Roma è diventata la sua periferia

Nella “lettera alla città” del cardinal Vallini, una descrizione autentica di una metropoli dove, alla vigilia del Giubileo, si sperimenta una grave crisi antropologica. A cominciare dalle scelte urbanistiche
rebibbia

La lettera alla città del vicario del papa a Roma, cardinal Agostino Vallini, è un documento drammatico, lontanissimo da ogni felpato linguaggio curiale. Il testo è stato reso nota il 5 novembre, giorno dell’apertura del processo a Mafia Capitale, una data che segna la presa di coscienza inevitabile di un male che cova da tempo dentro un tessuto sociale lontano dal fascino irresistibile di un centro storico che «si sta progressivamente svuotando di abitanti residenti e si trasforma in centro della politica e in distretto turistico».

Ecco allora la nuova definizione della città: «Roma sta diventando la sua periferia». I numeri sono quelli che indicano da tempo gli urbanisti migliori come risultato di certe scelte del mercato immobiliare che hanno provocato una lenta e inesorabile espulsione dei residenti:«Il 23% della popolazione vive oggi al di fuori del Grande Raccordo Anulare e in queste aree l’incremento degli abitanti negli ultimi 10 anni è stato del 26%».

Lo scenario della vita quotidiana è man mano occupato da un nuovo sviluppo insediativo caratteristico degli ultimi quindici-venti anni con le grandi polarità commerciali e dell’intrattenimento: «sono presenti più di 28 grandi centri commerciali nel territorio cittadino e altri sono in costruzione».

La realtà descritta sembra rispecchiare, a volte, le immagini di una certa recente cinematografia, non solo nera, dove il fatto cristiano sembra eclissato:    «La corruzione, l’impoverimento urbanistico e ambientale, la crisi economica hanno investito pesantemente lo spazio fisico, l’identità collettiva e la coesione sociale». Ed è in tale contesto che «aumentano le povertà, non solo materiali, che alimentano nuovi e profondi squilibri».

Il peso della diseguaglianza crescente ha portato ad accentuare le «differenze tra i quartieri centrali e le periferie, allargato la fascia dei poveri e degli ‘invisibili’. Il ceto medio ne è uscito indebolito, si sono alzati steccati tra ambienti sociali diversi, scoraggiando quella ‘mescolanza’ virtuosa necessaria per far crescere la coesione di una città e la pratica quotidiana del dialogo e del riconoscimento reciproco».

L’intenzione della Chiesa non è quella di condannare, afferma la lettera di Vallini, ma quella di chi si fa ogni giorno «compagno di strada di tutti gli uomini di buona volontà».  Eppure per trovare assieme una via di uscita bisogna partire da un’analisi realistica dei “mali di Roma” che non possono essere solo organizzativi perché alla radice esiste «una profonda crisi antropologica ed etica. In tanti sembra smarrito l’orizzonte comune dell’esperienza umana». La descrizione usa immagini efficaci del vivere giornaliero dove «troppe persone si incrociano per strada  si guardano con diffidenza, quasi siano alieni provenienti da pianeti diversi».

Fuori da ogni trionfalismo in questa Roma del 2015, il giubileo della Misericordia non chiede nuove scenografie da grande evento. La grande opera che invita a compiere la lettera alla città è quello di «agire concretamente affinché Roma diventi sempre più abitabile e felice e tutti possiamo «“sentirci a casa” all’interno della città che ci contiene e ci unisce».

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