«Silenzio complice»

La strage di Garissa in Kenya è solo l’ultimo tassello di un mosaico inquietante. Le dure parole del papa
Kenya

Le testimonianze dei giovani scampati all’eccidio in Kenya, nella città di Garissa, dove più di 150 giovani in maggioranza cristiani sono stati decapitati o finiti con una pallottola nella nuca, dimostra se ce ne fosse ancora bisogno la gravità della situazione in cui versano milioni di cristiani in giro per il mondo: Siria, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Kenya, Nigeria, Pakistan… L’elenco s’allunga giorno dopo giorno.

Contro questa strage continua ieri sera, nel corso della Via Crucis al Colosseo, papa Bergoglio ha usato parole durissime: «La sete del tuo Padre misericordioso – ha detto Francesco – che in te ha voluto abbracciare, perdonare e salvare tutta l'umanità ci fa pensare alla sete dei nostri fratelli perseguitati, decapitati e crocifissi per a loro fede in te, sotto i nostri occhi o spesso con il nostro silenzio complice».

Oggi è Sabato Santo. Il giorno del silenzio per eccellenza, quello in cui Gesù giace nel sepolcro, quello in cui i suoi seguaci si sentono smarriti, abbandonati, increduli. Il loro leader, la loro speranza, la loro certezza è diventato uno qualsiasi, un mortale, togliendo loro ogni speranza e ogni certezza. Il silenzio di Gesù, e quello del Padre denunciato sulla croce dal Cristo, è unico e irripetibile: ha la forza di evocare l’inferno, di scendere nell’abisso, per riportare alla superficie tutta l’umanità. È un silenzio solidale.

La morte del Nazareno in croce, brutale e plateale, è una dimostrazione di forza di gente che non ha capito il suo messaggio d’amore, che anzi a loro fa paura. Il silenzio di Gesù di fronte alle minacce, alle parole di Pilato e alla flagellazione culmina nel silenzio del sepolcro, in cui ogni suo seguace trova la forza della testimonianza suprema. Nel suo cuore, la morte del leader fruttifica. È un silenzio che invita all’impegno.

Sulla croce Gesù grida citando la Scrittura, la Parola di Dio. Non ha nemmeno più parole sue. Il silenzio del sabato, prima della risurrezione, è il silenzio su cui la Parola può scrivere.

Il silenzio complice denunciato da Bergoglio non è solo e non è tanto quello dei cristiani che non alzano la voce in difesa dei loro fratelli di religione; è anche e soprattutto quello dei diplomatici, dei governanti, dei giornalisti, degli opinion maker, di chi sparge semi di guerra ogni giorno, di chi vende armi, di chi sparge tossine di odio rivendicando soldi ed onori dimenticando il bene comune, di chi fa in modo che si associ il nome di “cristiani” a “occidentali”.

Nell’aggettivo “nostro” associato a “silenzio”, papa Bergoglio include tutti coloro – nessuno escluso – che tacciono di fronte all’ingiustizia, ai soprusi, all’abominio dell’assassinio. Nella vita di ogni giorno e nei grandi scenari internazionali.

«Non ci sarà alcun luogo sicuro per voi, finché il Kenya manterrà le truppe in Somalia», ha detto un portavoce degli shebab somali, Sheikh Ali Mohamud Rage a radio Andalus, legata al gruppo jihaidista autore della strage dell’est del Paese africano. Un’affermazione tragica e inquietante, che vuole a tutti i costi legare un’identità religiosa a un problema politico. Il fatto è che i cristiani veri, non quelli falsi che vendono armi o spargono odio politico, vivono nel loro tempo e lo amano. Rischiano per esso, perché inermi, perché miti. Il loro silenzio è fecondo, il nostro silenzio è complice.

Che la risurrezione della Pasqua 2015 porti con sé la Parola feconda che parla sul silenzio altrettanto fecondo dei veri cristiani.

 

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