Spendere meno, spendere meglio?

Il decreto varato lo scorso 6 settembre punta a una miglior cura  della salute. Non mancano passi in avanti e perplessità.
Una sala operatoria

Le buone intenzioni, dobbiamo riconoscerlo, ci sono. E già il titolo del decreto che intende apportare modifiche significative al sistema sanitario italiano fa ben sperare: “Decreto per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute”, recita appunto. Le norme introdotte sono tante, ma sono meno di quelle inizialmente previste: si era partiti da 27 articoli e si è arrivati a 16. In particolare è stata eliminata (purtroppo, chissà quali pressioni sono arrivate al governo!) l’annunciata “tassa sulle bollicine”, come era stata battezzata una tassa prevista per le bibite gassate e si sono ridimensionate le misure per limitare il gioco d’azzardo.

Diverse le novità di rilievo. Partiamo da quella che forse tocca di più i singoli cittadini, la norma riguardante l’assistenza territoriale, con la proposta della creazione di studi medici associati che possano garantire le cure necessarie 24 ore su 24 e sette giorni su sette. Il coordinamento operativo che chiamerebbe in causa medici di famiglia, pediatri, specialisti ambulatoriali e guardie mediche, dovrebbe facilitare il decongestionamento dei Pronto soccorso, dove spesso arrivano persone con problemi risolvibili in altri luoghi. Ma non è l’unico motivo che ha spinto in questa direzione. Il ministro Balduzzi a proposito di tale norma ha parlato di «una nuova alleanza tra utenti e medici di famiglia che richiede un'organizzazione integrata», quasi a rivalutare il ruolo e una maggiore assunzione di responsabilità dei medici di base talora, a torto o a ragione, relegati ad una funzione secondaria (prescrizione di ricette o di analisi) che in tanti sperimentiamo. Si è registrato un certo apprezzamento da parte dei medici interessati.  Giacomo Milillo, segretario della Fimmg, il sindacato di categoria con più iscritti, non esita a definire questa riforma la «più importante dal 1980 ad oggi» ed esprime il consenso per un decreto che sembra raccogliere «le proposte di rifondazione della professione del medico di famiglia» e che dovrebbe dar fiato a una medicina di iniziativa in grado di intercettare i pazienti, seguire meglio i malati cronici, incidere quindi sulla salute e sulle risorse, con quella diminuzione di costi spesso derivante da un utilizzo improprio delle strutture ospedaliere.
 
Gli ospedali, appunto. Una norma riguarda proprio l’edilizia sanitaria, altro capitolo aperto in un Paese, il nostro, che insieme ad eccellenze che non mancano, registra ritardi e inadempienze anche in questa materia. Sono ancora tante, troppe le strutture fatiscenti, non del tutto a norma, o che sarebbero addirittura da chiudere. Il nuovo testo di legge regola il partenariato pubblico-privato in materia di edilizia sanitaria ampliando le possibilità di collaborazione tra il privato imprenditore e l’azienda sanitaria pubblica, norma, questa che fa ben sperare. «Ci auguriamo – commenta Daniela Pedrini, presidente della Società italiana dell’architettura e dell’ingegneria per la sanità (S.i.a.i.s.) – che le nuove norme favoriscano un processo improntato alla trasparenza e al rigore».
 
Altro nodo cruciale, quello della cosiddetta “medicina difensiva”. In Italia sono circa 30 mila l’anno le cause legali intentate da pazienti o loro familiari contro presunti o reali errori medici. I cosiddetti casi di malasanità, che continuano ad occupare le prime pagine dei nostri giornali, hanno tra gli effetti quello di aumentare nella nostra classe medica il ricorso, appunto, alla medicina difensiva. Per ridurre, cioè, il livello di esposizione del medico al rischio di cause in tribunale, si mette in atto un iter diagnostico esagerato, con la prescrizione di esami particolari e costosi – se non di interventi evitabili – che documentino un’indagine accurata e testimonino dunque che non sono stati tralasciati aspetti importanti per la soluzione del caso.  Una situazione che dalle associazioni mediche viene definita “di assedio” e che fa lievitare in maniera esponenziale i costi assicurativi arrivati alla cifra record di 500 milioni di euro l’anno, di cui il 58 per cento è a carico delle aziende sanitarie. Con il nuovo decreto «nel valutare la responsabilità dei professionisti si terrà conto della circostanza che essi abbiano svolto la prestazione professionale secondo linee guida e buone pratiche elaborate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale». 
 
Non è tutto qui. Altre norme riguardano le nomine dei dirigenti, l’intramoenia dei medici, il gioco d’azzardo, l’aggiornamento dei “Lea” (livelli  essenziali di assitenza). Come sempre – e sta qui il punto dolens – il grande interrogativo verte sulle reali possibilità di attuazione del decreto, in molti casi delegata alle singole Regioni, soprattutto pensando alla sanità a macchia di leopardo che l’Italia si porta avanti da anni.

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