Sangue di martiri

La beatificazione di don Pino Puglisi, sacerdote odiato (e ucciso) dalla mafia per la sua fede
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A Melbourne, in Australia, presso il Parlamento dello Stato del Victoria, ho presentato alcuni anni or sono la figura di don Pino Puglisi davanti a una platea in cui erano presenti tantissimi giovani, e fra questi anche italo-australiani di seconda e terza generazione. Il Convegno aveva un titolo interessante: “Educare alla cittadinanza”.

Quel pomeriggio tutti in quella sala rimasero affascinati dalla testimonianza di Puglisi. Infatti, poche settimane dopo, nacque l’Associazione “Don Pino Puglisi di Melbourne”. Cosa aveva affascinato quei ragazzi così distanti da Brancaccio (di cui nemmeno sospettavano l’esistenza), cosi distanti da Palermo e dall’Italia? Il martirio? La coerenza?

Penso, avendo condiviso con quei ragazzi molti passaggi in quei giorni, la voglia di incidere nella storia della propria terra. Cos’è, infatti, che più di ogni altra cosa deprime e disorienta i giovani? L’assoluta irrilevanza di qualunque loro azione nei confronti di una società ingessata nei suoi riti e nelle sue liturgie. Irrilevanti diventano le proteste, ma irrilevante rischia di divenire anche la sincera voglia di cambiamento.

Parlando loro di don Puglisi – certamente non conosciuto in Australia al pari di Falcone, ad esempio –, notavo come si irrobustiva dentro di loro l’idea chiara che bisogna aprire porte e finestre, bisogna trovare spazio alle proprie aspettative, ma soprattutto bisogna essere certi che qualcosa rimanga, che dia senso al nostro agire e contenuto al nostro impegno.

La vita e la morte di don Puglisi contengono proprio questo messaggio: la voglia di riportare l’umanità a Dio, che incide nella vita quotidiana. Il desiderio, nel caso di Puglisi, di riportare Brancaccio a Dio, che ha inciso profondamente nella storia del suo quartiere.

Martire, perché ucciso in “odio alla fede”, è la motivazione per la quale Benedetto XVI ha in questi giorni autorizzato il decreto di beatificazione. Primo beato perché testimonia il Vangelo in terra di mafia.

«Dal cielo – ha detto il cardinale di Palermo Paolo Romeo – il cardinale Pappalardo sarà stato felice. Puglisi era comunicatore di pace, sacerdote in prima fila, sostenitore della cultura della legalità, innamorato dell’uomo, della sua crescita…». In effetti, riconoscere il martirio di Puglisi, ucciso in odio alla fede, è di una tale portata anche storica da far tremare i polsi.

«Il credente che annunzia il Vangelo con autenticità – dice infatti il vescovo ausiliare di Palermo Carmelo Cuttitta, membro del comitato promotore della beatificazione –, può andare incontro alla morte: la Chiesa palermitana oggi ha ricevuto un forte scossone». Annunziare il Vangelo con autenticità vuol dire incidere nella realtà attuale.

Alle otto di sera del 15 settembre 1993 davanti al portone di ingresso dello stabile dove abitava, Puglisi si trova accanto Salvatore Grigoli e Gaspare Spatuzza. Un colpo di pistola alla nuca mette fine alla vita di quel prete che non pensava assolutamente di fare l’eroe, ma si era "fissato" nel voler togliere i ragazzi dalla strada, nel voler realizzare un campo di calcio, un punto di incontro per parlar loro di regole, legalità e amore per la propria terra. Incidere nella storia.

Puglisi in due anni scrisse, di suo pugno, cento lettere per chiedere ai responsabili delle istituzioni quello che serviva per i bisogni della sua gente. Dal 1991 al 1993 scrisse 100 lettere a sindaci, assessori, prefetti, presidenti, questori per chiedere una biblioteca, una scuola media, un campo di calcio, una palestra.

La mafia giunse a odiarlo e soprattutto giunse a odiare la sua fede che lo rendeva, seppur solo, determinato e sicuro di quel che voleva: riportare a Dio quel frammento di terra che è Brancaccio.

«Puglisi è stato ucciso – ha detto ancora il cardinale Romeo – solo perché predicava le parole di Dio. Questo ci deve far riflettere sul nostro ruolo nella società». Non faremmo male, infatti, in questo periodo di notte oscura di società, politica, economia e cultura, a riflettere sul nostro ruolo. La beatificazione di Puglisi è un incoraggiamento, ma anche un forte richiamo alla coerenza.

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