Come promesso, il presidente Lenín dialoga

Nel primo mese al governo, il successore del carismatico presidente Rafael Correa si è mosso subito verso la conciliazione e il Dialogo nazionale promesso all'elettorato con gli attori politici disposti ad aderirvi. E va avanti in questa direzione, nonostante le forti critiche interne del suo partito e dello stesso Correa

 

Non ha sorpreso né in sede di campagna elettorale né nel discorso di insediamento che il neopresidente Lenín Moreno promettesse di dialogare con l’opposizione, nel contesto di acuta polarizzazione in cui il suo predecessore Rafael Correa aveva lasciato il Paese. Era quello che voleva sentire la quasi metà del paese che aveva votato per Guillermo Lasso.

La sopresa è stata la decisione e l’immediatezza con cui ha mantenuto la promessa.

Il primo giorno di lavoro al Palazzo di Carondelet, Moreno ha soppresso il Ministero del Buon Vivere (concetto che riflette lo stile di vita in armonia con la natura, le risorse e le persone dei popoli indigeni), la cui gestione ed utilità erano state alquanto criticate dall’opposizione, ed ha eliminato il polemico Piano Famiglia per la diminuzione delle gravidanza adolescenti. Due chiari segnali di conciliazione.

Poi ha convocato al dialogo gli ex candidati presidenziali Dalo Bucaram, Paco Moncayo e Cynthia Viteri, suoi principali avversari se si eccettua Lasso, il contendente sconfitto per scarso margine nel ballottaggio, agli antipodi ideologici del correismo ed esponente del potere economico che la Rivolución Ciudadana iniziata da Correa e continuata da Moreno vuole combattere.

A loro, che parlavano di lui come del continuista di un “modello caduco” o avevano assicurato che non avrebbero mai collaborato con “un governo corrotto e corruttore” e “totalitario” come il precedente, Lenín ha fatto importanti concessioni, sedendosi con loro a studiare proposte dei loro programmi nell’ambito, tra gli altri, della lotta alla droga, dell’assistenza ai pensionati e della promozione dell’infanzia. E soprattutto ha già concretizzato due loro richieste di peso: la creazione di una Commissione Anticorruzione sotto l’egida dell’Onu e l’accordo per la riforma della controversa legge della comunicazione, considerata una censura alla libertà di stampa e giustificata dal correismo per la necessità di frenare gli abusi dei media asserviti ai poteri economici avversi agli interessi del popolo.

Ecuador President

Altri gesti sono stati la ripresa dei rapporti col Consiglio delle Nazionalità indigene, interrotti dal 2009, l’indulto a 6 indigeni incarcerati per una protesta del 2015, e l’affidamento dell’amministrazione dell’ente nazionale dell’energia elettrica al citato Dalo Bucaram, figlio dell’ex presidente deposto per impeachment Abdalá Bucaram, cosa che ha particolarmente indignato Correa.

Chiaramente motivate anche dalla necessità di assicurare la governabilità in un Parlamento dove la maggioranza è risicata, queste azioni sono però lette dalla dirigenza del partido di governo e dal suo leader storico Rafael Correa come tradimenti. L’ex presidente ha dichiarato pubblicamente: «È da ingrati cercare di prendere le distanze in questo modo dal mio governo».

Secondo l’analista politica Florencia Pagliarone “l’imperativo di cedere” nel primo mese del governo Moreno, «potrebbe star significando qualcosa di più della costruzione di accordi per l’Ecuador del futuro, e cioè una sorta di imposizione di agende» da parte di settori dell’opposizione.

Giovedì mattina, in risposta alle critiche interne, Moreno ha twittato la definizione del dizionario di “sindrome de astinenza”, aggiungendo agli esempli classici di dipendenze come lo zucchero, l’alcol e le droghe, “il potere”.

Non l’avesse mai fatto: i due fratelli ex ministri Fernando e Vinicio Alvarado gli anno risposto per le rime: «Caro Lenín, non dimenticare la sindrome di mancanza di coerenza. La stiamo soffrendo noi e ci causa disorientamento acuto».

Più seriamente, il presidente ha riaffermato la sua militanza per la Revolución Ciudadana e la gratitudine al suo iniziatore Correa, nonostante le differenze con questi e con la dirigenza del partito, che sta già cercando di smorzare i toni.

Da più parti consigliano al leader storico di farsi da parte, almeno all’inizio di questo nuovo mandato, ma lui per ora risponde che si sente obbligato a difendere la rivoluzione di fronte a certe minacce.

Moreno va avanti per la sua strada, rassicura che non desidera fratturare il partito e che, se così fosse, preferirebbe ritirarsi, ha anche sottolineato che lo accompagneranno nel suo impegno «unicamente le persone coerenti coi principi progressisti e rivoluzionari del movimento politico. Chi non è d’accordo, si ritiri».

L’opinione pubblica ha gradito le sue prime mosse e, secondo due sondaggi, il 66-68% degli ecuatoriani approva la sua gestione, il 63% lo considera credibile e l’84% ne ha un’immagine positiva.

Sono buoni auspici. Il tempo dirà se la sua strategia porterà frutti anche sui fronti dell’economia in crisi, della disoccupazione e delle altre sfide che ha di fronte il Paese.

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