Questa mia città

Articolo

Pm 10. Ecco il colpevole, anzi, pardon, le colpevoli. Polveri sottili sospese nell’aria con un diametro inferiore ai 10 micron in grado di sollevare un… polverone. Quello cui abbiamo assistito in questi giorni, complice la pioggia che si è fatta attendere. Meno male che il 24 gennaio ne è arrivata un po’ in tutta Italia spazzando via in parte polveri, polverine e polveroni. Quel 24 gennaio che vedeva riuniti nella capitale il ministro dell’Ambiente Matteoli ed i rappresentanti delle Regioni e dei Comuni convenuti per cercare una soluzione che non dipendesse solo dall’ “alto”, dalla pioggia cioè. Difficile decidere in chi riporre le più immediate speranze. Certo è che i temporali ci hanno fatto tirare un respiro di sollievo più che le proposte emerse dal vertice. Ma si tratta solo di una breve pausa per riprendere fiato. Col ritorno del sereno ci ritroviamo daccapo. Intanto il “pacchetto” è pronto in sette punti: va dal rilancio del trasporto pubblico al controllo sulle caldaie, dalla legge che impone alle nuove case di dotarsi di parcheggi all’estensione del verde pubblico, dal telelavoro al car sharing. Niente di nuovo sotto il sole, (già che non piove…)? Può darsi. Di nuovo forse c’è un impegno che diventa sempre più comune e non sporadico. Di nuovo c’è anche l’avvicinarsi del recepimento da parte dell’Italia di quella direttiva europea, la numero 30 del 1999, che fissa un limite più severo per le polveri sottili. Di nuovo però (non nel senso della novità bensì nel senso di ancora una volta) c’è che mancano i soldi per attuare delle iniziative concrete, durature e risolutrici. Per fermare l’emergenza abbiamo dovuto ricorrere ai più vari sistemi: stop alle auto di domenica, poi anche di settimana, targhe alterne, chiusura del centro città pur di aiutare i nostri polmoni che non ne possono più di quest’aria divenuta pesante. Qualcuno ha condiviso questi provvedimenti, altri li hanno giudicati inutili; c’è stato chi li ha presi in considerazione e chi ha protestato. E poi il solito teatrino all’italiana sulle colpe, sui ritardi, sulle omissioni. Inevitabile! O forse no se si riconoscesse, una volta tanto, che giusto i bambini possono “scagliare la prima pietra”. Gli altri è meglio che se ne svuotino le tasche e gli animi. Nella maggior parte infatti, noi italiani non abbiamo una grande coscienza ecologica anche se l’attenzione a questo tipo di problematiche sembra stia crescendo. Ma è più facile protestare contro qualche responsabile, noto o ignoto che sia, anziché chiedersi: “E io che posso fare?”. Stili di vita Già, in attesa che i nostri responsabili si mettano d’accordo, si diano da fare magari aiutati e stimolati da noi (non dimentichiamo che con le istituzioni si può sempre interloquire), che si trovino i soldi necessari e le proposte adatte, conviene, come sempre, cominciare da noi. Qualche tempo fa ero vicina al Palaeur a Roma, al centro di una grande arteria, la Cristoforo Colombo, che collega il centro con la periferia, il raccordo anulare, la Pontina verso il Lazio sud. Avevo appuntamento con un’amica. Mentre aspettavo vedo arrivare una macchina con cinque persone a bordo. In quattro scendono e vanno a prendere ognuno la propria automobile nel grande parcheggio davanti al palazzetto dello sport. Poco dopo, stessa identica scena. È evidente, sono colleghi di lavoro che lasciano quattro auto in periferia e arrivano al centro con una sola. Mi tornano in mente alcune scene opposte. In un piccolo paese, vedo uscire prima il marito con la sua fuoriserie e la figlia grande, poco dopo la moglie con a bordo il figlio più piccolo. Li accompagnano a scuola. Due scuole diverse che richiedono un percorso differenziato anche se percorribile in pochi minuti. A dire il vero anche a piedi. Per non dire che in garage giacciono quattro belle biciclette cui il tempo non ha appannato la brillantezza. Che peccato usarle, si rovinerebbero! No comment, stili di vita, mi si dirà. E se nelle piccole come nelle grandi città il problema dello smog è grave c’è da pensare che sia più diffuso il secondo. D’accordo non siamo sulle vie di Shangai o Pechino dove le due ruote senza motore la fanno da padrone ma…provate a guardare dentro le macchine che tentano di farsi spazio possibilmente prima di voi. Quante persone oltre il conducente? Una o forse nessuna. Un occhio al quartiere Una macchina ogni quattro culle. Sembra uno slogan, è invece il quadro di un’Italia che detiene il tasso di macchinizzazione più alto d’Europa: 55 vetture ogni 100 abitanti contro le 5 del 1961. È evidente. Se il trasporto pubblico non funziona o funziona poco, magari semplicemente perché i percorsi sono tracciati a tavolino, non si può pretendere dalla gente il sacrificio di quadruplicare il tempo necessario a raggiungere il proprio posto di lavoro. Solo qualche convinto ecologista con molto tempo a disposizione potrebbe farlo. Ma le quattro ruote al posto delle due gambe sono diventate di regola anche nei centri piccoli dove in un quarto d’ora hai percorso il paese da un capo all’altro. Dunque non si può generalizzare ed una soluzione può andar bene in un posto e non in un altro. Purché ognuno cerchi e trovi la sua. Per esempio una macchina ogni quattro bambini dello stesso palazzo o quartiere che frequentano la stessa scuola… A turno. O un’automobile ogni due signore che vanno a fare la spesa allo stesso supermercato. Quante occasioni per conoscersi di più e rendere anche per questo più vivibili le nostre città. Dal momento che non tutti possiamo adottare la soluzione più radicale che è quella di trasferirci lontani dai centri abitati. E poi un po’ meno individualismo non sarebbe mica male. Le iniziative in atto Intanto 14 città in Europa sono state scelte come destinatarie di finanziamenti volti a cercare soluzioni alternative all’uso di automobili. Tra Barcellona e Berlino, Goteborg e Nantes, Bristol e Graz, c’è anche Roma che progetta di realizzare l’area a traffico limitato più grande d’Europa e promuovere l’uso di veicoli elettrici che da qualche tempo hanno cominciato a circolare, seppur in maniera molto ridotta, nella capitale italiana. Rientra in questo progetto il carpooling, cioè un sistema di trasporto che prevede la formazione di equipaggi di tre o più persone i cui spostamenti vengono gestiti da un centro operativo. Ciò diminuisce sia il traffico sia le spese dei singoli guidatori altrimenti costretti a provvedere autonomamente al trasporto. Tra le domande della scheda di iscrizione oltre a notizie sull’uso di una propria vettura, il parcheggio, l’orario di lavoro, troviamo ad esempio: “Che tipologia di persone accompagnerebbe nel tragitto casa-lavoro?” Si può scegliere fra una persona dello stesso sesso; qualcuno che parli poco; qualcuno che ami ascoltare la radio; qualcuno che ami chiacchierare; altre proposte compresa l’indicazione di persone già conosciute. E poi c’è il V municipio il quale ha promosso l’Osservatorio sulla mobilità che invitando i cittadini a trovare insieme soluzioni alternative per una zona della città, la via Tiburtina dove il traffico è davvero insostenibile, propone loro una scheda in cui tra l’altro si domanda a quali condizioni si accetterebbe di usare il trasporto pubblico per raggiungere il proprio posto di lavoro. Per non dire del policlinico Umberto I dove l’introduzione del mobility manager ha avuto come effetto una grande razionalizzazione dei trasporti. Questa del mobility manager è una figura nuova e quasi sconosciuta. La si deve ad un decreto del 1998 introdotto dal ministro Ronchi che prevedeva l’istituzione di 3500 operatori con caratteristiche che vanno dall’ecologista al manager al coordinatore di spostamenti. Imprese con oltre 300 dipendenti ed enti pubblici avrebbero dovuto nominare una persona per gestire gli spostamenti dei loro lavoratori. Ad oggi però se ne contano solo 367. A Fano, Parma, Milano e Livorno esiste l’autobus a chiamata, una soluzione a metà tra il bus e il taxi che provvede al trasporto porta a porta su chiamata telefonica. Attraverso un call center infatti l’utente può comunicare il suo tragitto e l’orario in cui intende farlo. Penserà un sistema computerizzato ad assemblare le richieste per un servizio che elimina le attese, i percorsi a piedi, i trasbordi con piccole vetture da 10 posti. E poi il taxi collettivo, un servizio di navette con itinerari predeterminati ma flessibilità nelle fermate. Ed il carsharing, cioè l’auto condivisa che viene utilizzata solo per il tempo in cui se ne ha bisogno e dopo si può lasciare in aree di parcheggio apposite perché altri possano usarla. Se poi si estendesse la proposta del presidente della Lombardia Formigoni di consentire nella regione l’acquisto solo di auto ecologiche dal 2005 in poi, sarebbe un gran passo avanti. E già tre case automobilistiche, Fiat, Citroen e Bmw si sono dette interessate. Comunque, in attese delle auto di nuova generazione, delle linee metro, dei trasporti su rotaia, qualcosa possiamo cominciare a fare pure noi. Qualche dato Secondo uno studio fatto dall’Organizzazione mondiale della sanità, l’impatto da Pm10 sulla salute degli abitanti di otto grandi città italiane sarebbe il seguente: 3.472 morti; 1.887 ricoveri per cause respiratorie; 2.710 ricoveri per malattie cardiovascolari; 31.524 attacchi di bronchite acuta nei bambini; 11.630 casi di attacchi d’asma in persone oltre i 15 anni d’età. Riguardo ai mobility manager ecco la situazione: Roma ne conta 131 sui 154 previsti; Perugia,Terni e Mantova 14 su 14; Genova 21 su 30; Milano 33 su 450. I mezzi pubblici. A Milano l’età media degli autobus è di 7,39 anni; a Roma e Venezia è di 12; a Udine e Terni è 13; Matera chiude la classifica con vetture diciannovenni.

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons