Siamo tutti “zitelloni”?

Papa Bergoglio continua nella sua pedagogia evangelica. Questa volta si rivolge ai consacrati agostiniani invitando "all'inquietudine"
Papa Francesco celebra la messa nella chiesa di S. Agostino a Roma

«Con dolore penso ai consacrati che non sono fecondi, che sono "zitelloni". L’inquietudine dell’amore spinge sempre ad andare incontro all’altro, senza aspettare che sia l’altro a manifestare il suo bisogno. L’inquietudine dell’amore ci regala il dono della fecondità pastorale, e noi dobbiamo domandarci, ognuno di noi: come va la mia fecondità spirituale, la mia fecondità pastorale?».

Ci sono parole di papa Francesco che non necessitano di essere commentate perché appena ascoltate suscitano un interesse immediato. Alcuni esperti che hanno analizzato lo stile comunicativo di questo papa hanno sottolineato la sua capacità di parlare per immagini, di ricorrere a espressioni semplici, popolari, di andare al cuore senza però mai aggredire. È uno stile che invita ad aprire la porta, a mettersi in ascolto perché fa presa su qualcosa dentro che conosciamo benissimo. Magari è annebbiato, nascosto. Ma è lì che attende di essere visto, illuminato e accolto. Così è per quella parolina, “zitelloni”, e ancor di più per l’altra, “fecondità”.

Ieri il papa ha celebrato la messa nella basilica romana di Sant’Agostino in Campo Marzio, aprendo il 184° Capitolo generale ordinario degli agostiniani nel giorno in cui la Chiesa faceva memoria liturgica di sant’Agostino. "Inquietudine". È attorno a questa parola-sintesi della vita del santo che il papa ha improntato la sua predicazione. Merita davvero di leggersela tutta. Con calma, senza sintesi giornalistica. «Guarda nel profondo del tuo cuore – ha detto ieri il papa –, guarda nell’intimo di te stesso, e domandati: hai un cuore che desidera qualcosa di grande o un cuore addormentato dalle cose?».

Al papa piace porgere interrogativi. Non offendono perché non sono imposti ma condivisi: «Mi sono per così dire "accomodato" nella mia vita cristiana, nella mia vita sacerdotale, nella mia vita religiosa, anche nella mia vita di comunità, o conservo la forza dell’inquietudine per Dio, per la sua Parola, che mi porta ad "andare fuori", verso gli altri?». «Ci lasciamo inquietare dalle loro necessità o rimaniamo chiusi in noi stessi, nelle nostre comunità, che molte volte è per noi "comunità-comodità"?». Sì, non c’è proprio nulla da aggiungere. Perché all’interrogativo, ognuno può dare la sua risposta.

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