Il ritorno di Chung a Santa Cecilia

Il direttore coreano a Roma dirige Mendelsshon e Bruckner. Il violino di Leonidas Kavakos
Santa Cecilia foto Accademia

Ci sono esecuzioni, o meglio interpretazioni, che lasciano il segno. Ancora una volta dal vivo, e quindi le migliori, perché non perfezionabili poi tecnicamente in studio, come succede per le incisioni.

Repertorio del grande romanticismo. Quando Felix Mendelsshon compone  il Concerto in mi minore per violino e orchestra ha solo 35 anni ma è già compositore  di brani meravigliosamente felici. Felicità è infatti l’aura di questo autore che sublima ogni possibile dolore nella gioia di esistere, di essere al mondo a vedere uomini cose e natura e di inventare un suono – quello del suo violino – affettuoso, cantabile e scherzoso. Pieno di vita. Dalla melodiosità totale del primo movimento,  “molto appassionato”, si passa alla luce dell’Andante e poi alla brillantezza dell’ultimo tempo.

Kavakos, si sa, è uno dei massimi violinisti attuali. La”cavata” naturalmente sonora, la tecnica mirabolante al punto da far sembrare tutto facile, la sensibilità non solo al bel suono ma a creare una atmosfera – nel caso, romantica – offe una lezione di stile, di maturità e soprattutto comunica una gioia festosa, una energia vitale che fa bene. Distende, eleva, riappacifica con la bellezza di cui oggi c’è un urgente bisogno e Chung accompagna con l’orchestra come solo un grande direttore sa fare: presenza-assenza. Cioè, amore.

Dopo i due bis concessi ad un pubblico in standing ovation, è la volta del tardo romanticismo di Anton Bruckner. Uomo dimesso, cattolico fervente, innamorato della musica di Wagner e molto incompreso, l’umile maestro austriaco compone la sua Sesta Sinfonia a 65 anni, l’unica a non aver mai corretto, perfezionista quale era.

Partitura gigantesca, che precede Mahler, gloriosamente trionfante in una orchestra immensa che risponde perfettamente al gesto chiarissimo di Chung, sollecito ma mai invasivo, questa musica ha in sé profondità abissali, tensioni sorprendenti in un uomo in apparenza dimesso.

Bruckner intuisce il suo tempo di passaggio, il  conflitto dell’umanità e la serenità che raggiunge negli squilli degli ottoni non nasconde commozioni, trepidazioni negli archi gravi, e pure una sottile vena umoristica qua e là, quasi a voler sdrammatizzare.  Ascoltare questa sinfonia è entrare in un universo dove si dice e si intuisce tutto, alla maniera di Bruckner: maestosa e trepida. Tremendamente attuale.

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