Quali mediatori in Medio Oriente?

La mossa a sorpresa di Trump sembra togliere credibilità alla funzione equilibratrice di Washington. Mentre Macron si muove con l’Unione europea approfittando dello sconforto arabo…
AP Photo/Majdi Mohammed
Una semplice parola di The Donald, che ormai ha dimostrato di essere un amante dello sparigliare il gioco, qualsiasi gioco, ha seminato il panico in tanta parte del Medio Oriente. Due morti e qualche centinaio di feriti per la tensione in tutti i territori palestinesi. Minaccia di una terza Intifada. Lanci di missili da Gaza e raid israeliani sulla Striscia, contro Hamas. Processo di riavvicinamento tra Olp e Hamas da una parte rafforzato dalla decisione, ma dall’altra minacciato per il risorgere delle tendenze più radicali di Hamas. I propositi di pace del presidente Usa rinviati al mittente dai palestinesi. In difficoltà anche i sauditi che negli ultimi tempi si erano presentati come grandi alleati degli Stati Uniti trumpiani riavvicinandosi persino ad Israele. Libano che ritrova la sua unità, e intuisce perché Israele non abbia voluto intervenire contro Hezbollah (probabilmente sapeva della mossa di Putin). E si potrebbe continuare. Ogni mossa che avviene in un qualsiasi punto del Medio Oriente non è una decisione senza conseguenze per il resto della regione. Lo scacchiere mediorientale è un enorme sala giochi, ma con un solo gioco, e nemmeno digitale, il domino: toccata una fiche, si mettono in moto movimenti a catena difficilmente controllabili.
Stupisce in particolare il fatto che Donald Trump si sia mosso esplicitando due tensioni apparentemente incompatibili: appoggiare Israele in modo decisamente parziale, accogliendo finalmente l’invito di Netanyahu di trasferire l’ambasciata Usa nella città santa delle tre religioni monoteiste, e dall’altra pretendere che i palestinesi si siedano finalmente a un tavolo di trattative definitivo. Convinto che in Medio Oriente non vi sia pace possibile senza gli americani. Annunciando la sua decisione di riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele, Donald Trump ha interrotto la tradizione diplomatica statunitense che metteva la cautela al centro della propria azione. La giustificazione di Trump è semplice: dopo 50 anni di stallo, bisogna riconoscere la realtà, cioè che Gerusalemme è israeliana, e così costringere i contendenti a trattare. Cade così in frantumi la teoria dei “due popoli due Stati”, sostenuta dall’Onu, dal Vaticano, dall’Unione europea, dalla Russia… ma, rispondendo al discorso del presidente degli Stati Uniti, l’omologo palestinese Mahmoud Abbas ha affermato che «gli Stati Uniti stanno minacciando deliberatamente tutti gli sforzi di pace e proclamando che abbandonano il ruolo di sponsor del processo di pace che hanno svolto in passato».
È stato notato in questo quadro l’attivismo di Emmanuel Macron, il giovane presidente francese che si trova a suo agio sia nelle grandi visioni del mondo che nella finanza internazionale, formatosi com’è stato da Paul Ricoeur e dai Rothschild. In queste ultime settimane, oltre a essere riuscito a risolvere in qualche modo la questione delle dimissioni di Saad Hariri da premier libanese, ha visitato Qatar, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Algeria, e ha ricevuto per due volte Hariri all’Eliseo, impegnandosi anche nel mettere assieme un gruppo di contatto capace di garantire l’indipendenza del Libano rispetto agli altri contendenti regionali. E tra non molto dovrebbe recarsi in Iran, dopo aver ricevuto Benjamin Netanyahu. L’iperattivo Macron (l’età conta) parla con tutti, col diavolo e con l’acqua santa si direbbe, un sorriso ce l’ha per tutti. Pare voler approfittare del vuoto di credibilità provocato nei confronti degli Usa dalla decisione di Trump per portare la Francia, e l’Europa guidata dalla Francia, a prendere il posto di pacificatore in Medio Oriente. Poco alla volta ottiene il sostegno degli altri leader europei, per un progetto sicuramente ambizioso: ma Macron non difetta in ambizione. E in intelligenza politica.
C’è infatti bisogno di un “facitore di negoziati” in Medio Oriente, dopo che Onu e Stati Uniti, per motivi diversi, non possono più giocare tale ruolo. L’Europa, che pur ha commesso enormi errori nella regione, potrebbe facilitare una ricomposizione del quadro regionale così sfilacciato e attraversato da un’ondata impressionante di frustrazione e di disillusione popolare, anche nei Territori palestinesi. C’è voglia di pacificazione, dopo tanti decenni di conflittualità. Riuscirà Macron, riuscirà l’Unione europea a giocare il ruolo di mediatori? Non è certo che ci riescano. Secondo Bernard Botiveau, ricercatore presso il Cnrs francese, interpellato da L’Orient le Jour «la mediazione dell’Unione europea può essere prevista, ma non sarà in grado di controbilanciare efficacemente e durevolmente il peso americano nella regione». Eppure il tentativo ha avuto inizio, Trump è riuscito nell’impresa di scontentare tutti, tranne gli israeliani, in Medio Oriente, e sarà difficile che possa ritrovare il suo ruolo super partes. Se Macron e l’Unione europea non vorranno far tutto da soli, ma riusciranno a coinvolgere Russia e Cina nella mediazione, ecco che qualcosa potrebbe cambiare. Per effetto domino, questa volta di pace.
 

 

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