Proleterka

Di Freur Jaeggy, scrittrice italiana di origine svizzera, avevamo già letto il libro amaro e disperato I beati anni del castigo, sulla triste esperienza giovanile di una donna in un collegio dell’Appenzell. Nel suo nuovo romanzo Proleterka, pubblicato come gli altri libri dalla Adelphi, a cui è andato il prestigioso Premio Viareggio 2002, la Jaeggy ci riporta ancora, attraverso una scrittura asciutta e frammentata, in una nuova storia di solitudine e di dolore. La protagonista, voce narrante del romanzo, con malinconico distacco, è richiamata indietro nel tempo dal ricordo del padre Johannes: “Sono passati molti anni e questa mattina ho un desiderio improvviso: vorrei le ceneri di mio padre. Dopo la cremazione, mi mandarono un piccolo oggetto che aveva resistito al fuoco. Un chiodo. Lo restituirono intatto… A quel tempo non pensavo ai morti. Loro vengono incontro tardi…”. Rivive così gli anni della sua infanzia, dell’abbandono materno, della convivenza arida con la nonna-padrona, soffermandosi su un viaggio di quindici giorni, all’età di sedici anni, con il padre ormai avanti negli anni. Un viaggio in Grecia su una vecchia nave iugoslava dal nome “Proleterka”, ovvero “Proletaria”, con un nutrito gruppo di svizzeri appartenenti, con il padre, ad una vecchia corporazione. La ragazza osserva con distacco e indifferenza quei compagni di viaggio mentre il passato s’affaccia con insistenza con tutto il carico di contraddizioni, tipiche di un mondo che vuole salve le apparenze e le forme. Su quella nave la protagonista sceglie di essere irriverente verso il suo mondo che si definisce “cattolico” e che lei giudica non sano e crudele e si concede all’istinto bestiale di due ufficiali di bordo. Una sorta di diario a due voci: la prima diretta, in prima persona, e l’altra in terza persona, quasi che l’autrice, che si intravede dietro la protagonista, volesse in alcuni passaggi prendere le distanze dall’amarezza di quel vissuto ancora sanguinante. Regna sovrano il silenzio dei cuori che avvolge e disfa il destino di persone non illuminate dall’amore o da qualche speranza. Il libro si fa, pagina dopo pagina, testimonianza di una mancanza, di una affannosa solitudine esistenziale; e il rivivere il passato, attraverso il suo linguaggio spoglio, diventa per la protagonista algido bisturi per quanti le si sono accostati strumentalmente, con brama di possesso.

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