Stato e azzardo. Intervista a Maurizio Fiasco

Lo strano caso italiano dell'incentivazione di massa all'azzardo. Dialogo con uno dei massimi esperti del fenomeno con riferimento all'iniziativa di Slot Mob su "forza delle multinazionali e debolezza della politica". Il posto della Costituzione 
Roma 23 Maggio 2015 La Campagna Slotmob contro la diffusione del gioco d’azzardo legalizzato a organizzata una marcia nel quartiere Tiburtino consegnando degli adesivi ai bar slot-free che hanno rinunciato agli introiti dell’azzardo per un puro gesto di responsabilità, e che sono stati premiati, con una colazione di massa, dei partecipanti alla marcia. Rome May 23, 2015 Campaign Slotmob against the spread of legalized gambling in a march organized in the district Tiburtino delivering stickers to bar slot-free that they gave up to the revenue of chance for a pure gesture of responsibility and have been rewarded with a Breakfast mass of marchers.

Il professor Maurizio Fiasco, esperto della Consulta nazionale antiusura e Presidente dell’Associazione per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio, è una vera autorità nel campo della ricerca seria e approfondita sul fenomeno dell’azzardo e dell’usura.

La sua analisi puntuale e precisa ha smontato il racconto prevalente sostenuto dall’industria del settore e ripetuta da molti esponenti politici che hanno spalancato le porte dell’Italia al fenomeno di azzardopoli con un consumo ossessivo che ha raggiunto il primato in Europa nel pieno dell’impoverimento generalizzato della società.

Alla vigilia dell’incontro promosso da Slot Mob sulla proposta di togliere le concessioni del settore “giochi di azzardo” a multinazionali e società commerciali per andare alla radice del problema e in coerenza con la Costituzione, abbiamo rivolto al professor Fiasco che, proprio per il suo impegno, ha riconosciuto una pubblica onorificenza dal Presidente della Repubblica Mattarella al quale il Movimento Slot Mob ha chiesto di mandare un forte invito a prendere una posizione pubblica come custode della Repubblica democratica fondata sul lavoro.

 

Slot Mob chiede di rimettere in discussione l’intero sistema delle concessioni dell’azzardo per escludere le società che ne fanno profitto e ridare allo stato la gestione del settore in modo che non sia incentivato ma regolamentato con responsabilità. Cosa ne pensa?

Qui si rivela il paradosso – anzi la manipolazione istituzionale – che ha reso possibile l’elefantiasi del gioco d’azzardo in Italia. Ricordiamo alcuni tratti dell’operazione. Ancora oggi per giocare con denaro, per denaro e a scopo di lucro occorre una deroga – si vorrebbe eccezionale – al divieto imposto dal codice penale.

Fino agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso tale deroga era pressoché tutta gestita direttamente dall’Amministrazione dello Stato. Monopolio di monopòli: il Lotto insieme a “sale, tabacchi e valori bollati”. Saltuariamente lotterie collegate a spettacoli o ad eventi locali saltuari. Quindi quattro casinò – tutti autorizzati prima della Repubblica – e corse ippiche nei catini attrezzati fuori della città. La domenica, il Totocalcio e il Totip.

L’aspetto sconcertante è che il quadro giuridico e fiscale della gestione diretta dello Stato è stato traslato nell’affidamento dell’offerta ai Concessionari.

 

Cosa ha significato questa operazione?

Qui occorre dare una minima spiegazione: l’istituto della Concessione consegna a un privato lo sfruttamento di un bene pubblico non dismissibile. In pratica il Concessionario è il privato che svolge in outsourcing una funzione statale! Paga gli oneri della concessione e non è responsabile delle conseguenze dell’offerta commerciale che distribuisce. Basta che operativamente non violi la lettera della concessione.

Lo Stato dunque (è paradossale) già gestisce direttamente il gioco d’azzardo (ribattezzato con un florilegio di espressioni garbate e grottesche, tipo “gioco con alea con posta in denaro”, giochi di abilità a distanza ecc. ecc.).

Senza lo Stato Interventista in economia – in pratica i Monopoli sono come una sopravvissuta IRI e EFIM – il consumo di gioco d’azzardo non avrebbe conseguito i numeri agghiaccianti che segno ogni anno (superando il limite ogni volta dell’anno precedente).

Il Monopolio dello Stato, in altri termini, funge da scudo ai concessionari che quindi non possono essere citati in nessun giudizio di responsabilità civile, penale e amministrativa! Salvo che non violino la lettera del capitolato d’oneri della concessione.

Altro paradosso: se invece dello Stato interventista nell’economia del gioco d’azzardo, si avesse la libertà d’impresa nel gambling (ma allora sarebbe impossibile, grazie al nostro quadro costituzionale…) non si sarebbe arruolato un intero popolo allo sperpero di reddito familiare in lotterie, scommesse, slot machine ecc. ecc…!

In altri termini sarebbe stata possibile avviare una class action contro i privati. E questi ultimi, nel realizzare il loro business, sarebbero apparsi addirittura più vulnerabili alle rivendicazioni sociali e in sede giudiziaria.

 

 

Le sembra una proposta sostenibile tecnicamente quella di estromettere multinazionali e società commerciali da questo settore? Si può disintossicare un sistema ormai così patologico senza aprire i casinò fuori legge? 

Ottusità della classe politica – in pessima compagnia con la classe burocratica delle amministrazioni statali – equivale alla prova ontologica dell’esistenza di una vera e propria “addiction fiscale”.

Del tutto simile a quanto verificatosi con la commercializzazione, monopolistica anch’essa, del tabacco da fumo.

Si dipende da una patologia di massa – correlata a nocività umane, cliniche e relazionali apocalittiche, anzi da Olocausto: 85mila morti l’anno per tumori ai polmoni! – per rifornire la burocrazia delle risorse monetarie con le quali autoperpetuarsi.

A fronte di 14-15 miliardi di ricavi dal monopolio sul tabacco si trasferiscono almeno 40 miliardi di oneri al Servizio sanitario nazionale per il trattamento – spesso senza alcuna speranza di guarigione – del cancro ai polmoni.

L’industria del tabacco – è davvero il caso di gridarlo! – presta i soldi allo Stato italiano al tasso annuo di almeno 250 per cento di interesse!

Il gioco d’azzardo fa altrettanto. Ma è meno percepito. Perché fino al 2012 il ministero della Salute non riconosceva la patologia.

Un costo aggregato dei presunti benefici fiscali del “gioco con alea con posta in denaro” porta a stimare una vera e propria voragine per tutti i bilanci:

a)      delle famiglie italiani distrutte dai debiti e dal conflitto intradomestico;

b)      delle aziende dove lavorano dipendenti che scommettono e rilanciano (furti, assenteismi, appropriazioni indebite, incidenti per inosservanza delle norme sulla sicurezza nell’ambiente di lavoro, violenze, reati correlati ecc. ecc.);

c)      delle pubbliche amministrazioni, sia per i costi aggiuntivi di welfare e sia per i costi di servizi per l’ordine e la sicurezza pubbica;

d)      dell’economia e dei consumi, con conseguente perdita di capacità produttive nazionali e di posti di lavoro e quindi con effetto depressivo letale;

e)      delle entrate tributarie dello Stato: le perdite da ristagno della domanda interna e da costi del SSN erodono, non compenandole, i ricavi fiscali dall’azzardo (in alcune modalità, prossime perfino allo zero, come nel caso delle scommesse virtuali e dei casino on line: che assorbono circa 18 miliardi di euro!)

f)       del benessere (non solo materiale!) dei cittadini, inficiato dalla miserrima qualità dei rapporti interpersonali risultante dall’abuso di massa di gioco d’azzardo.

 

 

Passando alla questione politica, che idea si è fatta dello strano caso dell’azzardopoli italiana?

Ormai siamo di fronte ad un’antinomia tra la commercializzazione eccessiva del gioco d’azzardo, alla quale ancora non si pongono limiti, e la democrazia. Mi colpisce come non scatti un alert – intendo dire da parte dei reggitori della cosa pubblica – quando il consumo e le correlate patologie raggiungono volumi pari a quasi un decimo della spesa privata delle famiglie, con riflessi su oltre un terzo del tempo sociale di vita dedicato dagli italiani alle vacanze. Quasi 90 miliardi in denaro (previsione 2016) e oltre 70 milioni di giornate lavorative. Un dirottamento della domanda di beni e di servizi verso il mercato dell’alea davvero impressionante, che non è raffrontabile a quanto avviene in nessun altro paese dell’Ue.

Se tale è la “contabilità” dell’azzardo offerto con la concessione statale, vi è nondimeno da proporre una lettura etica di queste cifre, laddove si tratta di un’offerta commerciale di gratificazione e di speranza “aleatoria”. Come si giustifica – alla luce dei valori dell’ordinamento costituzionale – un monopolio dello Stato sui giochi con posta in denaro che consegue tali cifre aggregate? Un monopolio, intendo dire, che non è esercitato (come avveniva fino agli anni Novanta del secolo scorso) per contenere la propensione a dissipare reddito personale.

 

Che mutamento è avvenuto nella gestione statale?

Da almeno tre lustri è invece proprio lo Stato (su deliberati del Parlamento e del Governo) che induce un intero popolo, composto di persone di ogni età e sesso, a versare somme crescenti del loro budget in slot machine, lotterie, casinò on line. Come si può dichiarare la legittimità, anche formale, di tale operazione? Con una ristrutturazione-manomissione linguistica e retorica. A iniziare dalla stessa parola che designa l’oggetto. A rigore si tratta di gioco “con denaro” e “per denaro”, rivolto a perseguire un fine di lucro dal risultato causale di una “macchina” o di un “meccanismo”.

Ipocritamente sopravvive il tabù ad impiegare – nei testi normativi dello Stato – proprio la dizione “gioco d’azzardo”. Tranquillamente perciò si replica, ogni giorno, nei documenti ufficiali, una marchiana impostura. È strutturalmente gioco d’azzardo, è reddito privato destinato a un impiego a altissimo rischio. Ma non è denominato di conseguenza.

Per parlare infatti di azzardo devono aversi tre elementi: il rischio, il denaro e il risultato ottenuto attraverso il caso, in modo totale o assolutamente prevalente. È chiaro che l’alea, in diversa dose, è presente nell’alchimia di ogni attività umana. Ma nel gioco “con denaro” e “per denaro”, è presente in misura schiacciante. Impostura terminologica che si combina con un altro vulnus alla vita democratica, al principio di pubblicità.

Ebbene, se lo Stato ha il monopolio del gioco così inteso, dovrebbe rendere accessibili le informazioni e i dati su tale attività, perché si formi un’opinione pubblica, una valutazione o una critica. Invece i dati sono forniti in ritardo, in modo aggregato, senza l’elenco delle variabili fondamentali e con aggregazioni che non reggono. Ed è paradossale che nessuno, nelle sedi del controllo politico sull’operato delle amministrazioni dello Stato, cioè in Parlamento, imponga il rispetto di tale elementare dovere da parte dell’ente di scopo – i Monopoli – che “gestiscono” ormai quasi 90 miliardi annui (sempre restando alla quota ufficialmente registrata e escludendo il “nero”).

qui il video dell’incontro promosso da Slot Mob Incontro Slot Mob Azzardo multinazionali e politica 16 dicembre 2016

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