Squadrare il foglio

A-B: vengo da Dio. B-C: la vita è breve. C-D: la morte è certa. D-A: vado a Dio.

Quando ero alle medie mi accorsi con delusione di non saper disegnare gran che: ricordo con raccapriccio i pietosi risultati del mio chiaroscu­ro; la mia matita invece di accarezzare e sfumare sembrava imprimere duri baffi sull’ipotetica anfora nel suo profilo mal evocato. Ma una cosa la imparai, che poi mi è rimasta in mente come metafora: a “squadrare il foglio”.

Si prende il foglio bianco da disegno, si tracciano dai quattro angoli due lievi diagonali incrociate, poi si contano su ognuna di esse due centimetri a partire dagli angoli, si unificano i quattro punti, si cancella il resto, ed ecco squadrato il foglio. Questo sanno farlo anche quelli che co­me me amano molto l’arte ma non ne sono altrettanto riamati.

 

Come metafora, dicevo; ma a volte le metafore sono molto più solide di quanto si crede. Nel tempo ho sempre più sentito il bisogno di squadrare il foglio, perché sempre più mi è parso, mentre diventavo esigente con me stes­so e con gli altri, che quasi tutti i discorsi sentiti o letti facessero una gran confusione di piani e movimenti e itinerari mentali.

Mi sembrava e mi sembra che l’immensa inestricabile chiacchiera da cui siamo avvolti come da nebbia o smog, fosse e sia tale perché non si parte da punti fermi per arrivare a risultati certi e chiari, o almeno a tappe intermedie; ma si co­minci non si sa da dove, si vada non si sa per dove e si arrivi non si sa dove. Del più e del meno, insomma, anzi del meno e del meno, senza quasi mai fare ordine.

Ma gli anni rendono più pazienti e insieme più saggiamente esperti: basta con le chiacchiere, bisogna squadrare il foglio, fargli una bella cornice con vertici A-B, B-C, C-D, D-A. E poi, solo poi, metterci dentro qualche segno o parola, pochi, i meno miserevoli possibile, i meno insensati.

 

Dunque, il mio parallelepipedo, quadrato o rettangolo, come volete, ha scritto sul lato A-B: vengo da Dio. Sul lato B-C: la vita è breve. Sul lato C-D: la morte è certa. Sul lato D-A: vado a Dio.

Prego di considerare che questo è un fondamento puramente razionale; la fede, di ogni colore e confessione, viene dopo, perché: 1) Non avere in sé la propria origine è una delle evidenze primarie che solo la debolezza ce­rebrale dei nostri tempi non vede: diceva Duns Scoto che tutte le cose non sono prodotte né da sé stesse né dal nulla. O no? 2) Sulla brevità della vita penso che non si debbano fare discussioni. 3) Sulla certezza della mor­te, altrettanto. 4) Sul ritornare alla propria origine, neppure.

Cosa e perché allora rende difficile squadrare il foglio? Perché Dio non esiste, affermano gli atei. Così, per fare un pallido paragone, il pesce dice che non esiste l’acqua in cui nuota.

Ecco, questo è il punto, l’errore per cui poi divaghiamo senza fine e sco­po inutilmente sul nostro foglio non squadrato scarabocchiandolo. È come se su una semiretta (A-infinito) invece di partire da A partissimo da B o da C e arrivassimo a D o E o dove volete, e negassimo che esistono A e in­finito.

Questo, propriamente, significa chiacchierare. A chi non afferra ciò che mi sforzo di dire vorrei consigliare di leggere la più grande tragedia mo­derna (alla pari con i Sei personaggi di Pirandello), pur travestita da commedia e anzi da farsa: La cantatrice calva di E. Ionesco.

In quest’opera degna di Eschilo e di Sofocle e di Shakespeare avviene l’apocalissi (= disvelamento) metafisica della chiacchiera; ovvero la chiacchiera (il foglio non squadrato, nella mia metafora) si rivela la tragedia comica che è, in memorabili sequenze teatrali e battute sublimi che i nostri comici odierni, purtroppo quasi sempre involontari, mai immaginerebbero.

 

Nel foglio non squadrato entra disordinatamente di tutto: impressioni non elaborate, emozioni (vanno così di moda), oggi sì domani no, la vita è senza senso, ognuno ha la sua verità, voglio essere me stesso (dunque non lo sono), mi contraddico e va bene così, ecc. Cioè, la chiacchiera: la chiacchiera che non solo dice, ma è, diventa, chiunque non cerca la verità, ovvero di squadrare il foglio prima di riempirlo di segni.

Sul muro di una classe scolastica c’era scritto: prima di aprire la bocca inserire il cervello. Ciò significa, oltre la battuta, che noi dovremmo es­sere sempre nella “forma” di una gratitudine essenziale, se ragioniamo bene, se squadriamo il foglio, se non vogliamo che i nostri segni e disegni venga­no deviati, storti, falsi, e che abbia ragione il grande Hölderlin quando dice: «Un segno noi siamo senza significato». Ritornare alla vera coltiva­zione di sé stessi riconnette al segno il significato.

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