Putin, la quarta volta

Il presidente della Federazione russa è stato rieletto domenica 18 marzo con il 76.67% dei voti, un record per colui che governa a Mosca da 18 anni

Il presidente rieletto, evidentemente soddisfatto per il risultato ottenuto, è apparso brevemente dinanzi ai suoi sostenitori, sul grande palco della Piazza del maneggio, accanto al Cremlino. Ma nelle sue parole non si è concentrato sulla vittoria elettorale, quanto sulla ricorrenza dei quattro anni dall’annessione della Crimea e sulla questione delle “spie russe” a Londra.

Il partito comunista si è piazzato in seconda posizione grazie al suo candidato Pavel Grudinin che ha raccolto il 12% dei voti. Un risultato inatteso, visto che il suo predecessore nel 2012, Gennady Zyuganov, aveva ottenuto il 17,8% nel 2012. Al terzo posto è arrivato un’altra vecchia conoscenza della politica russa, l’ultranazionalista Vladimir Zhirinovsky, col 6% circa dei voti. Infine, il giornalista e candidato liberale Ksenia Sobchak è stato capace di riunire solo l’1,5% dei voti. Va ricordato che il principale avversario di Putin, Alexei Navalny, era stato estromesso dalla competizione dalla commissione elettorale. Infine, alta è stata la partecipazione al voto: il 67,4%, contro il 65,2% del 2012.

Numerose le accuse di frodi elettorali, avanzate sia da Golos Ong, specializzata nel monitoraggio delle elezioni, che ha denunciato ben 2.033 casi di irregolarità, sia dai 33 mila osservatori sguinzagliati sul territorio da Alexei Navalny. Vengono denunciate anche le pressioni per andare a votare esercitate da datori di lavoro, presidi delle università e direttori di uffici pubblici.

Sta di fatto che Vladimir Putin ha un appoggio stratosferico nella sua Russia e può presentarsi sulla scena internazionale ancora più forte di prima. Nella sua agenda alcuni punti critici del globo sono segnati a matita rossa, e certamente saranno seguiti con particolare attenzione nel prossimo mandato:

Ucraina: il fatto di aver voluto far coincidere la data delle elezioni con il quarto anniversario della “liberazione” della Crimea la dice lunga sulla determinazione di Putin non solo di mantenere la Crimea nel proprio girone d’influenza, ma anche di impegnarsi per estendere la sua “vittoria” anche a buona parte del Donbass.

Siria: le ultime mosse della Turchia, che ha occupato Afrin cacciando i curdi e alleandosi con dei ribelli siriani al limite del jihadismo, e il suo diretto scontro militare con Assad, hanno complicato il quadro generale già confuso. Inoltre le truppe governative non riescono ancora ad eliminare la resistenza nella Ghouta, facendo sbiadire l’immagine di Putin come vincitore assoluto della battaglia siriana. C’è da aspettarsi un intervento ulteriore nella regione da parte dei russi e un rafforzamento dell’asse con Teheran.

Corea del Nord: lo sforzo diplomatico sino-russo sta creando le premesse per un allentamento della tensione tra le due Coree. Gli Stati Uniti sono stati presi in contropiede dalle recenti mosse concilianti di Pyongyang, ma c’è da giurare che Putin e Xi Jinping non permetteranno un’escalation della tensione.

Unione europea: la vicenda delle “spie russe” espulse dal Regno Unito e le ritorsioni equivalenti di Mosca appare un grave incidente di percorso nel progressivo riavvicinamento promosso da alcuni Paesi europei alla Russia (Germania, Francia e Italia in testa), dopo le sanzioni imposte per la vicenda ucraina. Il clima volge al peggio, ma le prossime settimane diranno se prevarranno i falchi o le colombe.

Trump e Xi Jinping: le accuse rivolte alla Russia di avere sostenuto Trump nella sua elezione a presidente Usa non cessano di far passare notti insonni agli statunitensi. Sono di ieri le accuse di incompetenza e di accanimento espresse da Trump contro la commissione di inchiesta parlamentare. Nei fatti Trump e Putin si guardano a distanza, mantengono le loro posizioni, ma non arrivano mai a scontrarsi direttamente. Putin probabilmente cercherà di mantenere lo status quo attuale. Analogamente cercherà di mantenere i buoni rapporti che attualmente lo legano al regime di Pechino.

Ma il dossier più spinoso sul tavolo di Putin non è di politica internazionale, ma interna: si tratta della crisi economica che ancora sta attanagliando la Russia. Una crisi determinata dalla crisi finanziaria e petrolifera del 2008 (anche se le riserve di gas della Federazione russa sono elevatissime, compensando il calo del petrolio), ma accentuata dal declino demografico nella intera federazione. L’iperattivismo di Putin in politica estera è dovuto anche e soprattutto alle difficoltà interne in materia economica. Senza dimenticare la questione del rinnovamento della classe politica russa, per il quale Putin ha detto di voler impegnarsi intensamente.

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