Riposarsi con Rossini

Antonio Pappano dirige musiche del Pesarese a Santa Cecilia in Roma con cantanti superstar. Un trionfo
Rossini sacro e profano foto Santa Cecilia

 

Pappano dice che ogni tanto, dopo Mahler Beethoven Wagner, Verdi, i russi eccetera, desidera riposarsi e prendere fiato. E allora si porta a casa, cioè in concerto, Gioachino Rossini.

Me lo diceva anche un direttore geniale, per anni  all’Opera romana, purtroppo scomparso, Gianluigi Gelmetti. È vero, Rossini riposa, distende. In apparenza è cosa facile, perché a lui interessa solo la musica: può musicare un testo impegnativo come Otello o fanta-tragico come Semiramide o addirittura  una Messa, come la Messa di gloria, anno 1820 a Napoli, ordinatagli dal re Borbone. E poco eseguita – l’ascoltai a Roma a s.Maria degli angeli, direttore appunto Gelmetti – anche perchè è una messa “strana”: solo Kyrie e Gloria, niente Credo Sanctus e Agnus Dei.

E qui ci si trova davanti all’idea di sacro in Rossini che scriverà  poi lo Stabat mater, la Petite messe solemnelle (piccola ma anche solenne….) con l’ambiguità da Giano bifronte che è sua.  Ossia, una apparente indifferenza per i l testo in favore di una orchestrazione favolosamente colorata e luminosa,sempre chiara come il sole, e di un canto che più operistico non si può. Cioè fiorito, ornato, deliziosamente virtuoso all’impossibile. Ma questa sarà musica sacra si direbbero  certi compositori “religiosi” di oggi nei loro canti paraliturgici,  paragregoriani o paramoderni?.

Pare che all’epoca  nessuno  si scandalizzasse troppo, tranne alcuni rigidi germanici. Del resto certe messe barocche sono di un virtuosismo bellissimo e impossibile, ma accettato, anche se non sempre. Tutto questo per dire che la Messa rossiniana è stupenda, con arie duetti coro e orchestra: fantasia, dolcezza, luce e ancora luce e pace. La messa di Rossini, il suo canto prodigioso e verticistico, è pace: questo è per lui il sacro. Ed è quello che lascia al pubblico entusiasta.

Il merito  è certo di Pappano che dirige senza bacchetta, a gesti fluenti e comunicativi, immersi nel fascino della musica e di una orchestra senza incertezze, ampia, dal suono bello.  Il coro che lo segue è denso, sereno. Impressionanti i cantanti, dotati di un tecnica a dir poco impossibile eppure vera: i l soprano Eleonora Buratto, il contralto Teresa Iervolino, i due tenori  Lawrence Bromnlee e Michael Spyres- due fenomeni vocali dalla tessitura acuta estrema – e il basso Carlo Lepore, un vero basso dalle note profonde.

Sarebbe utile descrivere la politezza anche esplosiva di tanti brani, ma basta un accenno solo al Christe eleison dei due tenori: un duetto di una tenerezza dolcissima, che penetra nel cuore, e fa capire che il Rossini indifferente proprio indifferente non lo è davanti al perdono divino. Certo, Gioachino si nasconde sempre, ma qui non ce la fa: l’affettuosa richiesta di perdono suona così autentica, e sicura di riceverlo nella sua soavità che fa commuovere e capire che il virtuosismo, il lusso neobarocco, altro non sono che la felicità di sentirsi amati come nei brani precedenti la Messa, tratti dall’Otello e dalla Semiramide.

Questo è un Rossini da riascoltare (direzioni di Accardo e Marriner), che dona la freschezza della gioia e della pace in un lavoro certo teatrale, ma sincero.

 

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