanti, c’è chi ne parla come di una delle solite risposte tampone. Sergio Pasquinelli, dell’Istituto per la ricerca sociale, avverte: È un film già visto: la sanatoria del 2002 portò alla regolarizzazione di centinaia di migliaia di badanti, ma la situazione tornò uguale due-tre anni dopo. Il problema contingente può essere risolto solo con misure strutturali. Anzitutto va cancellata l’ipocrisia della chiamata a distanza. Quale famiglia assume un’assistente familiare che non conosce? In secondo luogo, va rivisto il sistema delle quote d’ingresso, che palesemente offre possibilità totalmente incongruenti rispetto alla domanda reale. E non manca la richiesta di ripensare le politiche migratorie in collegamento con quelle sociali. Ancora Pasquinelli sottolinea che i controlli nelle case, le espulsioni delle clandestine non appartengono al welfare che vogliamo. Ma nemmeno il pietismo di una regolarizzazione che tocca solo quegli immigrati ritenuti buoni perché entrano nelle nostre case e aiutano i nostri anziani. Perché noi non ne siamo più capaci. E dunque, anche per questo, l’immigrazione al femminile non può che crescere, come difatti è successo. Una presenza che, negli anni, è anche mutata. Si nota, ad esempio, che l’improvvisazione, seppur ancora relativamente diffusa, sta lasciando il posto ad una certa organizzazione. Sono stati istituiti albi professionali, sportelli di incontro tra domanda e offerta, si vanno progressivamente diffondendo percorsi formativi, selezioni di operatori, al fine di garantire da una parte un migliore impiego delle competenze professionali e dall’altra una risposta adeguata alle necessità di chi richiede un servizio delicato, spesso anche di assistenza infermieristica che non si può improvvisare. A volte sono le stesse immigrate ad organizzarsi in tal senso. Come è successo a Ferrara con l’Associazione Nadiya, speranza in lingua russo-ucraina, nata dalla locale fondazione Migrantes nel giugno del 2002. Svitlana Buryanova, russa, è la vicepresidente di quest’associazione. Ci conferma che la vita delle donne immigrate si è fatta più difficile di recente, soprattutto per chi non ha ancora un permesso di soggiorno. E sono molti i casi – ci spiega – in cui le famiglie non vogliono mettere in regola la loro badante perché questo aumenta la retribuzione. Tramite i giornali o la tv ci teniamo informate sui provvedimenti che il governo italiano sta prendendo e certamente cresce la nostra preoccupazione insieme all’angoscia. Sembra svanire l’ultima speranza di essere regolarizzate. Io lavoro da cinque anni e mezzo in una famiglia dove mi trovo bene ed è tutto in regola, ma ci sono anche casi spiacenti di immigrate che non vengono rispettate, cui non viene dato il permesso di uscire, che ricevono a volte meno attenzioni degli animali domestici. Per fortuna, però, sono casi rari. Rincara la dose il presidente di Nadiya, Roberto Marchetti, evidenziando le difficoltà, a volte i drammi di queste persone che arrivano in genere indebitate, con grossi problemi linguistici e di demolizione mentale, perché gente che faceva il medico deve mandare a spasso tutta la sua cultura e accettare lavori umilianti. Lei immagina una cardiochirurgo italiana fare da badante?. Dal punto di vista sanitario, poi, sono molto più vulnerabili, anche perché magari da anni non fanno un esame medico per mancanza di soldi, e la prevenzione è l’ultima delle loro necessità. Prima vengono il lavoro, il pagamento dei debiti, le rimesse ai familiari… C’è poi la realtà dei figli, in genere adolescenti, lasciati a casa, e verso cui si sentono in debito – continua Marchetti -. Succede così che le badanti esportino a casa loro il consumismo occidentale ed un ragazzo che ha la mamma in Italia viva con un reddito di gran lunga superiore a quello dei coetanei, perché le rimesse dall’Italia valgono, giusto per fare un esempio, otto volte la moneta ucraina. Inoltre, un aspetto poco considerato. Cosa succede quando una badante si ammala? È un sacco di rifiuti, un motore rotto che nessuno vuole – conclude Marchetti -. Per questo abbiamo degli appartamentini per l’accoglienza delle donne ammalate o in convalescenza. Siamo partiti dall’idea di aiutare loro, ma ci siamo accorti che in effetti stiamo sollevando le famiglie italiane da un problema morale, perché in questi casi non sanno cosa fare. Spesso le portano da noi chiedendoci di occuparcene. Non va infine taciuto il problema economico per le famiglie che con la presa in carico di una badante si assumono comunque un onere non sempre facilmente sostenibile. Non bastano certo le pensioni basse dei più, anche se unite ad un assegno di accompagnamento, a risolvere privatamente un problema che privato proprio non è. Come la mettiamo con chi non ce la fa? Tutt’altro che semplici le questioni! PIÙ DI UN MILIONE Sono tante le assistenti familiari, badanti o colf che dir si voglia, secondo dati forniti sia dall’Adoc (Associazione italiana consumatori) che dalla Uil. Stando a quanto rilevato dal sindacato, il 95 per cento di queste sono straniere e circa il 60 per cento lavora in nero. Hanno un’età media vicina ai 45 anni, molte sono diplomate o laureate, in maggior parte sposate e con figli, e alla propria famiglia mandano ogni mese almeno un terzo dei propri guadagni. Provengono principalmente dai Paesi dell’est europeo (Ucraina, Polonia, Romania, Moldavia e Russia), ma anche da Filippine e dal Sud America.

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