San Nicola o Babbo Natale ?

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Bari, 6 dicembre. L’azzurro fresco del cielo e del mare illuminano il candore della cittadella nicolaiana, cioè della basilica di san Nicola e degli edifici annessi. Un’architettura, sintesi felice di decorazione araba, ricordi romanici e acutezza gotica, tipici del secolo XI e dell’arte cosiddetta normanna, esprime con la sua leggerezza la figura di questo personaggio sospeso tra realtà e leggenda, vero centro di incontro fra culture diversificate. Una vita miracolosa Nicola nasce nel III secolo a Patara, in Licia, da genitori facoltosi. L’agiografia miracolistica indugia volentieri narrando di lui che, diventato sacerdote, viene ordinato addirittura secondo alcuni da Dio stesso vescovo di Myra. Da allora i fatti prodigiosi si infittiscono. Un nobile impoverito non riesce a trovare la dote alle figlie e pensa di farle prostituire. Nicola di notte getta in casa un sacco di monete che l’uomo, il giorno dopo, considerandosi miracolato, raccoglie, sposando una delle figlie. Il fatto si ripete per altre due notti finché il nobile si accorge che il benefattore è Nicola. Altro prodigio: Nicola viaggia in nave per un pellegrinaggio in Terrasanta. Ma il demonio suscita una violenta tempesta. Pregato dai marinai, Nicola invoca Dio ed evita la catastrofe. Oppure. La città di Myra soffre di una grave carestia. Nicola appare al capitano di una nave carica di grano, gli dona tre monete d’oro perché si diriga verso la città e venda il carico al popolo affamato. Un altro portento, lungo i secoli: il futuro re di Serbia Stefano Urios III, accecato dal padre su incitamento della matrigna ed esiliato a Bisanzio, vede Nicola in sogno che lo tocca e gli restituisce la vista. Anche la morte del vescovo è avvolta dal prodigio: prima di morire lo accolgono gli angeli, poi, dalla sua tomba, emana un olio profumato che opera miracoli. La corsa alle reliquie Un personaggio così straordinario diventa oggetto, nel periodo medievale, di una vero e propria furore per averne i resti, sia in Oriente come in Occidente. Così gli Armeni si impossessano del braccio destro, i veneziani, i Lorenesi in Francia, gli albanesi di altre reliquie, fino ai baresi che nel 1087 ne trafugano il corpo portandolo nella basilica affacciata sull’Adriatico. Dove, nove anni dopo, il papa Urbano II avrebbe voluto convocare un concilio per riunificare le chiese d’Oriente e d’Occidente. Così questo santo anatolico dal colorito scuro, rappresentato da un’infinità di dipinti, icone, miniature ora con le vesti episcopali occidentali ora con quelle ortodosse, diventa patrono dell’ecumenismo ante literram; oltre che dei marinai – Myra, infatti, attraverso il suo porto di Andriake è importante scalo per mercanti navigatori e pellegrini – e dei fanciulli, come narrano le agiografie. Certo che dal VI secolo in poi si infittiscono i pellegrinaggi alla sua tomba, anche grazie al miracolo dell’olio profumato, usato come rimedio contro le tempeste marine. Da ciò il desiderio di proteggere le spoglie del santo, contro cui il califfo Harunel Rascid nell’807 aveva organizzato una spedizione allo scopo di por fine a tale culto ormai diffuso nel Mediterraneo e al tentativo di porre in salvo le sue spoglie a Costantinopoli, sede dell’ortodossia. Un santo per tutte le nazioni È infatti dalla capitale bizantina che il culto di Nicola si estende nel mondo ortodosso, dai Balcani alla Russia sino ai monasteri del Sinai. Così ogni anno in Albania il 6 dicembre, giorno della sua festa, si uccide in suo onore una pecora. Addirittura alcune comunità islamiche mediterranee rispettano il personaggio, identificandolo col santo derviscio Sari Saltik. Tutta la zona balcanica ha una predilezione per il santo, tanto da coniare il proverbio: Se anche muore Dio, ci rimane sempre san Nicola. Così i bulgari lo ritengono il protettore degli elementi invernali in antitesi a san Paolo patrono dell’estate e del caldo, ma anche protettore degli animali e della vita familiare. In più, i popoli slavi celebrano ben due feste in suo onore, una a maggio ed una in inverno, anche se manca la tradizione – tipicamente occidentale – di portare doni natalizi ai bambini. Particolare è san Nicola per la Russia, tanto da venir chiamato il Dio russo: ne ha forgiato l’idea della santità, ha influenzato l’intero sistema della religione popolare. Nicola non ha smarrito la sua vocazione a immedesimarsi con le varie culture. Così, in Russia appunto, viene accostato alla figura mitica di Nonno Gelo. Un’occhiata ai negozi nel periodo natalizio ed ecco centinaia di statuette colorate dell’Occidentale Santa Klaus etichettato però come Nonno Gelo. La sintesi tra un personaggio del folclore slavo, un vecchio cattivo che portava il freddo dal nord e che spaventava i bambini – ma che i racconti romantici dell’Ottocento avevano trasformato in nonno affettuoso – e il santo protettore dell’infanzia era fatta. In più, Nonno Gelo portava anche un grande abete, insieme ad altri doni: l’albero con la stella di natale… Nemmeno la rivoluzione russa e l’ateismo successivo sono riusciti a cancellare il personaggio dalla festa popolare, se è vero che una stella brillava e brilla ancora sopra il Cremlino. Naturalmente, l’influenza americana sta facendo la sua parte. Così Nonno GeloSan Nicola è un uomo barbuto che porta doni su di una slitta trainata da renne, come piace tanto all’immaginazione americana.. E Santa Klaus? Gli Usa, infatti, hanno importato il san Nicola dai paesi del Nord d’Europa, trasformandolo nel vecchio sorridente e panciuto con una grossa bottiglia di CocaCola: immagine dell’uomo soddisfatto che si è fatto da sé e narra la sua gloria consumistica in faccia al mondo intero. Un modello ormai di casa nel nostro mondo globalizzato. Ma la storia di Santa Klaus è un’altra. Risale al culto per il santo che da Bari e dall’Oriente veleggia per tutta Europa, tanto che già dal tardo medioevo nelle scuole ecclesiastiche si fanno regali ai bambini, il 6 dicembre, ricordando l’amore del santo per l’infanzia. Lutero addirittura, ancora nel 1535, compra regali nella festa di S. Nicola per i suoi familiari, anche se poi il protestantesimo sarà contrario al culto dei santi. Ma Nicola resiste, visto che è ancora il patrono di Amsterdam. Lungo i secoli fioriscono leggende, racconti, balli e mascherate, cortei dove i ragazzi si vestono da vescovi; oppure scene dove il santo va nelle case insieme al diavolo Klaubauf – uno dà doni l’altro punizioni – per trovare i bambini. Usanze che ancora resistono lungo i paesi dell’arco alpino. Anche se la critica illuminista, dal Settecento in poi, toglie l’aura sacrale a Nicola, lo imborghesisce così che nell’Ottocento diventa santa Klaus, Babbo Natale o Père Noel: cioè gli omoni che ancor oggi stazionano davanti ai grandi magazzini, vestiti di rosso. Ritrovare il vero Nicola Certo il santo vescovo naviga in cattive acque ormai contaminato con Babbo Natale. Ma in Germania da qualche anno ci si è ribellati a questa figura con una campagna che ha diffuso un adesivo con la scritta Zona libera da Babbo Natale. E Bari, con una rassegna di otto preziose icone da Santa Caterina nel Sinai, dal mondo ortodosso, con tavole e tele della pittura europea dal Tre al Settecento, con un itinerario di visita in sette sezioni che dicono tutto sull’influenza immensa di questo santo, può essere un segno di rivincita del sacro contro la mediocrità intellettuale e umana del dio consumo. Per non perdere le proprie radici culturali, in ossequio a un malinteso dialogo interreligioso che rinuncia alla propria identità. Come si sta tentando di fare in nome del dialogo con l’Islam. Il quale però, guarda caso, ha un grande rispetto per Nicola, santo turco e nero.

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