Quando la fragilità vince

Aung San Suu Kyi è libera. Una vittoria del popolo universale dei diritti umani. Che opera soprattutto su Internet.
San Suu Kyi

Il Premio Nobel per la pace 1991, la dissidente birmana Aung San Suu Kyi, è finalmente libera di muoversi, almeno nella sua città (chissà se potrà recarsi a Oslo per ritirare il “suo Nobel!). Il governo militare le ha revocato gli arresti domiciliari, una settimana dopo le elezioni-farsa alle quali non ha potuto partecipare, vinte a man bassa dal regime del Myanmar. Ieri ha potuto parlare coi suoi sostenitori separata da loro solo dalla ringhiera del suo giardino in riva al lago. Domani la varcherà, per un discorso “ufficiale” annunciato simbolicamente nella sede del suo disciolto partito. Tutto ciò dopo 15 anni di arresti ferrei, anche se non consecutivi, in prigione o a domicilio: i suoi figli potranno così riabbracciarla (vivono all’estero), dalla loro adolescenza non la vedono più.

 

È la vittoria del silenzio e della discrezione che sovrastano il baccano della menzogna. È la verità che viene a galla nonostante venga continuamente ricacciata sott’acqua dalla macchina propagandistica di un regime che, ormai, gode solo dell’appoggio politico – sempre più timido, peraltro – della Cina, e che sopravvive grazie alle transazioni commerciali con un’India ormai indecisa sul da farsi.

 

È la vittoria della fragilità, impersonata da questa donna inerme e affaticata di 65 anni, che non ha mai voluto cedere alle pressioni dei militari. È la vittoria della fragilità che diventa forza della ragione e dello spirito, al di là di ogni umana resistenza.

 

È la vittoria, va detto, anche del popolo universale dei diritti umani, che non ha più confini e zone privilegiate, perché viaggia in primo luogo sul web e sulle onde della rivoluzione tecnologica. Benedetta rivoluzione tecnologica!

 

È stata la pressione dell’opinione pubblica internazionale che certamente ha spinto la giunta militare birmana a cedere, dopo aver reso Aung San Suu Kyi, a suo parere almeno, inoffensiva. Ma probabilmente si illude. Ora bisogna vedere che cosa succederà in una Birmania-Myanmar che non ha cancellato le tracce del sangue dei monaci che due anni fa cercarono di riavere libertà.

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