Riscoprire Ercolano

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Tre secoli sono trascorsi dal giorno in cui, per impulso dei Borbone, ebbero inizio gli scavi dell’antica Ercolano, la sorella minore di Pompei anch’essa sepolta dall’eruzione vesuviana del 79 d. C., scavi finanziati dopo che dal pozzo di un tal contadino detto Enzecchetta erano cominciati ad emergere marmi preziosi ed altre meraviglie. La cittadina lambita dalle onde del golfo di Napoli era stata investita da una colata di fango alta anche trenta metri che aveva assunto la compattezza del tufo, rendendo impossibile – per l’epoca – uno scavo a cielo aperto. Fu necessario pertanto condurre l’esplorazione attraverso cunicoli bui e pericolosi, con un lavoro immane alla luce delle torce. Certo, la scienza dell’archeologia, come oggi è concepita, non era ancora nata; si scavava cercando i tesori, che ad Ercolano superarono ogni previsione, suscitando stupore nel mondo intero: una vera selva di statue in bronzo e mar- mo, affreschi, mosaici, gioielli, ma anche una biblioteca di papiri che tramandavano interi brani del pensiero greco, nonché suppellettili in legno ed altri reperti organici carbonizzati, conservati lì come non è avvenuto altrove per le altissime temperature sviluppate dal fenomeno vulcanico. Così, grazie all’oscura fatica di maestranze costituite da galeotti e soldati, riapparvero alla luce del sole l’arte, la bellezza, la storia, la cultura e una marea di elementi preziosi per una visione più corretta dell’antichità. Incalcolabile l’influsso sulle arti e le scienze dell’epoca. Ancor oggi, considerando quei cunicoli che sforacchiano la parte ancora sepolta dell’antica città e le accuratissime planimetrie degli edifici rilevate dagli ingegneri borbonici, si è colti dalla meraviglia per quella che fu una vera epopea, meritevole di esser celebrata dalla penna di un romanziere. Questa messe ricchissima, miracolosamente con servata nel fango solidificato come un insetto nell’ambra, affluì nel museo allestito nella reggia di Portici e, in parte, nelle collezioni di altri re e principi europei come regalo personale del re di Napoli. Poi su Ercolano cadde il silenzio. Fu quando scavi così difficili e dispendiosi vennero sospesi a favore di Pompei, dove le modalità del seppellimento rendevano più agevole lo sterro, quella Pompei dove ormai le scoperte giornaliere non solo di tesori ma anche di vittime (non bisogna trascurare l’aspetto emotivo) attiravano studiosi e visitatori di rango da ogni parte d’Europa. Per Ercolano bisognò aspettare il 1828 perché una esigua porzione della città venisse scavata, questa volta a cielo aperto. Ma fu tra il 1927 e il 1958 che, grazie al grande archeologo Amedeo Maiuri, buona parte di essa venne riportata sistematicamente alla luce, rivelando la sua caratteristica più raccolta e residenziale rispetto alla più estesa e commerciale Pompei. Negli anni Ottanta del secolo scorso una ripresa delle esplorazioni sul sito dell’antica spiaggia riservava clamorose scoperte (vedi box); più di recente, è stata ricongiunta l’area scoperta della città alla villa suburbana dei Papiri, di cui si è potuta scavare una esigua parte a cielo aperto, ed è in atto un progetto di integrale restauro dei 4,5 ettari rimessi in luce (sui circa 20 ipotizzati). Prossima l’inaugurazione del museo ercolanese, mentre a breve distanza dagli scavi si è da poco inaugurato il Mav, un museo virtuale che propone immagini quasi palpabili della vita quotidiana a Ercolano. Insomma per l’antica città dichiarata nel 1997 dall’Unesco patrimonio dell’umanità sembra suonata l’ora della riscossa. E per il futuro? Se dei quartieri che giacciono ancora intatti sotto la moderna città si riuscisse a riportare alla luce almeno il teatro capace di quattromila spettatori, oggi visitabile solo per cunicoli, avremmo l’esempio più integro di un edificio del genere pervenutoci dall’antichità. Intanto ci ripaga ampiamente, a Napoli, la mostra in corso che per la prima volta riunisce quasi al completo le straordinarie collezioni di opere scultoree rinvenute negli antichi e recenti scavi: immagini di dei e di eroi, di sovrani e di esponenti delle dinastie imperiali, di filosofi e di cittadini illustri oppure ignoti. Fabio Valentini Ercolano, tre secoli di scoperte. Napoli, Museo Archeologico Nazionale, fino al 13 aprile (Catalogo Electa). NON SOLO STATUE A Giuseppe Maggi, l’archeologo che negli anni Cinquanta è stato il più stretto collaboratore di Amedeo Maiuri e fra i Settanta e Ottanta ne ha continuato l’opera, si devono importanti, rivoluzionarie scoperte: fra le altre, là dove si stendeva l’antica spiaggia, le circa trecento vittime fra uomini, donne e bambini che avevano tentato invano la fuga via mare ma ne erano state impedite dal maremoto che accompagnò l’eruzione. Da allora – racconta Maggi – la storia di Ercolano cambiò volto: non, come si era supposto, una città abbandonata dagli abitanti rimasta in uno straordinario stato di conservazione, ma l’immane tragedia di un popolo. La notizia fece rapidamente il giro del mondo coinvolgendo per lungo tempo i mass media. Insieme alle preziose sculture la mostra napoletana espone il calco di uno di questi grovigli di scheletri, impressionante composizione che ricorda i trionfi della morte di epoca medievale e induce a meditare sul lato più umano della tragedia che colpì Ercolano.

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