Quel ciuffo ribelle di papa Wojtyla

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Tante volte mi è stato chiesto durante conferenze, in Italia e in Europa, quale fosse l’impronta digitale del ministero apostolico di papa Wojtyla. Devo confessare, con tutta franchezza, che è una domanda a cui non so rispondere, o, meglio, rispondo parlando di profezia e di carisma, di grandiosità ed umiltà, di papato di segni e di gesti, di simboli e di comunicazione. Tutto è talmente smisurato che l’intero arco di un pontificato, così denso e coinvolgente come quello del montanaro di Wadowice, lascia stupiti e stupefatti. Lo seguo da sedici anni ma non so mai da dove cominciare. Non per niente la rivista Time lo ha definito l’uomo del secolo e il magnifico rettore dell’Università La Sapienza di Roma si è spinto ad affermare che bisognerebbe avere il coraggio di conferire a Giovanni Paolo II il titolo di magno. Non mi addosserò, dunque, la fatica di scrivere un libro. Non sono uno studioso, ma un giornalista, epperciò uno storico dell’istante. Pur tuttavia conservo, prima nel cuore che nella mente, ricordi indelebili. Sono appunti, una sorta di album della memoria che acquista in vividezza col passare del tempo. Mi limiterò a quelli più vicini, a quelli che hanno avuto la forza di cambiare la vita di milioni di persone. Compresa la mia. Santità, grazie per questo viaggio . Mi è venuto spontaneo questo grido all’aeroporto di La Valletta, a conclusione del pellegrinaggio sulle orme dell’apostolo Paolo. Giovanni Paolo II era appena sceso dalla scaletta dell’aereo siriano (maggio 2001). Era, come sempre in questi ultimi anni, stanco. Quasi divorato da una spossatezza infinita. Ma tutto era così lieve e il sole dava trasparenza anche ai nostri pensieri, ai nostri dubbi, alle tante preoccupazioni. Sembrava di essere tornati dal fronte. La corsa era terminata. Il sorriso del vecchio papa ci faceva capire che era stata combattuta una buona battaglia. Le tribune dei giornalisti erano a cinque metri dal palco dei discorsi ufficiali. papa Wojtyla, per nulla intimorito dai flash dei fotografi e dalle telecamere puntate, unì le tre dita della mano destra quasi per dirci: Che ci fate qui? Perché continuate a seguirmi? Il capo dello stato, Guido De Marco, intanto accarezzava il pontefice e il segretario don Stanislao gli aggiustava la mantellina mentre il seguito papale si godeva lo spettacolo, coccolandosi con lo sguardo il successore di Pietro. Poi la sorpresa di una banda che invece degli onori militari si struggeva con le note dell’ Amami Alfredo della Traviata. Un quadro familiare così tenero da far venire i lucciconi. Nella biografia intellettuale e spirituale di papa Wojtyla non poteva mancare la tappa di Atene. Un incontro inevitabile. Con la predicazione di Paolo all’Aeropago l’Ellade divenne gradualmente cristiana e la cristianità divenne, in un certo senso, greca. Noi vediamo con gli occhi dei greci, parliamo ancora con le loro parole. – È un’espressione incisiva di uno studioso il quale sottolineava come, attraverso gli strumenti speculativi del pensiero classico, un mantello di idee avvolse il mondo antico, creò le condizioni per il fiorire di una civiltà. Ben diverso il clima a Damasco e fra i cristiani (ortodossi e cattolici) e fra cristiani e i musulmani. Il papa aveva compiuto due gesti profetici: implorare la pace per il Medio Oriente dalle alture del Golan, rischiando di essere strumentalizzato politicamente dal regime del presidente Bashar Al-Assad; varcare per la prima volta una sala di preghiera di un tempio di culto islamico. Aveva varcato la soglia della moschea omayyade, soffermandosi davanti al cenotafio di Giovanni il Battista. L’aveva fatto nella lucida consapevolezza di voler esorcizzare l’incubo diffuso dei vasi comunicanti; il vuoto (o supposto tale) della religiosità occidentale, orfana di un Dio trascendente, e il pieno di una energia prorompente da un Islam inebriato dalla sottomissione a un Dio invincibile. Giovanni Paolo II e la pedagogia del dialogo. As-salamu alaikum!, la pace sia con voi. La violenza – aveva scandito nel cortile della splendida moschea – distrugge l’immagine di Dio nelle sue creature e non può mai essere considerata il frutto delle convinzioni religiose . Educarsi e educare alla convivenza, collaborare insieme per il bene della famiglia umana, credere che il valore della tolleranza possa diventare patrimonio anche della più giovane delle religioni del Libro. Mentre commentavo in diretta con la collega Lilli Gruber, riflettevo sul fatto di un papa che, con il suo strappo, diceva al mondo di non aver paura dell’Islam. Riflettevo sul miracolo di un papa che, sorretto solo dall’ottimismo della fede, scompaginava le nostre categorie mentali e sfidava il fondamentalismo islamico con la linearità di un gesto: quello di entrare nella casa di Allah. Facciamo un passo indietro. Ad altri gesti: quelli del Grande Giubileo. Papa Wojtyla nell’edicola del Santo Sepolcro. Due mini telecamere riprendono il pontefice al culmine del suo viaggio nella terra di Gesù. Il vestibolo e poi il sepolcro vuoto. S’inginocchia, la mano sinistra appoggiata sui bordi della lastra tombale. Chiude gli occhi Giovanni Paolo II, quasi a centellinare ogni secondo, quegli attimi sul crinale dell’eternità. Spengo il microfono e lascio la cuffia della diretta perché sopraffatto dall’emozione. Nella mente, si affollano in modo convulso i principali eventi di duemila anni di storia insanguinata, sento i passi affannati, sento l’ardore dei cristiani che, con il desiderio, hanno accarezzato e si sono inginocchiati a baciare quelle pietre sante. Il lungo peregrinare nel mondo del successore di Pietro diventa, con quel papa rapito nel luogo più sacro della cristianità, quella domenica del 26 marzo 2000, sigillo al viaggio dei viaggi. Il 91° di Giovanni Paolo II, il centesimo di un papa nel XX secolo. Il primo a Gerusalemme, il centesimo nella città di Davide. 26 marzo. Quella mattina il pellegrinaggio è come un gesto solo e fulminante. La jeep arriva sulla spianata dove sorge la moschea di Al Aqsa. La Cupola della Roccia, la cupola dorata. Per l’Islam è la rupe dell’ascensione di Maometto al cielo sulla giumenta alata. È sulla spianata che si raduneranno i credenti alla suprema egira. Nella cripta si trova quella che gli ebrei chiamano l’Even ha Shtia, la Pietra di fondazione staccata da Dio dal suo trono celeste per essere perno dell’universo. Tutto ha un senso di vertigine. Al centro la pietra, attorno Gerusalemme e, intorno a Gerusalemme, il resto del mondo. Il papa non cerca di dominare tutto questo, lo copre solo d’amore. Dalle pietre della spianata al Muro del pianto. Un gesto e il popolo perseguitato è conquistato. Dio dei nostri Padri, tu hai scelto Abramo e la sua discendenza perché il tuo nome fosse portato alle genti. Noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti nel corso della storia hanno fatto soffrire questi tuoi figli, e chiedendoti perdono vogliamo impegnarci in un’autentica fraternità con il popolo dell’alleanza . Il dialogo fra l’uomo e il divino è spinto sino all’intima confidenza del messaggio scritto deposto fra le fessure dell’unica recinzione supersti- te, costruita da Erode a protezione del Tempio. Il papa chiede perdono agli ebrei e lo fa nel luogo dove da quaranta secoli si manifesta il legame, spirituale e materiale, che vincola gli ebrei alla Città di Dio. Il mea culpa è ora custodito con venerazione nel mausoleo dell’Olocausto. Gerusalemme città ai confini dell’eternità. Persino l’aria è gonfia di gloria passata. Ogni pietra è impregnata di santità. La gente cammina curva sotto il peso di Dio. Musulmani, ebrei, cristiani. È un passare di pietra in pietra; dalla teologia dell’antagonismo a quella della purificazione. I volti della sofferenza. I feriti della vita. Volti inespressivi e gesti inarticolati. Barricati fra torri di silenzio. Impenetrabili. È toccante il Giubileo della comunità con i disabili. Il papa, anch’esso malfermo sulle gambe e tremante, nella basilica di San Paolo fuori le mura. Domenica 3 dicembre 2000. Dodicimila persone ammassate fra le navate a portare il dono di vite appese a un filo, quasi sempre contenute in vasi fragilissimi. Anime ingrandite nei corpi impediti , li descrive Claudel. Ai disabili che lottano per non diventare normali, ma sé stessi la dedica che l’italiano Giuseppe Pontiggia mette all’inizio di un suo romanzo. È un dialogo d’umanità cui il papa tiene in mo- do particolare. Quella di oggi – rivela – è sicuramente tra le celebrazioni giubilari più significative e a me più care. Un vangelo scritto con gesti, sguardi, baci e carezze. È il giubileo della carezza. Mani rattrappite, corpi abbandonati. Un’umanità bambina, disarmata, che fa a pugni con la cultura del salutismo: corpi perfetti e levigati, i muscoli sodi, le rughe eliminate dal lifting, i capelli bianchi nascosti da tante colorazioni. Le persone sembrano sempre più immemori del bisogno di cercare e di desiderare. Eppure desiderio è una parola meravigliosa. De sideribus è un qualcosa che viene dalle stelle, dall’infinito. C’è un non so che di urgente e definitivo negli interventi papali, il de sideribus di coniugare il tempo dell’uomo col tempo di Dio. I carcerati devono sapere che anche il tempo trascorso in carcere è tempo di Dio e come tale va vissuto. Papa Wojtyla invia una lettera oltre le sbarre e, improvvisamente, fra milioni di sepolti vivi, si fa acuminata l’attesa. È un’attesa sorda, gonfia di risentimenti, di paure, di oscure minacce. Ma, forse, il centro di tutti i viaggi sta in quelle immagini solari di Malta, dove persino la grande Storia arretrava e cedeva il passo alla piccola storia, avanzando piano appoggiata a un bastone di malattia e di vecchiaia. Tutto era così luminoso e ogni angustia spariva mentre un papa appagato giocava con un vento capriccioso e, di tanto in tanto, si aggiustava il ciuffo ribelle. DIALOGO INTERRELIGIOSO RABBI DAVID ROSEN Oltre pregiudizi e fanatismo A proposito delle relazioni interreligiose in generale e di quelle cattolicoebraiche in particolare, papa Giovanni Paolo II ha dichiarato che la comprensione reciproca e il mutuo rispetto sono il modo più sicuro per superare i pregiudizi del passato ed elevare una barriera contro ogni forma di antisemitismo, di razzismo e di xenofobia (settembre 2001). Ha aggiunto che il patrimonio spirituale comune a cristiani ed ebrei è così grande e così vitale per la salute religiosa e morale della famiglia umana che ogni sforzo deve essere intrapreso per fare avanzare e per espandere il dialogo, specialmente sulle questioni bibliche, teologiche ed etiche. In questi commenti papa Giovanni Paolo II ha sottolineato i motivi principali che spingono al dialogo interreligioso, e al dialogo cristiano-ebraico in particolare. Sono la responsabilità di superare il pregiudizio ed il fanatismo e l’obbligo di unire un’azione nata da un impegno etico-religioso condiviso. Il dialogo interreligioso per papa Giovanni Paolo II non è solo un mezzo per superare il fanatismo e per promuovere la pace, ma una meta religiosa per testimoniare la presenza divina nel mondo, specialmente in nel patrimonio spirituale condiviso da ebrei e cristiani. (Direttore internazionale delle relazioni interreligiose dell’American Jewish Committee) SHAICKMUHAMMAD TANTAWI La fraternità fra gli uomini Ho ricevuto Giovanni Paolo II nel mio ufficio, nel 2000, prima che si recasse a Damasco. Abbiamo bevuto il tè, abbiamo riso insieme, abbiamo conversato con calore e rispetto. Quando si è allontanato alla fine del colloquio, gli ho raccomandato fortemente di curare la sua salute, perché il papa è importante per tutti, anche per noi musulmani. La prima impressione e la più profonda che ho avuto incontrandolo è stata semplicemente di una umanità grandissima. Mi ha ricordato col suo essere la fraternità fra gli uomini: papa Giovanni Paolo II è stato un uomo di fraternità. Incontrandolo, ho avuto la certezza che siamo tutti fratelli nell’umanità, che siamo tutti figli di Adamo, tutti partecipi della vera umanità. (Grande imam dell’Università Al-Azhar del Cairo, massima autorità musulmana sunnita) NICHIKO NIWANO Il rispetto per la vita Vorrei esprimere i miei sentimenti più profondi di dolore alla notizia che papa Giovanni Paolo II è asceso al Cielo. Il rispetto per la vita era la prima preoccupazione del papa che, come uomo d’azione, ha proposto delle misure concrete per porre fine alla povertà e all’ingiustizia, mentre nel contempo dava il suo più grande contributo per la pace nel mondo. Ha capito profondamente il dialogo, permettendo alla Conferenza mondiale delle religioni per la pace (Wcrp) di partecipare al Vaticano II, e ha messo insieme i leader religiosi del mondo intero per il giorno di preghiera per la pace nel mondo del 2002, a cui ho avuto l’onore di partecipare. Mi commuovo ancora nel ripensare al mio incontro con lui. Sono grato per tutto ciò che sua santità mi ha insegnato, che sopravvive nel lavoro della Rkk in favore della cooperazione interreligiosa e per la pace nel mondo. Prego umilmente affinché possa abitare nel Cielo col Signore. (buddhista, presidente del movimento giapponese Rissho Kosei-kai)

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