settantesimo anniversario di Bonhoeffer. Novità editoriale

Il 70° anniversario della morte di Bonhoeffer è l’occasione per riscoprire il teologo luterano messo a morte per la sua resistenza al nazismo. Di lui parliamo con Natale Benazzi curatore del volume LA VITA COMUNITARIA DEI CRISTIANI appena uscito per i tipi di Città Nuova
La vita comunitaria dei cristiani_Bonhoeffer_Città Nuova_2015

Chi è Dietrich Bonhoeffer?

Biograficamente, un pastore della Chiesa protestante, morto per mano dei nazisti poco prima della conclusione della Seconda guerra mondiale. Simbolicamente, una delle figure più alte del pensiero cristiano, ma non solo: del pensiero occidentale del XX secolo. Un uomo che ha fatto i conti personalmente con il male, senza cedervi, anzi, continuando a riaffermare la necessità di vivere “anche in un mondo che sembra senza Dio”, come se Dio ci sia.

 

In questi giorni Città Nuova pubblica un suo testo del 1939 “La vita comunitaria dei cristiani”. In quale contesto viene scritto? A chi è rivolto?

Come accenno nella mia breve introduzione, il libro nasce alla conclusione di un'esperienza – quella del seminario di Finkenwalde, in cui Bonhoeffer e altri avevano cercato di costruire un'esperienza di vita comune che fosse, contemporaneamente, una risposta di cultura e di formazione umana al nazismo che si era ormai affermato. Il libro è una sorta di precipitato di quell'esperienza, che la Gestapo ha fatto chiudere dopo pochi anni; un modo per cui ciò che si è vissuto non vada perduto.

D. il messaggio del libro è esigente: la necessità di vivere in comunione dei cristiani come condizione imprescindibile per incarnare il messaggio evangelico. Su quali principi si fonda la vita comunitaria?

Ah, beh, il principio è uno solo:  Cristo. Da buon protestante, Bonhoeffer fa piazza pulita di quelle che chiama le “ragioni psichiche” della vita comune: il bisogno dell'altro, la fuga dalla solitudine… per ribadire che la  vita comune dei cristiani non può che essere fondata sulla centralità di Cristo. Questa è la grande intuizione dello scritto di Bonhoeffer. A un certo punto egli dice chiaramente: “La comunione cristiana è comunione per mezzo di Gesù Cristo e in Gesù Cristo. Non esiste alcuna comunione cristiana che abbia in sé qualcosa di più o qualcosa di meno di questo”. La cosa sembra scontata, ma non lo è per nulla, proprio perché questo concetto relativizza ogni altro atteggiamento interiore verso l'altro e verso la comunione.

 

 Questo messaggio spinge ad interrogarci sulla vita cristiana oggi e sulle comunità cristiane del nostro tempo. Cosa ha di nuovo da dirci Bonhoeffer? Perché pubblicare un testo di oltre settant’anni fa?

Per due motivi: il primo, e a mio parere decisivo, è il fatto che oggi, come all'epoca di Bonhoeffer (anche se per ragioni diverse) viviamo in Occidente un cristianesimo “in esilio”; e stiamo reimparando che la condizione dell'esilio è la condizione normale del cristianesimo. La vita cristiana ricca dei secoli passati non è e non deve essere la normalità della vita cristiana. Il cristianesimo è figlio della croce di Cristo e tende alla vita risorta; quando dimentica la prima parte di questa affermazione, sta già tradendo il Maestro. Ancora Bonhoeffer dice: “Per il cristiano non è cosa ovvia poter vivere tra altri cristiani. Gesù Cristo visse tra gente a lui nemica…. Allo stesso modo il posto del cristiano non è nella reclusione di una vita claustrale, ma in mezzo ai nemici. Là si svolgono il suo compito e il suo lavoro…. E' volontà di Dio che la cristianità sia popolo disperso…” Ecc.

Secondo motivo è che la dimensione comunitaria della vita credente è oggi troppo svalutata a favore di un cristianesimo individualista: la vita personale nella nostra cultura ha assunto un valore enorme. Bonhoeffer, con questo testo e il suo martirio testimonia che Cristo è più importante di ciascuno di noi; e che anche Cristo non è un solitario, ma il “capo” della Chiesa, il riferimento della comunione. “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono con loro”: la solitudine, anche eremitica, non basta, da sola, ad “avere Cristo”.

 

Dopo il Concilio Vaticano II nella Chiesa cattolica sono nati i Movimenti ecclesiali. Sono una incarnazione, secondo Lei, della visione di Bonhoeffer? Cosa hanno da “apprendere” dal testo di Bonhoeffer?

In realtà,  a mio parere, i Movimenti ecclesiali sono una ricchezza della Chiesa fin dalle sue origini; dopo il Vaticano II ne sono nati alcuni che incarnano la risposta della comunione cristiana nella società moderna. In questo possono essere anche una conseguenza di un clima che Bonhoeffer respirava, più che un'incarnazione della sua visione. Sicuramente i Movimenti hanno testi di riferimento per la loro vita comunitaria di grande valore e che rischiano, come sempre nella storia, di non essere riletti e ripresi a sufficienza. Riguardo al testo di Bonhoeffer credo che il cristocentrismo in esso presente sia un dono per tutti; come anche la sua capacità di leggere ogni momento della vita come centrato in Cristo: la preghiera, il lavoro, il pasto, la Santa Cena, la confessione… Ma soprattutto credo che una cosa egli possa dare a tutti i Movimenti: la grande capacità che ha avuto fino alla fine della vita, di conservare la propria identità senza smettere di ascoltare e dialogare con il mondo. Questa dialettica identità/dialogo è stata la sua forza e mi sembra sia la sua eredità ancora poco compresa.

Questo scritto è in sintonia, secondo Lei, con la visione della Chiesa di papa Francesco?

Su questo non ho proprio alcun dubbio. Il modo di vivere la comunione di papa Francesco è precisamente quello che Bonhoeffer propone: centrati in Cristo, fare tutto per Cristo e in Cristo; non smettere di vivere con gli altri, anche quando si abbia un ruolo pastorale; ricordare che viviamo per Grazia e che questa Grazia è a caro prezzo…

La vita comunitaria dei cristiani, di Dietrich Bonhoeffer, a cura di Natale Benazzi (Città Nuova, 2015)

 

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