Rakhine in stato di guerra

La storia può spiegare le lotte che insanguinano la regione, al confine col Bangladesh, tra l’etnia rohingya, musulmani, e gli arakan, buddhisti. Motivazioni sconosciute ai più, che affondano nei secoli e che oggi conoscono una recrudescenza di violenza

Indubbiamente uno dei massimi studiosi del Sud-Est asiatico (e soprattutto del Myanmar, ex Burma) è il britannico Daniel George Edward Hall (1891-1979), storico, che ha scritto un testo che rimane un classico per conoscere la storia di questa regione (A History of Southeast Asia, 1955). Secondo Hall, la lotta tra i mro musulmani e i rakhine, buddhisti, risale alla notte dei tempi, a centinaia e centinaia di anni fa, ed è proseguita fino ai giorni nostri: un attore importante di tale lotta è stata ovviamente la dominazione britannica, che ha lasciato l’eredità di lotte etniche mai risolte, come del resto è avvenuto in altre parti del Sud-Est asiatico, dove l’Impero britannico ha dominato dal XVII secolo fino al XX.

La regione dell’Arakan (attuale Rakhine) dalla data dell’indipendenza dall’Impero britannico, cioè dalle ore 4.20 del mattino del 4 gennaio 1948, è stata anche teatro di lotte tribali. I risentimenti, per esempio, dell’etnia rakhine contro l’etnia bamar, maggioritaria (che guida il Paese fino ai giorni nostri), torna indietro nel tempo fino alla data della conquista del regno Arakan da parte della dinastia Konbaung, nel lontano 1784. Va anche ricordato che l’esercito Arakan National Army ha avuto un ruolo importante nella guerra contro i giapponesi nella Seconda guerra mondiale.  Insomma, gente avvezza alle armi, questi dello Stato del Rakhine.

Conflict in northern Rakhine State

Anche su questo sito abbiamo seguito lo svolgersi degli eventi dall’agosto del 2017 che hanno portato alla fuga di circa 800 mila rohingya verso il Bangladesh, che accoglie in tutto circa 1,1 milioni di profughi. La comunità internazionale, da un anno a questa parte, chiede al Myanmar sia di perseguire gli autori di tale pulizia etnica (definita dalle Nazione Unite «un esempio da manuale») sia di rimpatriare i rohingya, riconoscere il diritto di cittadinanza (da sempre negato) e soprattutto di togliere tutti gli ostacoli affinché i profughi possano far ritorno alle loro terre. Possiamo dire che questa pressione della comunità internazionale, le Nazioni Unite in primis, non accenna a diminuire.

Il recente attacco, avvenuto proprio il giorno della festa dell’Indipendenza del Paese dall’Impero britannico, il 4 gennaio di quest’anno, da parte dell’Arakan Army nella cittadina di Buthidaung, è sicuramente un fatto che complica la già precaria situazione di pace. L’Arakan Army, formato da membri prevalentemente di religione buddhista che lottano per l’indipendenza dello Stato Rakhine dal governo centrale del Myanmar, ha lasciato sul campo 13 ufficiali di polizia morti e ne ha feriti 9: questo è un fatto grave che complica e contribuisce a esacerbare ulteriormente la tensione nello stato Rakhine. Il gruppo di studio International Crisis Group, con base a Bruxelles, ha pubblicato il 24 gennaio un report, dal titolo: Una nuova dimensione della violenza nello stato del Rakhine, Myanmar in cui si afferma che «l’attacco rappresenta un pericoloso cambio da un approccio politico a un approccio di lotta etnica nello stato del Rakhine».

Si tratta di un attacco che mina non solo un possibile processo di pace, ma soprattutto i piani di rimpatrio dei rohingya dal Bangladesh. Anche altri analisti della regione affermano che un attacco da parte dell’Arakan Army non fa altro che avallare la tesi dell’impossibilità di un ritorno del milione e passa di profughi rohingya alle loro terre. La loro incolumità non solo non sarebbe garantita, ma sarebbe ancora di più a rischio ora che l’Arakan Army entra nello scenario dei combattimenti. Così lo Stato del Rakhine si trasforma oggi in un vero e proprio teatro di guerra con tre principali attori: l’esercito ufficiale Tatmadaw, l’Arakan Rohingya Salvation Army (che sarebbe l’autore degli attacchi del 25 agosto 2017) e l’Arakan Army, con l’attacco del gennaio scorso. Secondo il giornale Frontier Myanmar, solo la Cina potrebbe portare al tavolo delle trattative le tre parti contendenti. E nel mezzo di questi tre contendenti c’è la sorte dei rohingya ammassati nei campi profughi di Kutupalong, a ridosso del confine tra Myanmar e Bangladesh.

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons