Siamo ancora il Belpaese?

La crisi raccontata dalla gente. Storie e dati a confronto tra sfiducia, inventiva e scelte coraggiose.
Manifestazione dei lavoratori precari

«La foto scattata sei anni fa e riguardata per caso ieri racconta la nostra vita: stessi vestiti, stesse scarpe». È amaro il ricordo di Liviana di Roma. In quell’immagine c’è la sofferenza di una famiglia di quattro figli con un solo stipendio, in affitto e alle prese con una crisi inspiegabile e crudele. «Mi sarebbero spettati dei sussidi, ma quei 50 euro a bambino mi sono stati negati. La regione ha finito i soldi, mi è stato detto seccamente, ma noi non abbiamo finito di vivere». 

 

Enzo fa il portiere in uno stabile prestigioso. Lui misura la crisi dal frigorifero: niente più scorte abbondanti e frutta e verdura sono acquisti che si fanno un po’ alla volta, giorno dopo giorno. «Non possiamo permetterci di buttare nulla o di comprare qualcosa in più. Il nostro risparmio è indirizzato ora a cure e farmaci. Ci spaventano le liste d’attesa della sanità pubblica e ricorrere al privato è costoso». Da quando le figlie hanno cominciato la scuola, con le altre famiglie si sono tassati con cinque euro al mese per rifornire i bagni di sapone e carta igienica. «Poi c’è la cartoleria e le attrezzature tecniche: un salasso!».

 

Un bambino di questi tempi è un investimento. «Mia figlia a breve partorirà e da diversi mesi, quando faccio la spesa, cerco le offerte per pannolini e omogeneizzati, così preparo la scorta». Nino è un nonno previdente.

 

Anche all’università Vincenzo ha avviato un piano anticrisi: compravendite di libri usati al 50 per cento, gruppi di acquisto solidale per gli alimenti insieme ad alcuni docenti amici.

 

Ma non per tutti la crisi si fa sentire. Carlotta, 21 anni, alla ricerca del suo primo lavoro, non ha visto intaccato il suo stile di vita: «Spendo 100 euro ogni weekend e non ho problemi, il catastrofismo economico è tutto dei media». Idem Giorgio: l’altro sabato ha comprato una bottiglia di vino a 60 euro, «una spesa divisa con tre amici», ci tiene a precisare, ma 50 euro è il suo budget da fine settimana. Pizzerie e ristoranti sono spesso pieni e su alcuni beni di consumo gli italiani non tagliano proprio: stadio e pay tv in pole position. Seguono a ruota le grandi firme e l’elettronica.

 

Paradossalmente i dati Censis sui consumi parlano di un incremento della spesa, ma le voci che compongono tale paniere sono ben diverse da quelle elencate sopra: benzina e parcheggi in primis, alimentari, spese per i figli e per la salute. Tariffe e bollette sono uscite fisse incomprimibili che stanno a poco a poco erodendo i nostri risparmi, poiché i redditi da lavoro sono praticamente bloccati. Circa il 20 per cento del campione esaminato ha speso più di quanto guadagnato e oltre il 50 per cento ha utilizzato interamente il reddito disponibile per i consumi. Le formiche che riescono a risparmiare sono davvero poche, appena il sette per cento delle famiglie italiane.

 

Il bar di Cesarina

 

È un osservatorio privilegiato il bar di Cesarina: un microcosmo frequentato per fasce orarie da addetti alle pulizie e badanti all’alba, seguite da impiegati regionali, avvocati e assistiti. In tarda mattina sono studenti, turisti e anziani a prenderlo d’assalto. C’è lo spaccato sociale di un quartiere al cuore di Roma.

«La crisi ha indubbiamente diminuito i consumi – spiega Cesarina –, anche se si stenterebbe a crederlo data la folla al bancone. Invece non si fa colazione al bar tutti i giorni, ma solo due volte alla settimana, si è tagliato sul caffè del pomeriggio, si comprano meno sigarette e ci si orienta più al tabacco».

 

La vera sorpresa per lei sono le richieste di lavoro: la sua cassa viene scambiata spesso per un’agenzia interinale. Mestieri a vocazione più straniera come badanti o addetti alle pulizie sono diventati richiestissimi dagli italiani. «L’altro giorno una signora, truccatrice e parrucchiera per il cinema, mi ha supplicato per un impiego anche umile». Il mancato rinnovo dei contratti a tempo determinato nella pubblica amministrazione ha visto sparire di botto numerosi dei suoi clienti.

 

Come li ha visti sparire Emilio dall’edicola. Parla di cali del 30 per cento sull’acquisto di periodici e quotidiani: «Ho differenziato il mio prodotto aggiungendo gadget e giochi». “Lotto”, “Gratta e vinci”, “Milionario”: cartoncini colorati ammiccanti diventati il biglietto obbligato per sperare di traghettarsi fuori dai problemi di liquidità. «C’è una signora che ogni settimana investe almeno 100 euro nei gratta e vinci – racconta ancora Cesarina –. Le mancano i denti, ma preferisce la dea bendata alle rate del dentista».

 

«Il gioco sta portando sul lastrico migliaia di famiglie – è il commento di Alberto Colaianni, portavoce della Caritas di Roma –. Mi preoccupano alcune formule perverse di credito come le carte revolving fornite dai supermercati. Le famiglie comprano cibo a iosa con questa specie di bancomat alimentare e poi non lo rimborsano, con rischio di debiti e di usura. La Caritas è intervenuta istituendo un emporio di solidarietà, un supermercato gratuito dove due volte al mese si possono acquistare alimenti per un valore di 300 euro. Alcune diocesi poi si sono impegnate con il “prestito della speranza”, un credito di seimila euro che funge da ammortizzatore sociale e che è stato utilizzato al Nord soprattutto da famiglie vittime di un licenziamento inatteso».

 

Un giovane su tre

 

Certo i dati sul reddito medio degli italiani non portano a ben sperare: tre contribuenti su quattro guadagnano meno di 28 mila euro, secondo i dati ricavati dal Caf su oltre un milione di dichiarazioni dei redditi. L’inflazione poi è diventata una tassa fissa pari a 235 euro a testa. Sull’acquisto di beni di lusso pochi sono invece disposti a raccontare e non si capisce se per pudore o per timore di essere additati come vacche grasse in tempo di carestia. Certo è che non tutti sono diventati più poveri, anzi i redditi medio-alti sono rimasti sostanzialmente invariati e idem lo stile di vita.

 

I giovani rischiano di non avere né lo stipendio, né il lavoro. L’Istat parla di un tasso di disoccupazione giovanile pari al 30 per cento, ma preoccupano più gli scoraggiati: un giovane su 20 in Italia si lascia vivere, non cerca un posto di lavoro, non studia, non costruisce nulla. Al Sud due giovani su tre non lavorano. Unica valvola di sfogo torna a essere l’emigrazione. Mapi e Michele hanno scelto Milano. Entrambi informatici, non possono permettersi l’acquisto di una casa: i contratti a progetto non sono una garanzia sufficiente per un mutuo. Anomalia del sistema Italia che la lettera del presidente della Banca centrale europea, Trichet, invita a cambiare. «Occorre una revisione delle norme sull’assunzione, il sostegno alla competitività delle imprese, una nuova politica sul mercato del lavoro», commenta il numero uno della Bce.

 

In tanti cominciano a pensare che il presente della Grecia sarà il nostro prossimo futuro. Il bollettino di luglio della Banca d’Italia smentisce queste considerazioni grossolane: l’Italia ha ricominciato a crescere, anche se di poco, ha seri problemi strutturali, ma i conti non sono stati falsati, come hanno fatto per anni ad Atene, e possiede notevoli quantità di ricchezza pur distribuite in modo impari e non sempre ben utilizzate.

 

E allora perché la bufera finanziaria? «Gli investitori istituzionali continuano ad acquistare titoli italiani – spiegano da via Nazionale – ma chiedono un premio di rischio più elevato perché dubitano della sostenibilità di un debito pubblico così alto nel lungo periodo. Grava un clima di sfiducia e i mercati reagiscono auto-avverando le loro stesse profezie». Le dichiarazioni di un ministro o i comunicati del Fondo monetario «fanno scattare allarmi spropositati perché le aziende continuano a fatturare in crescita» – racconta un impiegato bancario specializzato in finanziamenti.

 

Mestizia e onestà

 

Le storie che raccontano la crisi, dal Nord al Sud, ci hanno fatto entrare nei pub, nelle case, aprire i frigoriferi e spesso la mestizia ha prevalso. Sbirciando sulla scrivania di Egidio, accanto al computer c’è ancora la voglia di sperare. Proprietario di un’azienda informatica, per lui le perdite hanno le cifre dei mancati pagamenti della Pubblica amministrazione per alcuni servizi espletati. «Ho scelto di tagliare il mio stipendio per non licenziare i miei dipendenti. Tutti dobbiamo fare sacrifici. Ho quattro figli e le entrate sono insufficienti. Per fortuna che è arrivata un’eredità inattesa e che mia moglie insegna. Poi fare scelte etiche sul lavoro ha un costo, anche se non sempre adeguatamente valutato». A metà settembre si è incatenato davanti al Parlamento aderendo alla protesta delle famiglie numerose: «Con i figli ci siamo chiesti cosa fare, se dovevamo far scoppiare una rivoluzione o andarcene. Abbiamo scelto la manifestazione pacifica e la testimonianza. Sono convinto che investire sul capitale sociale ci salverà. L’onestà, la correttezza, saper progettare sono qualità che non dobbiamo perdere». I suoi ingredienti per far tornare a sperare nel Belpaese.

Maddalena Maltese

 

BOX

 

La crisi dei nostri vicini

 

Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna sono i quattro Paesi dell’Unione europea che con l’Italia sono stati investiti dalla bufera economica. Le condizioni strutturali delle singole economie e i provvedimenti presi dai governi variano da Stato a Stato e meriterebbero analisi approfondite. Stavolta scegliamo di dare la parola alla gente.  

 

Grecia «I dipendenti pubblici si son visti ridurre lo stipendio anche di tre mensilità e mezzo e in questo settore sono a rischio ben 30 mila posti di lavoro. Ogni giorno c’è la protesta di una diversa categoria sociale: tassisti, docenti universitari, commercianti… Cresce la fila davanti alle agenzie per il lavoro e davanti alle mense allestite dalle chiese. Tanti vogliono mantenere la loro dignità e quindi emigrano in villaggi più piccoli o ritirano sacchetti di spesa da consumare in privato. Nei quartieri si organizzano mense comuni per risparmiare sul cibo: ciascuno porta qualcosa e si fanno grandi pentoloni. Si respira un senso di tragedia imminente».

Giornalista del primo canale tv

 

Irlanda «La bolla immobiliare continua a mietere vittime: tanti hanno perso la casa perché non in grado di restituire i mutui, mentre si contano oltre 135 mila appartamenti invenduti. Si torna a emigrare in Canada, Usa e Australia e il traffico sulle strade è notevolmente diminuito perché tanta gente è partita. Si sceglie il pensionamento anticipato perché si teme che tra qualche anno non esisteranno più pensioni. Indubbiamente la crisi ha fatto riscoprire il valore delle persone: si sta più a casa, si frequentano gli amici e si pensa di più alla spiritualità, tanto che gli incontri religiosi hanno registrato un notevole incremento».

David Hickey e Juanita Majury

responsabili dei Focolari

 

Portogallo «Serpeggia la rassegnazione, ma la reazione è paradossale; i consumi della classe media non sono scesi e tutti hanno fatto le vacanze, quasi a dire: “Spendiamo finché si può perché non c’è certezza del domani”. Gli stipendi degli statali hanno avuto tagli fino al 10 per cento mentre tutti dovranno versare metà della tredicesima come tassa straordinaria. Gli studenti lasciano le scuole private perché non riescono a pagare la retta. La gente giustifica alcuni tagli sugli sprechi, ma sulla sanità c’è stata una vera e propria rivolta. È stato poi varato un piano di emergenza sociale per far fronte alla povertà. La chiesa ha lanciato un fondo di solidarietà invitando alla condivisione, ma la nostra povertà è ancora nascosta, timida, eppure sono i numeri delle richieste d’aiuto in costante crescita a rendere visibile la miseria».

Pedro Vaz Patto

editorialista a Cidade Nova

 

Spagna Dopo il congelamento degli stipendi statali«Ora sono gli operai a restare disoccupati. Gran parte di loro proviene dal Sudamerica e ha deciso di rifar le valigie e tornare in patria. Solo questa settimana a Madrid sono stati tagliati mille operatori ecologici e la sporcizia in strada comincia a vedersi. Inizialmente la classe media non aveva risentito del contraccolpo, ma i dati sulle vacanze parlano chiaro: pochissimi viaggi all’estero sostituiti da gite in patria. Il movimento degli indignados è silente perché niente può arrestare l’inevitabilità dei tagli: educazione e sanità in primis. Nel mese di ottobre le sale operatorie resteranno chiuse tutti i pomeriggi, poiché mancano gli stipendi per i chirurghi. Più di mille insegnanti precari della capitale non sono stati convocati, mentre i docenti a tempo indeterminato dovranno lavorare due ore in più per sopperire alla carenza di personale».

Edoardo Ortubia Roncero

direttore di Ciudad Nueva

 

Per capire la crisi leggi La nuova fattoria degli animali di Mario Sepi e Anna Maria Darmanine (Città Nuova editrice 2011)

 

LA PAROLA AI LETTORI

Raccontateci le vostre storie sulla crisi.

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