Revocato il divieto di esportazione di missili e bombe in Arabia Saudita

Nel clima generale di corsa agli armamenti il governo italiano ha decretato la fine del blocco delle esportazioni di missili e bombe all’Arabia Saudita in forza della «significativa riduzione delle operazioni belliche» in Yemen. Una scelta strategica che parte da lontano
esportazione
Bombe e missili Foto Ap La Presse

Il divieto di esportazione di missili e bombe d’aereo dall’Italia all’Arabia Saudita è stato presentato finora come un caso, più unico che raro, di vittoria della società civile che ha avuto un sussulto di responsabilità davanti alla tragedia della guerra in Yemen. Un percorso che Città Nuova ha accompagnato e sostenuto anche con conferenze stampa alla Camera dei deputati e il sostegno di una rete internazionale di associazioni, a partire dalla federazione delle chiese evangeliche della Germania, Paese dove ha sede la multinazionale che controlla la società Rwm Italia che produce ed esporta materiale bellico nello stabilimento sito in Sardegna.

La revoca del divieto era prevedibile in considerazione della crescita della produzione di armi legittimata dallo scatenarsi della guerra in Ucraina dopo l’invasione russa del 24 febbraio 2022 giunta dopo anni di tensione sulla faglia di confine tra Mosca e Alleanza atlantica.

La decisione immediata del governo tedesco, guidato dal cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz, di aumentare la produzione bellica di 100 miliardi di euro, al di fuori di ogni misura di politica europea comune di difesa, è stato un segnale che non ha trovato impreparato il colosso della Rehinmetall Defence, la storica società che controlla lo stabilimento italiano collocato nel Sulcis Iglesiente che è stato convertito a finalità belliche nel 2001 dalla originaria produzione legata al comparto minerario in via di dismissione. La multinazionale teutonica, quotata alla Borsa di Francoforte, è un perno decisivo di commesse strategiche internazionali, si pensi alla tormentata fornitura dei Leopard 2 sul fronte ucraino, che vede la Germania al quinto posto dei principali Paesi esportatori di armi, precedendo l’Italia che comunque, tra il 2017 e il 2021, è salita dal nono al sesto posto di tale classifica mondiale registrata puntualmente dal Sipri di Stoccolma.

Esistono ad ogni modo anche interessi ad una più stretta collaborazione nel settore delle industrie delle armi dei due Paesi come ha avuto modo di sottolineare l’amministratore di Rwm Italia già nell’audizione alla Camera di Deputati del 29 luglio 2021 per ribadire il valore strategico della sua società che si pone come «un pilastro per la Difesa del Paese e, quindi, un elemento chiave anche nelle relazioni geopolitiche legate alle tecnologie per la Difesa».

Non può sorprendere quindi il tono protocollare del comunicato stampa numero 37 del 31 maggio 2023 emesso dal governo italiano che, dopo la parte principale dedicata alla promozione di un fondo sovrano a servizio del “Made in Italy”, fa sapere che «il Consiglio dei Ministri ha attestato che l’esportazione di bombe e missili verso l’Arabia Saudita non ricade nei divieti di esportazione stabiliti dall’articolo 1, commi 5 e 6, della legge 9 luglio 1990, n. 185 essendo conforme alla politica estera e di difesa dell’Italia».

Come si ricorda nel testo del comunicato, «le limitazioni all’esportazione verso l’Arabia Saudita di alcuni materiali di armamento per prevenirne l’utilizzo nella guerra in Yemen sono state decretate tra il 2019 e il 2020, in conformità con atti di indirizzo del Parlamento». Si tratta, è il caso di ricordare, provvedimenti adottati dal governo Conte 1 e Conte 2, quindi da due maggioranze di diverso colore, sotto la pressione di associazioni e movimenti che non avevano avuto riscontro nel precedente governo guidato da Paolo Gentiloni. La richiesta di interrompere la fornitura di missili e bombe all’Arabia Saudita era dovuta all’impiego di tali armi nella guerra in corso in Yemen dal 2015 condotta contro i ribelli Huthi da una coalizione militare con a capo i sauditi. Un disastro umanitario secondo l’Onu con bombardamenti contro scuole e ospedali con conseguenti effetti a catena, compresa un’epidemia di colera che colpisce milioni di persone.

Foto LaPresse – Roberto Settonce Marcia Perugia Assisi 2018

Cosa è cambiato di fatto dallo stop alle armi decretato dall’Italia nel 2019 e 2020? Secondo il governo Meloni «da aprile 2022, anche grazie alla tregua convenuta tra le parti, le attività militari sono fortemente rallentate e circoscritte. La significativa riduzione delle operazioni belliche comporta un’attenuazione altrettanto significativa del rischio di uso improprio di bombe d’aereo e missili, in particolare contro obiettivi civili. Riad ha portato avanti una intensa attività diplomatica a sostegno della mediazione delle Nazioni Unite e al contempo ha agito anche sul fronte economico e dell’assistenza umanitaria in maniera determinante».

Non è, quindi, «scoppiata la pace» in Yemen, come si dice in gergo semplicistico, ma si è avuta «una significativa riduzione delle operazioni belliche» che ha comportato «un’attenuazione altrettanto significativa del rischio di uso improprio di bombe d’aereo e missili, in particolare contro obiettivi civili».

Di fatto, è nota la forza contrattuale rivestita dalla monarchia saudita che si attesta stabilmente come secondo importatore di armi a livello mondiale tanto da organizzare eventi centrali per le industrie belliche internazionali come il World Defence Show dello scorso marzo 2022 che ha visto una presenza qualificata delle imprese italiane a cominciare da Leonardo.

Con grande onestà intellettuale si può sottolineare la trasparenza con cui il Centro studi Machiavelli già nel 2018 aveva esplicitato l’importanza del mercato saudita delle armi per le nostre industrie con la relazione di Guido Crosetto, allora presidente dell’associazione delle aziende della Difesa e dello Spazio e ora ministro della Difesa. Nella ricerca presentata alla sala stampa della Camera già si prevedeva con realismo l’affievolirsi progressivo dello scandalo legato all’efferato assassinio in Turchia del giornalista saudita Khashoggi, autore per lo statunitense Washington Post. Alla domanda di chi scrive sulla questione della fornitura di bombe a Riad da parte italiana veniva risposto che le armi sarebbero comunque arrivate da altri fornitori e che le industrie di Paesi a noi alleati erano già pronte per essere tra i maggiori sponsor del Defence show saudita poi spostato nel 2022 per la pandemia che non ha, come sappiamo, comportato un decremento della produzione di armi ma un suo aumento fino al picco dei 2.224 miliardi di dollari nel 2022.

È significativo che la revoca allo stop alla fornitura di armi all’Arabia Saudita sia arrivata il 31 maggio, alla vigilia della festa della Repubblica del 2 giugno. Una festa che dovrebbe celebrare costituzionalmente un Paese “libero dalla guerra e dalle armi nucleari” secondo l’istanza presentata il primo giugno alla sala stampa della Camera da un folto numero di associazioni cattoliche e di ispirazione nonviolenta. È un appello alla coscienza rivolto a tutti senza distinzione di partito che chiama in causa una questione di dignità nazionale messa in discussione da scelte che giustificano la fornitura di armi anche a Paesi in guerra e oppressivi per battere una folta concorrenza.

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