Quale anima per l’Europa?

Vignon, nato nel 1944 a Bourges (Francia), è una delle persone più innovative nel processo dell’unificazione. Ha diretto il lavoro dell’ultimo Libro Bianco della Commissione sulla governance in Europa, progetto molto caro a Romano Prodi. Quando Jacques Delors era presidente della Commissione, Vignon era direttore del reparto per le questioni del futuro dell’Unione. È di lui – cattolico impegnato – il motto: “Dare un’anima all’Europa”. Signor Vignon, esiste un’Europa cristiana? “Mi sembra che questa espressione sia equivoca perché dà l’impressione di una omogeneità che non esiste più. L’Europa di oggi è esposta ad una moltitudine di influenze religiose e culturali. Perciò non parlerei di un’Europa cristiana. Ma certamente non c’è dubbio che la cristianità abbia marcato in modo decisivo la storia del nostro continente”. Quali sono le radici cristiani dell’Europa? “Per tanto tempo la fede cristiana ha costituito l’elemento unitivo. Durante tutto il Medioevo la società europea poggiava su un fondamento cristiano. Un documento impressionante in questo senso è la regola di san Benedetto dal sesto secolo. Questa influenza ha avuto i suoi effetti fino ad oggi. François Mitterrand per esempio, l’ex-presidente della Repubblica francese, che sicuramente non era un cristiano praticante, diceva che geograficamente per lui l’Europa coincideva con la diffusione dei monasteri cistercensi >>. Alcuni cristiani hanno l’impressione che nel processo d’unificazione non si tiene conto abbastanza di queste radici. Lei è dello stesso parere? “L’affermazione che si perdono i valori cristiani per me non è giusta. Questi valori vengono piuttosto verificati. “In un sistema autoritario non si discuteva sui valori. Era richiesto semplicemente di rispettarli. Oggi si discute apertamente dei valori, del comportamento morale e dell’etica. Questo a me sembra in fondo auspicabile. “Ciò che è richiesto è la capacità del singolo di dare prova del suoessere cristiano. La risposta libera alla chiamata di Cristo è secondo me il destino normale di un cristiano. E poi è il suo compito di far sentire ad altri questa chiamata di Dio e di offrirgli un orientamento spirituale – di offrirlo non di imporlo. Questo vuol dire evangelizzazione in una società laica”. Lei non è preoccupato del fatto che nella “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” manca ogni riferimento al cristianesimo? “Purtroppo alcuni dei capi di stato non hanno neanche accettato di riconoscere che il cristianesimo nella sto- ria ha contribuito allo sviluppo di questi diritti fondamentali. Personalmente però non sono preoccupato se non viene detto esplicitamente che i diritti fondamentali sono radicati nel cristianesimo. Ciò che mi sembra più importante è che i nostri governi e le nostre costituzioni riconoscano il contributo attuale delle chiese nella ricerca di risposte etiche alle domande politiche. “La domanda essenziale è: come possiamo interpretare gli avvenimenti attuali alla luce dello spirito cristiano che ci viene in aiuto? Il Concilio Vaticano II parlava in questo contesto di “segni dei tempi””. Per esempio? Quale sarebbe un tale “segno dei tempi”? “Senza dubbio la possibilità di una riunificazione pacifica dell’Europa è uno di questi. A noi cristiani viene data la possibilità di mostrarci come fratelli e sorelle delle nuove democrazie. Se si legge la unificazione sotto questa chiave, allora non si tratta di un allargamento dell’Europa occidentale, ma di una nuova fondazione dell’unità europea. Questo è un avvenimento molto positivo e non dovremmo temere anche dei cambiamenti profondi per dimostrarci all’altezza di questa sfida. “È necessario far capire che vale la pena di fare spazio a questi popoli. Come cristiani siamo contro la paura dell’allargamento. E ciò richiede che ci impegniamo perl’approfondimento ed il consolidamento degli attuali contratti”. Cosa vuol dire fratellanza in questo contesto? “Lo spirito della fratellanza ci fa capire che possiamo imparare qualcosa dall’esperienza delle nuove democrazie. Ciò non vuol dire che anche loro non devono imparare qualcosa. Tutti e due dovrebbero scoprire dall’altro degli aspetti validi e positivi. Poi possono guardare anche a quello che è da migliorare”. E cioè? “Nei paesi dell’est sarebbe da criticare la forte tendenza nazionalista. Se i miei amici nell’est rifiutano la collaborazione nel sudest europeo, perché temono che potrebbe costituire un ostacolo per i rapporti diretti con l’Europa occidentale, non posso essere d’accordo. “Dal lato nostro è da superare l’arroganza che da sempre si trova nella storia nell’ovest verso l’est”. Che cosa possiamo invece imparare gli uni dagli altri? “Dalla Polonia, dall’Ungheria, dalla Cechia, dalla Slovenia e da altri possiamo imparare che non esiste una democrazia viva che non sia fondata su una attiva società civile. L’esperienza delle nuove democrazie nell’est dimostra che ognuno deve contribuire personalmente al ravvivare la democrazia. Senza il contributo dei cittadini che si vedevano obbligati a difendere la democrazia, la “Rivoluzione di velluto” non sarebbe mai stata possibile. In questo senso possiamo imparare da “Charta 77” o da Solidarnosc che vale la pena di fare una rivoluzione senza usare la violenza. “Gli stati nell’est europeo sono riusciti a concepire la politica in un modo totalmente nuovo senza vendicarsi dei potenti di prima e dei loro seguaci. Penso che sia stata una buona soluzione. Tutte le altre avrebbero portato a nuovi conflitti ed eventualmente alla violenza”. Cosa ha da dare l’Europa occidentale? “Un nuovo rapporto con lo stato. L’esperienza del socialismo ha creato nell’est una tale diffidenza contro lo stato che ora c’è il pericolo di un liberalismo esasperato. Io penso che il modello socialliberale dell’ovest abbia da offrire qualcosa di positivo. Da noi è ovvio che i datori di lavoro ed i lavoratori partecipino al processo in corso per dare delle regole al mercato del lavoro. E ovvio che ci sia una solidarietà organizzata. Tutto questo non è in contraddizione con il successo economico. “Ed infine possiamo offrire il concetto che la liberalizzazione dei mercati deve essere legata a certe regole”. In questi mese si riunisce la “Convenzione per il futuro dell’Unione europea”. Quali i desideri, le speranze e le richieste per le quali ci attendiamo una risposta? “Da un lato sarebbe molto importante che la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” non rimanesse un elemento estraneo all’Unione ma che diventasse parte integrale dei contratti europei. Ciò perché i diritti fondamentale costringono i cittadini ad una certa solidarietà. “Sarei felice se il convegno non soltanto assentisse al inserimento della Charta, ma anche riconoscesse il ruolo della società civile per l’orientamento e la formazione di una coscienza europea. Sono convinto che i nuovi elementi della società civile sottolineino i valore in più dell’Europa in confronto con le vecchie tendenze nazionalistiche”. Qual è la responsabilità dell’Europa per il mondo intero? “Questo è un aspetto fondamentale! Oserei quasi dire che dovrebbe avere la priorità nell’influenza dei cristiani sul convegno. Certo che sembra logico chiarire prima di tutto i compiti interni dell’Unione. La ricerca di una figura europea nel mondo sembra secondaria. Questo lo ritengo dannoso. “Andrea Riccardi della Comunità di Sant’Egidio dice che gli europei nell’Ottocento avevano una visione dei loro rapporti con il mondo che senz’altro era discutibile, ma era una visione. Sentivano il diritto di portare i loro valori in tutto il mondo. Attualmente – così Riccardi – non c’è nessuna visione”. Lei è dello stesso parere? “Sì. Per esempio non c’è una reale volontà di collaborare con gli Stati Uniti a livello mondiale. L’ultimo esempio è l’incapacità dell’Europa nel Medio Oriente. Questo è un gran peccato! Noi dobbiamo opporci a questa tendenza. Come cristiani abbiamo la visione dell’unità degli uomini. Questa visione spirituale la dobbiamo trasformare in politica. E il modo migliore sarebbe di impegnarsi per una vera politica estera dell’Europa. “Secondo me – altri cristiani saranno di un’opinione diversa – ci vuole anche un esercito europeo. Il mio parere è che generosità, apertura e solidarietà come fondamenti della politica estera europea non possono produrre il loro effetto se l’Europa non può dimostrare anche la sua forza militare”. Quale è secondo lei il ruolo delle chiese nel processo dell’unificazione europea? “La mia impressione è che le chiese da parecchi anni si esprimono con coraggio e forza innovatrice sui nuovi problemi della società. Questo vale per le questioni della disoccupazione e della povertà come per i problemi dell’ asilo politico e dell’immigrazione. Tanti vescovi si sono impegnati personalmente contro la disaffezione verso la politica e contro il pericolo per la democrazia che ne deriva. Anche nella crisi d’identità che la globalizzazione ha portato, le chiese hanno dato delle risposte nuove. “Sono convinto che il nuovo comportamento delle chiese porterà frutto anche per loro stesse”.

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