Sempre più sedentari

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Sarà anche colpa del calo delle nascite, della playstation, della discoteca, delle palestre a soli fini estetici. Sta di fatto che stiamo diventando un Paese di sedentari, un Paese nel quale i bambini, quando arrivano all’età delle scelte autonome, abbandonano la pratica sportiva per avviarsi inesorabilmente verso l’inattività. O al massimo ad una individualizzazione estrema della domanda di sport, rifugiandosi in palestra. I dati del rapporto Coni – Istat fotografano una situazione preoccupante: nel giro di otto anni si sono persi un milione e duecentomila giovani sportivi, nella fascia 15-24 anni. La pratica sportiva – ha sintetizzato il sociologo De Rita, segretario del Censis – cresce fino a 14 anni, per poi dimezzarsi in breve tempo. A quella età si comincia a pensare a consumi diversificati: il telefonino, il motorino, la pizza con gli amici, la discoteca, il fitness, settore in cui abbiamo le migliori aziende produttrici di attrezzature al mondo . Con l’adolescenza si passa dallo sport praticato a quello parlato: in tv, alla radio, sui giornali sportivi. Abbiamo addirittura il più grande quotidiano d’Europa dedicato ad un solo club: il Romanista. Numeri alla mano si evince che i praticanti continuativi, quasi 12 milioni, sono in aumento (più 3 per cento) mentre contemporaneamente è salita a 23 milioni (quasi più 5 per cento) la popolazione che non pratica alcuna attività motoria; altri 11 milioni dichiarano di praticare una qualche attività fisica. In sostanza, riferendoci ai parametri dell’Organizzazione mondiale della sanità, il sessanta per cento degli italiani vive sotto la soglia della buona salute. La sedentarietà è dunque ormai una malattia sociale su cui riflettere, anche tenendo conto che, con la scomparsa della leva militare, tantissimi italiani oltre i vent’anni non vengono più sottoposti ad un check-up medico, e che fuori dal mondo dello sport non esistono diffusi presidi sanitari di controllo. Accanto agli effetti dell’inattività sulla salute, pagheremo presto anche in termini di risultati sportivi del nostro paese. Al disamore per lo sport dei nostri teenager con la pancetta corrisponde inoltre una incapacità a sfruttare la determinazione, la capacità di sacrificio, perché no, la rabbia, degli extracomunitari. La questione non è tanto quella di utilizzarne in qualche modo a nostri fini le prestazioni in campo sportivo, fattore che ha permesso alla Francia di vincere l’ultimo mondiale di calcio grazie a Zidane, Trezeguet, Desailly, o alla Gran Bretagna di vincere l’oro olimpico della staffetta 4×100 con gli immigrati caraibici. Si tratta invece di rendersi conto che l’integrazione, già avviata ad esempio nel sistema bancario dove la metà degli immigrati hanno un conto corrente ed un bancomat, è ancora difficile quando si tratta di far girare un pallone fra il piccolo Giovanni ed il piccolo Ahmed. Le barriere e le recinzioni non sono tanto quelle razziali, ma quelle economiche: Nelle nostre città lo sport è da ricchi. – ha osservato De Rita -. Ci sono scuole calcio che costano 400 euro l’anno per quattro ore settimanali: a società come queste gli extracomunitari non manderanno mai i loro figli. Il lo- ro potenziale atletico va dunque perduto per incapacità o esosità delle strutture sportive, unica possibilità di socializzazione sportiva. Dall’Inghilterra arrivano anche brutti esempi: i bambini (o meglio i genitori) che vanno in campo come mascotte pagano, e salato: 2.500 euro a mascottata con l’Everton, fino ai solo 250 euro con il Chelsea. Un criterio odioso che premia chi ha genitori facoltosi e che fa imparare, fin da piccoli, che i sogni si vendono, e si pagano. Progetto sposato, in Italia, da una multinazionale dell’abbigliamento che si è offerta di sponsorizzare lo sport giovanile nel nostro paese: i ragazzini pagheranno dopo, stimolati ad acquistare i prodotti dei loro generosi mecenati. L’analisi dei dati da parte del presidente del Coni Petrucci è più rosea: il mondo dello sport va orgoglioso dell’incremento dei praticanti continuativi e dell’effetto Atene (10 medaglie d’oro, 11 di argento, altrettante di bronzo) che ha portato ad un aumento di quasi il 7 per cento dei praticanti iscritti alle Federazioni (3.450.000). Dell’effetto olimpico hanno guadagnato soprattutto la ginnastica (grazie a Cassina e Chechi), la scherma (Montano, Vezzali e le sette medaglie complessive), l’atletica (Baldini) e persino il pugilato (un bronzo). A dire di Petrucci, il cuore del problema sport è la scuola: È qui che si gioca la scommessa. Il problema chiave è chi la deve affrontare: chi metterà più idee, più uomini o più soldi? La prima carta per supportare la fascia d’età più a rischio, quella dei quattordicenni, sono i Giochi della Gioventù, oggi ridotti ad eventi quasi solo dimostrativi. Ma la scuola da sola non può farcela: a quest’età gli interessi si diversificano e solo una sana e diffusa cultura dell’attività motoria può risultare efficace. Quella che passa anzitutto per la testimonianza di adulti che si mettono a muoversi, magari solo a camminare per qualche centinaio di metri anziché parcheggiare in terza fila per andare a prendere un caffè. O quella avviata con acume in alcuni comuni del bergamasco denominata pedibus, simpatica alternativa allo scuolabus: le amministrazioni hanno invitato alcuni anziani a rendersi disponibili per accompagnare i bambini, a piedi, da casa a scuola e viceversa, partendo da punti prestabiliti, con i negozianti che espongono l’adesivo io aderisco a pedibus disponibili a far entrare i bambini a fare pipì o a telefonare ai genitori in caso di necessità. O quella di Platì, paese calabrese che ha cattivo nome per i sequestri (Casella), dove la metà della popolazione ha meno di 18 anni e dove non c’è un impianto sportivo: lì si è lanciata Una bici per Platì, non una, ma settanta bici da corsa messe a disposizione dei ragazzi, con l’obiettivo di non togliere i ragazzi dalla strada, ma di lasciarveli a fare sport. O quella che provocatoriamente ha proposto lo stesso De Rita con la metafora del rugby: Uno sport duro e leale, come simbolo di una comunità in cui con i nuovi arrivati ci si possa anche scontrare, ma inserendoli.

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