Storia sì, ma con leggerezza
Straripante di volumi d’ogni formato e spessore non solo negli scaffali delle librerie, ma un po’ dovunque c’è un appoggio, la casa dei coniugi Rognini su Lungadige Catena rivela gusti e tendenze di chi ci abita. Nel caso specifico, dell’amico Luciano, studioso di Storia dell’arte e della musica di Verona e provincia, noto in Italia ed anche all’estero per le sue pubblicazioni. Socio di tre Accademie e cofondatore del Centro di Documentazione per la storia della Valpolicella, collaboratore di numerose riviste culturali, richiesto per consulenze dalla Treccani, dal Victoria and Albert Museum di Londra, dal Metropolitan Museum di New York e dall’Università dell’Oklahoma, Luciano Rognini è una persona gentilmente schiva, ma che diventa loquace e s’entusiasma come un giovinetto, malgrado i suoi ottantasei anni, quando gli argomenti sono quelli che più gli stanno a cuore.
Non si tratta solo delle sue ricerche storiche sui governanti di Verona dalle origini ai nostri giorni, o di altre finalizzate alla conoscenza di artisti dimenticati o pressoché ignoti insieme ai tesori di antiche chiese della città scaligera. Per rilassarsi, infatti, Luciano scrive romanzi: storici, ovviamente, sul genere di Walter Scott e dal ritmo narrativo incalzante, i cui giovani protagonisti – fatti apposta per entusiasmare lettori adolescenti – maturano nel rodaggio dei sentimenti e nelle prove affrontate per superare pregiudizi e ostacoli alla propria realizzazione; romanzi attraenti anche per lo stile fresco e diretto (ma anche nelle pubblicazioni scientifiche Luciano ha il pregio di farsi capire anche dai non addetti ai lavori), dove sono in evidenza valori come la ricerca della verità, della giustizia, dell’autenticità anche nel campo religioso.
Nel concepirli, le idee frullano in testa al mio amico per un bel po’ prima di coagularsi in un canovaccio; mentre la stesura del racconto può richiedere anche pochissimi mesi. Gli argomenti? Mi è rimasta impressa la frase: «Mi attirano le cosiddette buone cause perse». Lo scenario storico è impeccabile, ma trattato con leggerezza, senza inutili appesantimenti: ciò che è tipico di chi nella storia si muove a suo agio e sa trasmetterne il carattere con pochi sicuri tratti.
Così è stato per la prima prova narrativa di Luciano a 70 anni suonati: Come Giulietta, un romanzo di amore contrastato e di avventura ambientato in Canada nella seconda metà del 1700, al tempo del conflitto franco-inglese. E così pure per il successivo Il falco e l’aquila, che mi ha tenuto anch’esso sveglio fino a tardi per seguire le movimentate vicende dei personaggi principali: stavolta siamo nel XIII secolo, epoca dell’ultima grande invasione dei popoli delle steppe nell’Europa orientale. Qui al drammatico scontro tra culture diverse corrisponde la rivalità tra l’onesto e poco loquace Andrea e il brillante e spavaldo guerriero Janutz, entrambi in lizza per la conquista di Edvige, la bellissima nipote del duca di Masovia, uno dei piccoli Stati nei quali si trova suddivisa la Polonia del tempo. Tre giovani coinvolti nella grande sfida per il proprio futuro, intrecciata alle forze ostili che minacciano la pace e la libertà della patria; personaggi di fantasia, mentre alcuni secondari del romanzo sono realmente esistiti.
Mentre leggevo e parteggiavo per Andrea, innamorato senza speranza almeno inizialmente, mi sembrava di cogliere in questa figura “positiva”, colta e con un incarico nella Cancelleria ducale (ma si rivelerà anche uomo d’arme audace in battaglia) i tratti dello stesso Luciano, identificatosi con lui. Quanto a Edvige, affascinante figura femminile di cui l’amico così bene descrive la metamorfosi da fanciulla amante dei bei vestiti, delle feste e degli omaggi dovuti ad una discendente da Piast a donna via via innamorata di chi veramente merita dei due pretendenti, ho il dubbio che gli sia stata ispirata da Albarosa, la consorte così estroversa e gioiosamente vitale quanto lui è pacato e riflessivo. Bisognerà chiederglielo prima o poi. Il racconto procede emozionante fra intrighi degni di Dumas e – a coronare l’immancabile lieto fine – un colpo di scena che mette a posto le cose, ristabilendo giustizia e verità.
Ultima pubblicata, la dilogia Bretagna inquieta, sull’insurrezione dei contadini in Vandea al tempo della Rivoluzione francese, e La congiura, indagine su un re scomparso: Luigi XVII, l’infelice figlio di Luigi XVI e Maria Antonietta di Asburgo-Lorena, lasciato morire in prigione a dieci anni. E un terzo romanzo sonnecchia nel cassetto, ma l’autore non si decide ancora a consegnarlo a Bonaccorso, l’editore dei precedenti: vi è narrata la fine silenziosa dell’Impero d’Occidente, rivisitata attraverso la vicenda di Romolo Augustolo, l’ultimo imperatore, e di suo padre Oreste.
Insomma, Luciano, partito dal XVIII secolo, fatta incursione nel XIII, dopo un duplice ritorno al XVIII è planato nei secoli V e VI, l’epoca a lui più congeniale: non per niente i suoi maggiori interessi vanno al periodo tardo-romano e bizantino. Anche in questo nuovo lavoro – ma già l’autore ne sta meditando un altro, ambientato nel XVI secolo, l’epoca di Elisabetta I Tudor regina d’Inghilterra e d’Irlanda – sono protagonisti ancora dei giovani che affrontano le sfide di contesti storici piuttosto problematici. Ormai è evidente: cultura e capacità letterarie Luciano ama metterle al servizio soprattutto delle nuove generazioni con un filone narrativo che, come lui suole ripetere, è allo stesso tempo una rilassante alternativa alle sue ricerche di studioso.
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